Mi risvegliai trovandomi raggomitolato nella soffice coperta di lana grigia, sempre nella stessa posizione fetale che il divano mi aveva visto prendere per quasi sette giorni di seguito. Un filo di Sole di quel sabato filtrava attraverso le leggere tende di cotone bianco. Era quasi pomeriggio. L'ennesimo piatto con gli avanzi del pollo allo zenzero e la forchetta ancora appoggiati sulle fredde mattonelle che componevano il rigido ordine geometrico del pavimento. Avevo una leggera fame a dominare il mio stomaco, ma guardando quegli scarti, mi passò la voglia di cercare qualcos'altro da mangiare in cucina. Mi presi qualche minuto per scendere dal divano e percorrere a piedi nudi i pochi scalini per raggiungere il bagno al piano superiore.
Di fronte allo strato di vetro liscio attaccato a una parete della stanza mi riflettevo, mentre con cura mi sfilavo da dosso i pantaloni del pigiama, per poi ripiegarli e appoggiarli su un mobiletto di acciaio laccato. La mia figura era ferma lì, come fosse stata fotografata. Mi sfilai anche la maglietta grigia da dosso, scoprendo il mio ampio petto che si alzava e abbassava lentamente e costantemente, i capelli rossi quasi a toccarmi le spalle leggermente punteggiate dalle lentiggini, alcune sottili ma indelebili cicatrici sparse lungo il busto e una ancora più estesa sul fianco destro, come fosse stato fatto di proposito, come fosse stato fatto per decorarlo. Cominciai a lasciar scorrere l'acqua calda nella doccia, continuando a far muovere i miei occhi verdi lungo la mia immagine nello specchio, senza alcuna espressione comprensibile sul volto, fin quando il vapore non invase la stanza, annebbiandone i contorni.
Non opposi resistenza, sospirando, alla violenza del getto d'acqua contro il mio corpo. Lasciai che l'acqua scalfisse anche da fuori quelle membra che agli occhi meno attenti sarebbero potute sembrare forti e infrangibili, ma che viste da dentro, in realtà, erano diventate fin troppo consunte. Il fruscio che gli schizzi e i rigagnoli provocavano, fece ritornare a galla anche alcuni di quei ricordi misti a paure che desideravo solo fosse possibile seppellire in qualche anfratto della mia testa, per poi destinarli, inevitabilmente, al macero.
Le immagini finiscono di muoversi freneticamente a ritroso quando raggiungono un altro inverno, un altro periodo che avevo detestato; quello di due anni prima. Con un ampio sorriso e i capelli ramati raccolti da un laccio rosso fosforescente, oltrepasso il cancello della scuola, allora arrugginito e di un colore praticamente indefinibile. Raggiunto il mio armadietto, incontro Rick, anche lui con un largo sorriso sulle labbra. Sembro, immotivatamente, divertirmi al primo abbozzo di una stupida battuta che prova a lanciare. Non ricordo, o forse sono riluttante nel rispolverare queste memorie, perché fossimo entrambi così felici di incontrarci, di vederci, di passare quel misero tempo insieme. Come se fosse la prima volta, come se fosse una cosa speciale, unica e irripetibile. Rick non è altro che un essere viscido e orrendo. Non so, non voglio sapere, perché, nel mio cervello, non lo descrivessi in quel modo già da allora.
C'è un salto di qualche ora. Il vuoto regna nella mia mente per qualche istante. Poi la luce ritorna ancora. Mi acceca. Qualcuno ha pigiato i pulsanti d'accensione della luce artificiale. Il Sole è calato velocemente, il pomeriggio ha fatto finta di prendere parte alla giornata, lasciando subito il suo posto al buio della sera. Manca poco alla fine delle lezioni; solo una manciata di ragazzi è rimasta nell'aula. Pensandoci, anche se sia ancora sera, sono ancora a scuola. Non ci sono lezioni a quell'ora e mai ci sono state. Questo è un prolungamento delle ore scolastiche oltre l'orario, come punizione. Non oso neanche tentare un'ipotesi su cosa possa essere arrivato a fare, andando addirittura contro la mia stessa indole, pur di continuare a vedere e a scherzare stupidamente con Rick.
Lo guardo con occhi sognanti, come fosse un'immagine idilliaca, come fosse un prodigo concesso alla visione di pochi, destinato a durare per pochi istanti e scomparire senza lasciare la minima traccia. Mi sento spaccato in due, questo lo ricordo. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, cosa mi circondasse, cosa mi stesse accadendo. Non riuscivo a capirmi più. Tutto aveva preso a girare intorno a Rick e avevo preso ad avere occhi e testa per nulla e nessuno tranne che per lui. Non era normale, non era sano. Forse per un po' sono stato perfino orripilato da me stesso. Ma non potevo trattenermi. Non più.
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Remembrance - Tematica gay
Teen FictionNella memoria di ognuno di noi è insito sempre almeno un ricordo che ci rattrista e che ci fa ritornare indietro ad un momento infelice della nostra vita. Potremmo anche non essere d'accordo, ma per avere ricordi felici, bisogna averne anche di infe...