La giungla

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Il rumore, le auto, gli alti grattacieli. La costante sensazione di essere osservati, la paura di venir trascinati via dal turbine caotico dello stress e del tran tran quotidiano. Per lui la città era una giungla, con i suoi pericoli, la sua violenza, la crudeltà della gente insensibile ai problemi degli altri, concentrata soltanto su sé stessa. L'aria pesante, unta e soffocante, satura del gas di scarico, scendeva nei polmoni bruciando impietosa ogni respiro. La città era una giungla, con i suoi palazzi grigi e impassibili che oscuravano il cielo, con le auto veloci che sfrecciavano sull'asfalto nero e cocente, sbucando dappertutto, ruggenti come belve. La città era una giungla, con la sua brutale legge di sopravvivenza e gli scontri tra le gang per le strade. Era il più forte a vincere, sempre. Non c'era spazio per i deboli.
Lui lo era.
Seduto sul marciapiede, appoggiato al muro scrostato della vecchia palazzina fatiscente, il vecchio osservava la vita scorrergli davanti.
Qualche isolato più in là, le strade pullulavano di turisti in cerca di lussuose boutiques, i tassisti imprecavano contro il traffico dell'ora di punta, i manager in giacca e cravatta lasciavano ancora indaffarati l' ufficio, stanchi dopo una lunga giornata di lavoro. Lui si trovava in un limbo. Non era né dentro né fuori. Lui viveva e non viveva. Lui osservava e basta. Viveva in uno spazio in bilico tra due mondi, indeciso a quale delle due parti appartenere. Da un lato la città vera, densa di vita, dall'altra il nulla, spezzato soltanto dalla lunga cicatrice grigia dell'autostrada. E in mezzo c'era il suo quartiere, malamente incastrato tra il tutto e il nulla, con i suoi edifici d'altri tempi che sembravano poter crollare da un momento all'altro, con le sue strade strette, buie, sporche e malamente rattoppate, pericolose di giorno, letali di notte.
Una giungla. Una giungla, ma non come quella del suo paese.
Chiuse gli occhi. Se si concentrava, se si estraniava per un istante da ciò che lo circondava, poteva ancora vedere gli alberi imponenti, giganti severi dalle folte chiome verdeggianti. Poteva ancora udire il canto sublime degli uccelli e la pioggia battere sul tetto di lamiera della capanna. Poteva ancora sentire i venti, quello leggero della stagione secca e quello più forte della stagione umida, accarezzargli il viso. Poteva ancora percepire il calore della terra riarsa sotto i suoi piedi e il profumo di quella bagnata nelle narici. Non aveva dimenticato il suo paese, anche se lo aveva lasciato ormai da molto tempo. Era fuggito. Si sentiva un codardo. Forse lo era. Ma quella di partire non era stata una sua decisione. In ogni caso, ora non poteva farci più nulla. Molti anni pesavano ormai sulle sue spalle, nessuno dei quali particolarmente facile o felice. Si sentiva vecchio. Non poteva lamentarsi della sua salute, era ancora forte e vigoroso nonostante l'età, ma si sentiva vecchio dentro. Avvizzito come una foglia sotto il sole cocente. Era lo spirito ad essere debole e stanco. Era annegato nella nostalgia e nella sensazione di impotenza e di oppressione.
Ma ora era giunto il momento di dare aria ai polmoni, di nuotare verso l'alto, verso la luce, di riemergere un'ultima volta. Riapri gli occhi e si rizzò faticosamente in piedi. Da quanto tempo era immobile? Il suo sguardo corse alla palazzina di fronte. Era quasi il crepuscolo, gli operai avevano già lasciato il cantiere e le impalcature vuote riflettevano debolmente l'ultima luce del giorno. Attraversò la strada e cominciò a salire. Qualcuno lo notò e diede l'allarme. Ma perché la gente non si faceva gli affari propri per una volta? Continuò imperterrito a salire. Un'ultima sforzo e sarebbe stato in cima. Le sirene dei pompieri e della polizia gli intimavano di scendere. Due agenti cominciarono ad arrampicarsi. Erano giovani e vigorosi, l'avrebbero costretto a scendere con la forza, ma di questo a lui non importava. Gli bastava ancora un attimo. Uno soltanto. Eccolo. Vide il sole tramontare rosso dietro gli alberi di cemento, un grande globo infuocato come quello della sua terra.

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Spero che la storia vi si piaciuta, nonostante sia molto breve. Non sono riuscita a fare di meglio, allungandola usciva troppo noiosa e lenta. Critiche e consigli sono ben accetti, ditemi cosa ne pensate!

Mi raccomando, votate in tanti, aiutatemi a diffondere questi racconti!

Grazie per aver letto fin qui e a presto!


La vecchia panchina del parco ~ racconti breviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora