Cap. V ~ Mike

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Ero riuscito a evitarla per tutto il giorno, e in un certo senso mi dispiaceva, ma meno ci parlavamo meglio sarebbe stato.
Mi feci strada tra la folla di studenti accalcati davanti al portone cercando di fare in fretta: Lei non doveva vedermi.
Uscii e superai il cancello guardandomi bene in giro: Barbara era metri e metri dietro di me e, per fortuna, non mi aveva ancora visto. Quindi accelerai andando verso casa a piedi, perché non volevo tornare presto...anzi, non volevo tornare e basta.
Mi tirai su una manica della felpa: il braccio era malconcio, pieno di lividi violacei, opera di mio zio. Lo odiavo...cavolo se lo odiavo! Eppure era l'unico parente disposto ad ospitarmi, proprio lui...proprio il fratello di mio padre. Sbuffai. Una volta arrivato a casa lo avrei trovato infuriato e pronto a darmene di santa ragione di nuovo, pronto a farmi passare un incubo pur di obbligarmi a fare ciò che mi ordinava, pur di obbligarmi ad entrare in quella stramaledetta congrega. Diceva che dovevo prendere il posto di mio padre, diceva che mi spettava di diritto, e che il legame di sangue era tutto, che dovevo diventare qualcuno a questo mondo, ma io non ne volevo sapere, ovviamente.
Mi fermai al parco sedendomi su una panchina, rilassandomi nel suo verde immenso, nonostante i rumori delle auto che erano per le strade. Dovevo escogitare qualcosa per non affrontare più l'argomento "futuro nella congrega". Non mi preoccupavano le botte, che di certo non facevano piacere, ma ormai mi ci ero abituato...era da quando ero piccolo che mi picchiava, anche e sopratutto senza motivo, ma era da tre anni che per fortuna non lo faceva, e ora aveva ricominciato per "rimettermi in riga" diceva, senza rendersi conto che a me ormai i suoi schiaffi e i suoi pugni non facevano né caldo né freddo, addirittura non li sentivo neanche più e ciò lo mandava in bestia, perché non aveva i risultati che sperava: obbedienza e rispetto.
Restai lì a pensare per un po' e qualsiasi mio pensiero andava a finire su un unico argomento principale: Barbara. Odiavo quello che stavo facendo, odiavo allontanarla, ma era necessario, anche se mi faceva male vederla sola, anche se mi faceva male non poterle parlare e non passarci del tempo insieme come prima; avrei dovuto parlarle? Avrei dovuto dirle il perché del mio comportamento? O il sapere l'avrebbe cacciata nei guai? No, era meglio non dirle niente, o sarebbe stata in pericolo ancor più di prima...codardo. Sei un codardo. È solo una scusa, la verità è che hai paura che ti possa abbandonare, che possa pensare a te come a qualcuno che non sei. Sei un codardo Michael Patchwork. Ammisi a me stesso odiando la mia codardia. Glielo avrei detto. Lo avrei fatto non solo perché non ero un codardo, ma anche perché non potevo mentire all'unica persona importante della mia vita.
Mi alzai dalla panchina e presi l'autobus per andare in biblioteca: un po' di sano studio avrebbe deviato i miei pensieri.
O almeno lo speravo.

Arrivai al portone di casa che era tardo pomeriggio. Studiare non mi era affatto stato d'aiuto, anche perché i miei pensieri non si fermavano, ma correvano a redini sciolte, senza nessun freno. Avevo pensato a come dirglielo, ma non trovavo mai il modo adeguato. Salii le scale sistemandomi gli occhiali. Già, come dirle una cosa del genere? Era una cosa troppo delicata per sbattergliela in faccia e basta, e troppo brutta per tirarla per le lunghe...quanti inutili problemi.
Aprii la porta ed entrai nel piccolo appartamento chiudendola piano, ma appena mi girai un sonoro schiaffo mi accarezzò la guancia - dove sei stato, idiota?!? T'ho detto che voglio che tu sia qui appena esci da quella cazzo di scuola!- era furioso come sempre. E ubriaco.
Superai i suoi occhi di fuoco con disinteresse e disinvoltura. Quello stronzo prima o poi lo avrei distrutto.
-RISPONDIMI!!! DOVE CAZZO SEI STATO?!!? - lo ignorai dirigendomi verso la mia stanza - DOVE CREDI DI ANDARE, TORNA QUI! TORNA QUI HO DETTO!!!!!- continuai a camminare fino quando non arrivai alla porta della mia camera e feci per aprire sperando di porre fine a quell'incubo, ma -Mikey! Fermati immediatamente e torna qui.- la mia mano si fermò a mezzaria; il cuore prese a battere, impazzito, come se volesse uscire dal petto e fuggire prima del suo possessore; la mente ringiovanì spolverando ricordi, risvegliando le vecchie ferite. Presi a tremare inconsapevolmente, a sudare ghiaccio. Non agivo...non pensavo niente, solo scappa...non sentivo nulla se non quel grido e...e quello sparo che rimbalzavano ovunque dentro di me...paura, pura paura...terrore...dolore... Basta...basta!!!
-vieni qui Mikey, fatti vedere da tuo padre- mi sembrò di tornare bambino. Tremante mi girai - tu...dovresti essere in carcere! Bastardo! Hai ucciso mia madre! MIA MADRE!- avevo riconosciuto quella voce; mi ero sbagliato... Non era un incubo, era l'inferno
-oh, ma suvvia, davvero cr...- tentò di ribattere -ZITTO!!! TACI, STA ZITTO!!! - sbottai al limite e presto mi ritrovai schiacciato al muro con una mano che mi stringeva la gola con impeto -non devi MAI mancarmi di rispetto...
MAI. Hai capito o vuoi che te lo spieghi meglio?- sibilò quella voce al mio orecchio stringendomi di più la gola. Voltai lo sguardo e fissai con odio quegli occhi neri e rabbiosi
-...vaffanculo...- dissi con fatica, sputandogli in faccia.
Mi arrivò un pugno in pieno viso, forte -adesso ti insegno io il rispetto- sentii un tintinnare: stava togliendo la cintura; era quella di sempre, quella che conosceva bene il sapore del mio sangue. Tremai agitandomi sempre più al ricordo -vedo che te ne ricordi.- ghignò mentre mi dimenavo furiosamente sotto la sua presa d'acciaio; gli tirai calci e pugni ma sembravano non scalfirlo nemmeno un po': e dire che ero l'attaccante più forte di rugby. Lui era enorme, lo era sempre stato; grosso e imponente come una montagna. Mi strappò di dosso la camicia e mi sbatté a terra con violenza e lì il supplizio cominciò -allora, rinfreschiamoci un po' le idee- arrivò il primo colpo; non urlai. Non volevo dargli questa soddisfazione.
Dalla settima cinghiata in poi cominciai a gemere. Provai ad alzarmi ostinato varie volte, ma ogni volta che ci provavo era sempre peggio...colpi più forti e dolorosi si schiantavano sulla mia schiena con avidità.
Alla quindicesima si fermò -allora Mikey, dimmi, cosa ti ricordi degli insegnamenti che ti ho impartito qualche anno fa?-
Non risposi, ma tentai di alzarmi appoggiandomi al muro e mio padre scosse la testa -no Mikey- mi spinse e continuò. Non era finita...non sarebbe mai finita.
MAI.

Il Giglio Rosso ~ Il PortaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora