L'arrivo in paese di una pazza

279 22 77
                                    

Quando il Dottor Blood disse a sua figlia di doversi trasferire in Giappone per lavoro, evitò di dirle dove. La giovane Hannah Emily, nella sua esperienza di diciassette anni, accolse la notizia con un piacere che suo padre non si sarebbe mai aspettato. Certo, Hannah non sapeva quale fosse la giusta destinazione, e forse era questo a renderla del tutto felice. La sua mente viaggiava rapidamente ai karaoke di Tokyo, ai quartieri di Osaka, l'oceano di Fukuoka. Le luci, i sapori, la vita agrodolce del paese nipponico. E ne era entusiasta. Il che era una cosa veramente rara perché Hannah Emily Blood non era entusiasta quasi di niente, se non della sua gatta da lei battezzata 'Chimera'. Era una ragazza vivace ma seria, le piaceva stare tranquilla e non sopportava la minima punta di egoismo. Passava i suoi giorni facendo passeggiate con la sua gattina dagli intelligenti occhi gialli e facendo così amicizia con i gatti randagi del quartiere. Molti la definivano 'la psicopatica amante dei mici' e forse avevano ragione. Coinvolta nel mondo dei piccoli felini dalla punta dei capelli fino a quelle delle dita, Hannah portava sempre sui capelli castani un cerchietto con finte orecchiette da gatta. Ma a lei non importava, conservava il suo orgoglio, ed era questo che la bastava. Fu così che si rese subito partecipe alla partenza e la famiglia Blood si trasferì dunque in Giappone. Suo padre, il dottor Blood, era un uomo sulla cinquantina, a cui piaceva molto scherzare ma che prendeva il lavoro assai seriamente. E sua moglie, una donna amabile, cucinava delle torte deliziose. Nessuno prima d'ora aveva dubitato della famiglia di Hannah, questo però prima di arrivare a Hiyoshi. Quando scese dall'auto, dinanzi alla nuova casetta, Hannah aveva già la faccia contrariata come se avesse ingoiato un limone. Chimera graffiava e soffiava nella sua gabbietta da viaggio. Dov'erano i karaoke? E le tabelle luminose? I ristoranti di sushi e, soprattutto, dov'erano le persone? L'auto era parcheggiata in una distesa verde, su una stradicciola piena di piccole pietre. C'erano qualche casetta e un negozio aperto 24 ore su 24 poco più avanti. Hannah voltò su sé stessa, a bocca aperta. Tutto intorno a lei era verde, i raggi del sole splendevano illuminando le vivissime cortecce e le lunghe distese di coltivazioni: canne da zucchero, piantagioni di tè e riso, tanto ma tantissimo riso. Il villaggio sorgeva tra le colline, e il cielo blu sembrava una pennellata di smalto. Certo, sarebbe stato un bel panorama se non fosse per la delusione di Hannah. Furiosa, ella marciò fino in casa. Diede una rapida occhiata al corridoio col pavimento di legno e aprì la prima porta che si trovasse di fronte. Scelse dunque senza esitazioni la sua camera, poggiò la gabbietta a terra e fece uscire Chimera. La gatta fece le fusa intorno alle sue caviglie, poi si rintanò sotto un mobile che Hannah aprì, cominciando a gettarvi dentro i vestiti.

"Tesoro", mormorò il dottor Blood, entrando silenziosamente nella camera.

"Vattene", rispose Hannah senza voltarsi. Afferrò una cintura e la gettò ferocemente in un cassetto.

"Sapevo che saresti rimasta delusa, per cui io..."

"Avresti potuto dirmi che non saremo andati a Tokyo? Si, dovevi farlo".

Gli occhi le si erano inumiditi e il padre capì che doveva andarci cauto se non voleva ricevere un esplosione di lacrime e urla in piena faccia. Ormai viveva con sua figlia da diciassette anni, la conosceva anche troppo bene. "Cosa ti ha fatto pensare a Tokyo?".

"E me lo chiedi?", le mani le tremavano. "Chiunque penserebbe a Tokyo se si parla del Giappone. A meno che tuo padre non specifichi la destinazione corretta, prima di scaraventarti dall'altra parte del mondo".

Suo padre capì dove albeggiava la frustrazione. Non il fatto di non essere a Tokyo, bensì di averle mentito. Si sedette sul materasso vuoto e la guardò apertamente. Se c'era una cosa che Hannah non poteva criticare a suo padre, era la sua forza di non abbassare mai lo sguardo quando le parlava.

"C'è una cosa molto brutta che sta accadendo in questo villaggio", disse sottovoce. Hannah abbandonò l'aria furibonda e si andò a sedere a pochi centimetri di distanza. "Stanno facendo molte ricerche, la scienza medica non riesce a raggiungere il nocciolo della questione. La cosa mi interessava molto. E così ho fatto domanda per un trasferimento e venire a vedere coi miei occhi. Anche la mamma ha accettato come analista. Dobbiamo capire cosa sta succedendo alla povera gente".

"Perché... cos'ha che non va?", sbottò Hannah. Metà di sé era interessata alle parole del padre mentre l'altra pensava ancora ai giardini di Tokyo.

"Qui la gente muore, Hannah. Di punto in bianco. Ieri sono sani, e domani muoiono. I medici non sanno più che fare, né come impedirlo. Le analisi indicano una profonda anemia ma è strano, se il giorno prima eri in salute".

"E' per questo che le strade sono vuote?", ora Hannah ripensava a ciò che i suoi occhi avevano visto una volta scesa dall'auto: desolazione. "La gente si chiude in casa?".

"E' già morto un terzo della popolazione. Non che qui ce ne sia molta. Voglio indagare, Hannah! E non potevo farlo da solo, ho bisogno del sostegno della mia famiglia".

Chimera balzò in grembo al dottor Blood e miagolò in cerca di coccole. Sembrava d'accordo e approvava. Così Hannah si ritrovò ad annuire. Mezz'ora dopo s'infilò il pigiama benché fosse ancora giorno. Aveva dato un aspetto abitabile alla camera che ora sembrava proprio l'accampamento di una ragazza, con l'aggiunta di una decina di poster sui gatti. Con un sospiro triste, ripensando a quanto grande era la sua vecchia camera, Hannah si affacciò alla finestra. Si trovava al primo piano ma non era molto alto. Osservò il crepuscolo. Mai in vita sua l'aveva visto così vicino, come se stesse guardando un quadro. Forse perché non si era mai accorta di quanto potesse essere bello il mondo al di fuori della sua camera. Il sole, come un enorme disco arancione, calò lentamente dietro le colline e le prime scie d'oscurità si allargarono nel cielo. Chissà come sono le stelle viste da un villaggio rurale, pensò Hannah con curiosità. Più luminose. Magari più grandi? Le stelle giapponesi erano le stesse che si potevano vedere da casa? Erano molte le domande che le si affacciavano nella mente, come un turbine di parole, e con un sorriso le mise a tacere. Il cielo era troppo bello per pensare. Voleva goderselo. Fu allora che Hannah lo vide per la prima volta: un gattino nero dagli occhi estremamente blu, così blu da spiccare come lampadine nel buio, la stava fissando dall'altra parte della strada, sfiorando il bosco. Hannah fu pervasa dall'eccitazione. Quanto desiderava accarezzare un gatto nero, sfidando i pregiudizi di molte persone che conosceva! Ma quando tornò a guardare, strizzando gli occhi per guardare meglio, il gattino era sparito. Nemmeno le foglie dei cespugli fremevano come se fossero appena stati attraversati. Tutto immobile. Povera Hannah Emily Blood, ora aveva anche le allucinazioni!



LapislazzuloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora