Quello che resta, oltre il cemento e l'ombra delle sbarre

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Che cosa resta, tu mi chiedi. Che cosa resta dei cocci di una vita quando cala la notte, e noi, sorpresi dalle tenebre, siamo persi. Soli e persi. Poco più che fantasmi nella mente di un poeta insonne, anime in pena che camminano a piedi nudi tra le schegge di vetro di una bottiglia in frantumi. Di un cuore in frantumi.

Cosa resta, tu mi chiedi. Eppure le vedi le mie catene, gelide e pesanti tanto quanto le tue. Vedi le mie ferite che nessuno ha mai medicato, vedi i miei occhi che da tempo hanno perso ogni luce. E allora che cosa chiedi a fare?

Tu, che guardi il mondo dalle tue scarpe rotte, che giri per stada come un figlio di fiori ormai appassiti, che sostieni di essere in pace col mondo, quando non se in pace nemmeno con te stesso.

Che cosa resta, al tramonto e all'alba di tutto? La nostalgia.

Che cosa resta, mi chiedi.

E tu, che giuri che il tuo destino ti appartiene, che la vita non la lascerai sfuggire come aria da una valvola rotta, che ti darai da fare una volta per tutte, mentre ti fumi una sigaretta con gli amici davanti ai cadaveri di troppe bottiglie.

Tu, che guardi il cielo ogni notte, nella speranza di comprendere l'infinito, arsa dal desiderio che qualcuno ti ricordi. Per sempre.

E tu, che con il tuo sguardo un po' perso dietro a un sogno, tu insegui un treno che ha già lasciato la stazione verso un orizzonte ignoto e lontano, aspetti una nave da tempo salpata.

Che cosa resta, oltre i pianti e le menzogne, oltre ai sorrisi e alle risate, oltre i rimorsi? Il ricordo, o forse nemmeno quello.

Che cosa resta, mi chiedi.

Tu, che vedi il mondo oltre le sbarre, che ne percorri l'ombra sul pavimento dei rimpianti, che ti prometti che il domani sarà migliore, mentre incidi tante piccole tacchette sul muro scrostato della coscienza.

Tu, che rincorri il domani a piedi scalzi, dimenticandoti oggi di ciò che eri ieri, tu che non ti fermi nemmeno quando vai a sbattere, tu che lotti, sempre.

Che cosa resta, dietro l'infinito gioco di maschere, quando gli attori si ritirano? Identità vuote.

Tu, che sicura di conoscere tutte le risposte affondi sempre più nell'abisso della chiusura, trascinata sul fondo da un vortice di solitudine.

E tu, che forse già conosci la risposta, che hai lacerato i polsi per liberarti dalle catene, tu forse lo sai. Conosci il prezzo della vita. Tu hai capito che la fine non esiste, sono soltanto tanti inizi che sfociano nell'eterno. Tuo o di qualcun'altro. Questo non ha importanza. Tu, che senti la vita scorrere dentro di te come un fiume in piena, levigando e scavando la tua anima. Perché hai capito che la libertà non è un bene da cassaforte, non è un animale da tenere in gabbia. È un cavallo selvaggio che corre nella prateria del mondo, che lascia impronte profonde nel terreno dietro di sé, che nitrisce forte verso il cielo, che non è stanco mai. Tu, che ti rendi conto di essere fragile, effimera, una farfalla nella bufera.
Tu, che scriverai la tua storia con l'inchiostro della consapevolezza, tu che mai vergherai la parola fine.
Resterai tu.

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Questo non è un vero e proprio racconto, ma spero che lo apprezzerete lo stesso.
Votate e commentate in tanti!

A presto!

La vecchia panchina del parco ~ racconti breviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora