1 V start

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"Chi sei?"
Furono le prime parole dopo mesi di silenzio.
I suoi occhi si aprirono di scatto, volarono veloci per tutta la stanza - non che ci fosse molto da vedere - e poi si soffermarono su di me. Il nocciola intenso che avevo imparato a conoscere cosi bene era stato quasi del tutto assorbito dalla pupilla nera e grande, estraneo come non l'avevo mai visto. Quegli stessi occhi che cosi tante volte mi avevano sorriso da lontano durante le lezioni, quegli occhi pieni di vivacità e voglia di vivere, mi guardavano ora vuoti.
È strano. Di solito quando ci si risveglia improvvisamente in un posto sconosciuto la prima cosa che viene da chiedersi é "dove sono?", o "come?", "perche?", nei casi piu disperati "chi sono?".
E invece no, anche in un letto di ospedale, leggera e fragile come un soffio d'aria che poteva sfuggirmi dalle braccia in ogni momento, quella ragazza riusciva a complicarmi le cose.
Chi ero io per lei, ormai? Come potevo dirle in poche parole tutti i nostri segreti, i pomeriggi di settembre, i brutti voti, le cioccolate calde della macchinetta e i primi amori che avevamo condiviso? Come potevo raccontarle con un solo sguardo di quando avevamo messo la sveglia per guardare l'alba e c'eravamo svegliate a mezzogiorno, o di quando le avevo insegnato ad andare in bici? Come poteva la parola "amica" contenere tutte le nostre risate?

"Sei a casa" le risposi. Era sleale, perche non era una risposta alla sua domanda, ma ormai che importava. Volevo che sapesse che era a casa, che io ero la sua casa. O forse era solo una delle tante formule di cortesia che si buttano li in queste occasioni, una delle frasi fatte che la maestra mi correggeva sempre. Prevedibile, scontata, come dopotutto ero sempre stata io, in contrasto con lei.
Eppure ci fu qualcosa. Un lampo nei suoi occhi, che mi fece pensare per un millesimo di secondo che si ricordava, che era ancora lei, che tutto sarebbe tornato come prima. Immaginai di correre a perdifiato a prendere il pullman e tutte le altre fantasie che ci facciamo quando vogliamo credere così tanto a qualcosa che ogni minimo segnale ci sembra una prova inconfutabile.

Ovviamente non successe nulla di tutto ciò, qualche mese dopo decisi di partire per il college. Fu l'ultima volta che la vidi, la mia Juliette.
Piccola e fragile, indifesa. Ma non era di me che aveva bisogno. Aveva bisogno di un'identitá, aveva bisogno di ricominciare e ne avevo bisogno anch'io. Fu di questo che mi convinsi alla partenza salutando chi restava con una manciata di sorrisi falsi e di "tornerò" che stavano a dire il contrario.
Per ultimi incrociai i suoi occhi, sperai fino all'ultimo secondo di vederci un cenno, qualcosa.
Poi il treno partì e da quel momento fu come se anch'io avessi perso i ricordi di quel che era stato; i ricordi non sono piu tali se non hai nessuno con cui condividerli, perdono importanza.



Se siete arrivati fin qui vuol dire che avete letto tutto, e anche solo per questo vi ringrazio. Mi fa molto piacere sapere cosa ne pensate, quindi se avete opinioni o consigli non esitate a scrivermeli.
Mar.

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