5 - Just, thank you

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Non mi ero arreso e per due giorni consecutivi avevo messo da parte tutto, compresa la scuola e il cibo, mi ero volutamente dimenticato di tutto, anche del fatto che la governante non avesse dato segni di vita da tre giorni a quella parte, per dedicarmi alla ricerca di Luke. Non avrei mai potuto darmi pace con così tanta facilità, senza sapere precisamente dove fosse, ma soprattutto cosa gli stesse accadendo. Alla fine riuscii a convincere il portiere a farmi salire quelle rampe di scale che mi separavano dall'appartamento di Luke. Non era colpa sua, mi aveva dato l'impressione che fosse una brava persona, se non fosse per il fatto che qualcuno gli avesse imposto di non lasciare passare nessuno per raggiungere quella casa.

Perché quella nel quale ero entrato titubante, varcando la porta d'ingresso lasciata socchiusa, era sul serio una casa. Un odore di dolci appena sfornati e di detersivo alla pesca mi invase i polmoni in un attimo. Mi sfilai le scarpe, attento a non fare il minimo rumore, né a graffiare il prezioso e delicato parquet poggiato sul pavimento. Era tutta un'altra sensazione, ti permetteva di entrare in contatto con quella struttura. Mi sembrava quasi di essere un albero che si sente per la prima volta a proprio agio piantando le proprie radici in un terreno morbido, caldo, accogliente. Era un piacere per la vista e per la mente ammirare i mobili colorati e i muri abbelliti con decine e decine di foto e cartoline incorniciate. Saltava subito agli occhi che quella era una casa vera. Una casa in cui si poteva passare le giornate in tranquillità, al sicuro. Una casa in cui si potesse vivere.

Smisi di sorridere per tutta quella perfezione, quando cominciai ad udire un respiro cupo, profondo e pesante. Dei singhiozzi. Un pianto malamente trattenuto. Riconoscevo quei suoni, li avevo fatti miei in tutte le volte che li avevo provati in prima persona. Mi avvicinai cauto verso una stanza del corridoio color salmone, passando oltre una cucina abbastanza piccola. Ero quasi certo che il suono provenisse da lì. Aprii con estrema lentezza una di quelle tante porte di legno massiccio e mi potei affacciare su una stanza che differiva in tutto e per tutto dalla mia. Era piena zeppa di mensole di legno massiccio cariche di libri di ogni forma, colore e dimensione, posti apparentemente alla rinfusa. Un'altra grande parte della stanza era occupata da un armadio poco capiente e da una scrivania altrettanto confusionaria. Solo una cosa mi era tremendamente familiare: il letto posizionato esattamente sotto una larga finestra con le tende bianche ad oscurare la luce ed un ragazzo abbandonato a se stesso sul materasso. Era Luke. Stava piangendo, come colpito da una delle peggiori sciagure mai narrate dai tragediografi greci. Era troppo perché potessi reggerne ulteriormente la vista.

Non ci pensai più di tanto. Forse non ci pensai per niente a quel gesto, senza soppesarne, come invece ero solito fare, i pro e i contro. Con quanta più delicatezza potessi, mi sedetti a gambe incrociate sul letto di Luke. Eravamo uno di fronte all'altro, ma non potevo guardarlo. Continuava a fissarsi i pantaloni grigi da ginnastica che indossava. Guardavo i suoi piccoli ricci scuri ondeggiare ritmicamente, insieme allo strusciare del vento contro il vetro della finestra. E fu un attimo. Tutto accade mentre ero impotente, perso nell'ammirare la scena che avevo attorno. Quando mi sentii invadere da un'ondata di calore improvviso. Non ricordavo avessi mai provato tutto quello prima di allora. Era una sensazione tanto nuova quanto stupenda. Luke mi aveva trascinato nelle sue braccia. La sua fronte riversa sulla mia spalla, io appoggiato dolcemente alla sua.

Non avevamo bisogno di parole. In quel momento avevamo solo bisogno ognuno del conforto dell'altro, ognuno del calore che l'altro emanava. Quella casa aveva una dose di calore già di per sé abbondante, ma malgrado ciò, anche Luke, come me, praticamente da quando ne avessi memoria, aveva un terribile freddo a gelargli le membra. Stava cominciando a sciogliersi, a lasciarsi andare. Ed anch'io con lui, potei riassorbire tutti i sentimenti e le emozioni che da tempo scacciavo violentemente. Mi sentivo come una metà di una eterna e inimmaginabile scultura, colma di centinaia di sfaccettature, ognuna diversa da quella adiacente, ma allo stesso tempo, se messe assieme, se viste nel complesso come fossero tutte un'unica cosa, erano in perfetta armonia. Rimanemmo così, immersi in quell'aura di armonia e unicità, per una mole di tempo indefinito, troppo grande e densa di significato da poter essere misurata come fosse un banale ammasso di secondi da aggiungere al resto del giorno.

Remembrance - Tematica gayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora