Capitolo 3

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Matteo. Si chiamava così uno dei ragazzi che avevo conosciuto su Twitter. Mi aveva colpito il suo modo di scrivere. Era così simile al mio e avevamo così tanti interessi in comune. L'avevo notato, era impossibile non notarlo. Da un po' di giorni i suoi tweet brillavano in quel flusso di cinguettii, come un pesce oro in una corrente di pesci rossi. Anche lui mi aveva notato. Era iniziata una vera e propria guerra tra me e lui. Una guerra a chi metteva nei preferiti i tweet dell'altro. Io mettevo tantissimi dei suoi tweet nei preferiti, lui faceva lo stesso con me. Avevo iniziato a seguire il suo profilo ogni giorno ormai.
Ma quando avevamo iniziato a seguirci su Twitter? Anni fa? No, impossibile. Mesi fa? Giorni fa? Perché mi ero accorto solo ora di lui?
Non sapevo il suo nome, non sapevo nulla di lui, se non il suo modo di scrivere e ciò che raccontava quotidianamente in quei 5 o 6 tweet da 140 caratteri. Pochi, ma abbastanza per capire che era simile a me, troppo.

Ho sempre odiato le attese. Si aspettano i treni in stazione, la campanella dopo scuola, la pizza al ristorante, non le persone. Così un giorno ho deciso di scrivergli. Quando gli ho scritto avevo paura, ma non sapevo il motivo. Sapevo che avrei rotto la nostra amicizia da perfetti sconosciuti, che si mettono i tweet tra i preferiti, ma che manco sapevano come si chiamasse l'altro. A fine estate decisi allora di dirgli che ormai l'avevo notato e che mi sembrava simpatico. "Abbiamo tanti interessi in comune" gli dissi. E lui era d'accordo. Allora iniziò il terzo grado. Come potevo conoscere una persona senza il mio interrogatorio? Rispose quasi subito a tutte le domande. Matteo, Milano, 17, liceo linguistico. L'avevo detto. Avevamo davvero molto in comune. Persino l'età.
"No, ho un anno più, compio tra poco i 18" mi disse poco dopo. Non eravamo dello stesso anno: io avevo compiuto i 17 a giugno, mentre lui a dicembre avrebbe compiuto i 18 ormai. Per pochi mesi saremmo stati anche dello stesso anno. Ma poco importava, non era necessario che fossimo identici. Ognuno è unico al mondo - mi dissero una volta a scuola. Detto da persone che si vestono uguali, poi, era comico. Ma era ancora più comico che io stesso mi vestivo uguale a tutti, eppure criticavo il conformismo. Nella realtà ero proprio falso e ipocrita. Come si fa snobbare il conformismo ed essere totalmente annegato dalla moda e dai giudizi altrui? Vivevo nella contraddizione più totale e non sapevo come uscirne.

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