XXIV (Bart)

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'Mi fai schifo'
...
'Sei solo uno stronzo'
...
'Vattene'

Uscii senza dirle niente.
Uscii senza preoccuparmi di consolarla.
Uscii mentre stava piangendo disperata e non la degnai neanche di uno sguardo.
Uscii da quella stanza con il cuore frantumato in tanti, troppi inutili pezzi.
Uscii lasciando il mio cuore lì, in quella stanza, distrutto, come il biglietto che le avevo scritto e che lei aveva strappato senza nessuna esitazione.
Avevo lasciato che fossero i sentimenti a dirmi come rigare con la penna quel candido foglio bianco, avevo lasciato tutto me stesso su quel foglio e lei lo aveva gettato via; proprio come si fa con le cose stupide e inutili.
Scesi le scale e senza preoccuparmi di dire niente a Kate, uscii da quella dannata da casa, allontanandomi da lei e da me stesso, non sentivo più niente, il mondo era tornato a girare intorno a me con la sua solita lentezza mentre tutto si era incupito diventando grigio e freddo, come il mio umore e la mia anima nera.
Arrivai in strada, la luce biancastra della luna e il deciso pizzicore dell'aria mi accolsero.
Ero stato uno stupido ad illudermi che lei potesse amarmi ancora, ero stato uno stupido a credere che lei potesse amarmi dopo tutto quello che le avevo fatto, ero stato uno stupido a pensare che dopo averla tradita, dopo che avevo tradito il suo prezioso amore, lei potesse tornare da me; ero stato uno stupido a credere che dopo averla tradita, lei potesse volermi ancora. Erano successe troppe cose perché tutto potesse tornare come prima, erano cambiate troppe cose perché tutto potesse tornare alla magnifica spensieratezza, che mi fu dato il piacere di provare, quando lei era a casa mia, per trascorrere le vacanze; era passato troppo tempo, e il suo scorrere inesorabile ci aveva fatti cambiare.
Salii in macchina e misi in moto, appena il rombare del motore risuonò prepotente nelle mie orecchie premetti con il piede a tavoletta sull'accelleratore. La mia Audi schizzò in avanti, catapultandomi nella notte viva e splendente di Los Angeles.
Era stato sorprendente risentire la sua pelle contro la mia, fu come se l'inverno fosse arrivato all'improvviso e il freddo più rigido mi stesse circondando, ma stringerla a me mi aveva fatto stare tranquillo perché il suo calore era stato lo scoppiettare fragoroso del legno sul fuoco che, era stato il riparo che mi aveva riscaldato, facendomi sentire al sicuro dall'indifferenza del mondo.
Averla così vicino mi aveva fatto sentire veramente vivo, stringendo tra le braccia quella piccola e stupenda creatura, ero riuscito a capire perché il destino aveva voluto farmi nascere.
Forse la sofferenza che eveva accompagnato la maggior parte della mia triste esistenza, era stato il prezzo da pagare per poter avere l'onore di stare accanto a un angelo che con un solo sorriso era riuscita a rendere splendenti tutte le mie giornate che da troppo tempo, erano sempre appesantite da un cielo plumbeo, e che con i suoi occhi limpidi e cristallini era riuscita a mostrarmi tutte le paure che avevo nascosto nelle profondità della mia anima scura e il mostro che quelle paure, mi avevano fatto diventare.

Non ricordavo che il suo profumo fosse così dolce, sarei voluto restare per sempre con il naso tra i suoi morbidi capelli dorati mentre le accarezzavo, piano, la schiena e la sentivo tremare sotto il mio tocco esperto e delicato.
Sorrisi senza accorgermene e frenai bruscamente. Le parole piene di veleno che mi aveva sputato contro mi assalirono facendomi boccheggiare, non riuscii a sentire l'assordante e infernale rumore che il suono dei clacson degli altri automobilisti aveva creato; non riuscii a sentire le loro imprecazioni decisamente poco lusinghiere che non mancarono di urlarmi contro appena mi passarono accanto.
Appoggiai la testa sul sedile e lasciai il volante.
Non avevo mai amato Lucy, forse il mio corpo aveva amato il suo, ma nel profondo non avevo mai provato niente per lei; non ero mai stato divorato dal desiderio, dal puro desiderio carnale e lussurioso di perdermi in lei. Non avevo mai provato niente per lei, che andasse oltre il banale e semplice affetto. Nessuno era mai riuscito a farmi sentire quella strana sensazione che mi faceva avere le vertigini, nessuno aveva assopito i miei sensi mettendomi in balia dell'istinto più selvaggio e controllato di essere amato, nessuno era riuscito a  mettermi in balia della forza che mi aveva annientato e che mi aveva aiutato a rialzarmi dopo che la quotidianità mi aveva costretto ad affrontare, forse troppe volte, il dolore più atroce e la sofferenza più straziante; nessuno c'era mai riuscito, tranne Christine.
Quell'istinto naturale e innato, anche in me, era l'amore; il bisogno fondamentale e prezioso di essere amato; quell'istinto era la necessità di vivere per l'altro e sapere che non ci sarebbe potuto essere un domani senza quella parte di te che con la sua spensieratezza era riuscita a rubarti il cuore. Per me non c'era più stato un domani da quando Christine se n'era andata, da quando era scappata via, dopo che avevo detto quelle cose orribili e false su di lei. Non avevo mai pensato a quelle cose che la rabbia mi aveva fatto urlare, con disprezzo, quando ero con Christopher; non potevo né volevo pensare quelle cose su di lei.
Sospirai rumorosamente e scesi dalla macchina, anche se mi odiava e nutriva ribrezzo nei miei confronti non potevo andarmene e lasciarla sola di nuovo, non potevo farlo, non dopo che lei era rimasta con me mentre l'ombra buia e pesante del coma non voleva farmi aprire gli occhi. Un brivido mi percorse la schiena, mentre la morbidezza ovattata della sabbia accolse i miei passi. La leggera brezza, che si era alzata dell'enorme specchio scuro che la notte aveva reso l'oceano, fece muovere i miei capelli.
Non l'avrei lasciata ancora una volta, ma avevo bisogno di pensare a tutto quello che era successo.
Prima che potessi sedermi sulla distesa giallastra di sabbia, ricordi frantumati e sfocati di quello che mi era successo e che avevo fatto di tutto per cancellare, tornarono ad affacciarsi minacciosi nella mia mente.

Due fari che mi venivano addosso.
La macchina che sbanda.
La paura.
L'angoscia.
Il buio.
Un profumo dolciastro e lontanamente familiare che mi circonda.
Ancora il buio.
L'ospedale.
La morte.
Il bacio, che mi aveva sottratto dall'inferno.

Ansimai bisognoso d'aria mentre un enorme nodo mi strinse la gola.
Smisi di respirare e come se fosse un gesto automatico guardai il cielo pieno di stelle. Qualcosa era volato in cielo, qualcosa, qualcuno se n'era andato, abbandonato troppo presto, dalla vita.
Una lacrima cadde calda, rigandomi il viso.
"Christine" urlai senza fiato, mentre la disperazione serró i suoi artigli sul mio cuore distrutto.
L'angoscia mi appannó la vista, mi voltai e correndo andai verso la macchina.
Dovevo tornare da lei, anche se sapevo che non lei non sarebbe stata con me, sentivo che lei, ormai, non era più di questo mondo.
Misi in moto, mentre la mia anima abbandonó il mio corpo, con gli occhi sbarrati davanti a me, che non riuscivano a vedere niente, ingranai la retromarcia e facendo stridere le gomme sull'asfalto feci voltare l'Audi; misi la quarta e premetti fino in fondo la leva dell'accelleratore con un sobbalzo la macchina inizió la sua corsa in mezzo al traffico di Los Angeles.

Spensi il motore e feci scendere l'inutile e vuoto contenitore che era diventato il mio corpo. Arrivai davanti al portone di casa sua e poggiai la mano sulla maniglia dorata, l'abbassai e forse per una strana volontà divina aprii la porta, senza che ci fosse il bisogno di nessuna chiave.

Salii velocemente le scale, fino a quando non arrivai nel posto in cui l'avevo lasciata a disperarsi, la camera era vuota e l'oscurità l'avvolgeva; dal bagno invece, oltre che alla luce incorporea di un'alogena, proveniva anche un pianto disperato.

I peggiori presentimenti diventarono realtà quando vidi Kate piegata a terra, che teneva sulle ginocchia la testa di Christine. Le sue labbra velate di viola, erano piegate in una smorfia di puro dolore; i suoi occhi voltati verso l'alto, non lasciavano vedere altro che non fosse il bianco latteo della pupilla, mentre nella sua piccola mano stringeva una confezione di sonniferi vuota - fu questo, quello che riuscii a leggere dallo spazio che le sue dita irrigite avevano creato - sembrava che stesse dormendo profondamente, sembrava che stesse sognando, sembrava solo, che un incubo fosse arrivato per tormentarla, ma sapevo che, in realtà, non era così, sentivo che non poteva essere così...
"É morta" sussurró Kate raddrizzando le spalle.
"É morta"

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