Tutti seduti allo stesso tavolo,pronti per pranzare tra chiacchiere,risate e schiamazzi osceni. La buona e gentile signora Hallison,puntuale come sempre,stava servendo le sue deliziose portate. Era una donna robusta,di mezza età,le guance rosse e paffute,gli occhi neri come la pece,i capelli tremendamente marroni,ma lisci e morbidi come la seta. Oramai era la vittima abituale delle incessanti burla di quei ragazzi,che si divertivano a prendere in giro la gente. L'ennesima battaglia di cibo. Pezzi di carne seguiti da patatine sottili e taglienti volavano da una parte all'altra della mensa tra risatine acute ed insulti pesanti. D'improvviso tutti sull'attenti,immobili e con l'espressione attonita di chi sa di aver commesso un crimine ma fa finta di essere innocente. L'illustrissimo e impeccabile preside Rivers era in piedi davanti a noi,ritto,con il viso calmo e rilassato di chi ha molta esperienza alle spalle e sa già come agire in certe situazioni. Era un uomo ormai anziano,aveva i capelli di un grigio pallido,bianchicci,gli occhi di un verde carico ed acceso,il naso leggermente schiacciato. Era magro come uno stuzzicadenti,ma nonostante questo era dotato di una certa eleganza e,bisognava ammetterlo,di estremo fascino. Avevamo tutti le mani dietro la schiena con i pugni serrati,pieni di poltiglie di quelle succulenti pietanze. Vivevo quella scena ogni giorno,era una sorta di déjà vu. Ma di quel giorno ho isolato una singola immagine,un ricordo. Il preside Riverso aveva incominciato la sua quotidiana ramanzina,talmente ripetitiva che avrei potuto farla io al suo posto. Involontariamente i miei occhi smisero di fissare la bocca del preside,cercarono altrove,mi voltai leggermente di lato. Al tavolo a fianco al nostro c'era solo un ragazzo,James Wilson. Ci guardammo. Era un ragazzo piuttosto alto e sulla sua testa spiccavano migliaia di piccoli riccioli di un biondo dorato. Portava sempre gli occhiali,come se fossero incollati dietro le orecchie. Aveva la media più alta di tutta la scuola. Tutti lo prendevano in giro gridandogli contro "riccioli d'oro",oppure "secchione" ed altri epiteti che a me parevano scontati e patetici. Ai miei occhi risultava una persona normale,un po' come tutte le altre,mentre agli occhi di quegli attaccabrighe pareva una preda facile,indifesa,incapace di farsi rispettare. Lo rivedo a quel tavolo, prima che le cose precipitassero,prima che la situazione sfuggisse di mano. Circa un mese dopo,infatti,quegli esseri....inqualificabili dalle offese erano passati alle mani: veniva pestato a sangue ogni santo giorno,giusto per loro svago. Era coperto di lividi dalla testa ai piedi,camminava a testa bassa,vergognoso di se stesso,zoppicava,gli occhiali ridotti in pezzi che non nascondevano più gli occhi gonfi. Passando davanti al bagno dei maschi lo si sentiva piangere,un pianto straziante e commuovente. Veniva picchiato anche nel mezzo del corridoio,davanti al suo armadietto. Eppure il corridoio era sempre popolato di gente,era come un'area di relax,dove gli alunni di fermavano a conversare tra loro. Nessuno vedeva né sentiva niente,nemmeno i professori. Bullismo e omertà avevano preso piede,parevano passeggiare avanti e indietro a braccetto in quel corridoio, formando un atroce e raccapricciante duetto. Un giorno James trovò i suoi adorati libri, che aveva accuratamente riposto nell'armadietto,in mille pezzi. Pagine da tutte le parti:alcune strappate e ridotte in pezzetti infimi come coriandoli,altre accartocciate fino a formare palline stropicciate. James le fissò sdraiato a terra,in silenzio. Dopo un po' provò a riattaccare i pezzettini uno ad uno. Gli si leggeva in faccia che non ne poteva più. Infatti arrivò un giorno in cui James esplose. Aveva tirato fuori dal suo armadietto scassato e devastato dai colpi di quel martello,assestati da quegli stupidi,una pistola. Non ne avevo mai vista una,era così maestosa ed elegante. Puntava quella macchina omicida su due dei bulletti. All'inizio sogghignava,un sorriso beffardo,che si trasformó via via in una risata terrificante. Solo pochi curiosi erano rimasti a guardare,ma nessuno osava aprire bocca. Sapevo che sarebbe successo. Ho sempre pensato che una persona possa convivere quotidianamente con la violenza finché questa non lo travolge,finché questa ecco...non lo prende in pugno. È allora che vince,quando riesce a farti fare qualsiasi cosa lei voglia. James voleva ribellarsi,voleva far paura ai suoi aguzzini,ma non voleva vendicarsi sparandogli. Per un po' resistette alla pistola,voleva usarla per spiegarsi,per parlare,per domandare soprattutto. COSA AVEVA FATTO DI MALE? PERCHÉ ERA PERSEGUITATO DA TUTTO QUELL'ODIO? Queste domande erano nel suo pugno insieme alla pistola. Decise di farlo,mentre era scosso a tratti da singhiozzi lievi e spiazzanti. Le lacrime scendevano pure,cristalline,veloci. "Perché non mi prendete in giro ora? Perché non ridete? Mi avete picchiato per tanto tempo...ma adesso che ho questa in mano state zitti e fermi eh? Mi avete picchiato per così tanto tempo che oramai pensavo fosse una cosa normale...iniziavo a pensare che fosse giusto. Vi siete divertiti,ora tocca a me!" Io ero incredulo:"non sta accadendo" continuavo a ripetermi. Sentii una voce pacata e profonda alle mia spalle:qualcuno aveva chiamato la polizia. "Butta giù la pistola,James,va tutto bene" continuava a ripetere una dei due poliziotti,fissando negli occhi il ragazzo e accompagnando le parole a gesti misurati. Aveva distolto la sua attenzione dai bulletti. Ora James guardava quell'uomo in uniforme che gli veniva incontro piano piano. Sembrava nel panico. Si girò di scatto al rumore,uno di quei bulletti si era mosso. La pistola parve a James brillare nelle sue mani,fu veloce e precisa: un rumore meccanico che si prolungò in urla umane. La pallottola aveva colpito uno di quei ragazzi ad una gamba. Tutti correvano via da una parte e dall'altra creando una grande confusione: in mezzo,immobile,stava James. NON AVEVA VOLUTO SPARARE,NON LO AVEVA FATTO APPOSTA. La pistola aveva vinto,in qualche modo,e lo aspettavano brutti guai. Lui...lui...non li avrebbe affrontati:si puntò la pistola alla testa,chiuse gli occhi e con la mano tremolante fece fuoco. Sono passati anni da allora,ma ora che mi ritrovo in quello stesso corridoio,ormai vuoto,mi sembra di vedere a terra un paio di occhiali rotti,davanti all'armadietto di James. Sono l'immagine della solitudine. Della completa solitudine. Quella in cui l'abbiamo lasciato noi,l'ho lasciato anch'io quel giorno in cui ho colto il suo sguardo. Avremmo dovuto sorridergli,avrei dovuto sorridergli. Avremmo dovuto capire allora che la violenza e indifferenza vanno sempre a braccetto...anzi...shh...sentite i loro passi nel corridoio?
//spazio autore
In questa storia vengono affrontati temi in cui molte persone possono riconoscere aspetti sgradevoli e dolorosi della nostra realtà: bullismo,omertà,indifferenza...
Voi cosa pensate a proposito di questi fenomeni? Concordate con il mio pensiero riguardo la violenza?
Commentate in tanti,datemi dei consigli e dite la vostra.
STAI LEGGENDO
James Wilson e la sua storia
Kısa HikayeJames non è un ragazzo come tutti gli altri;è dotato di una grande intelligenza che purtroppo non sa sfruttare. Le sue giornate sono caratterizzate da una continua violenza tale da convincerlo di essere costantemente in errore. Vuole cercare di camb...