HERO

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Per Terry Fox, che è stato un esempio di coraggio, volontà e generosità anche nella malattia.
Per Silvia, che purtroppo non ce l'ha fatta.
E per tutti coloro che hanno lottato e che stanno ancora lottando.

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... Never, never! Never give up on a dream!...
Cerco di canticchiare le ultime strofe della mia canzone preferita, mentre, con gli auricolari nelle orecchie, corro lungo la strada di campagna. Non ci riesco, e non per merito del mio "smisurato" talento canoro. Boccheggio. I miei polmoni reclamano aria, le mie gambe indolenzite reclamano riposo. Il metabolismo aerobico tanto caro al mio professore di ginnastica è già andato a farsi benedire da un pezzo. Come al solito, del resto. Quando corro lo faccio per sfogarmi, non ho altri scopi. L'unica competizione è quella contro me stessa. Mi spingo al limite ogni volta, senza risparmiarmi. Potrebbe sembrare un po' masochistico, ma in fondo mi piace tornare a casa con le gambe indolenzite, il cuore a mille e i polmoni che bruciano. Mi fa sentire viva, questo più di ogni altra cosa. Dopo una bella "corsetta" anche lo stress della giornata peggiore sparisce. Di solito. Non so se per tutto ciò che è successo oggi basterà.
Scaccio subito questi pensieri controproducenti e mi concentro sulla strada. Beh, più che una strada è un sentiero. Lo sterrato è irregolare ed invaso da radici. Le sagome degli alberi si riflettono nelle pozzanghere increspate dalla brezza. Lascio vagare lo sguardo nel paesaggio che mi circonda, seguo il profilo delle sagome scure degli alberi in contrasto con il cielo infuocato del tramonto. Mi perdo ad osservare un stormo di uccelli in rotta verso i cieli tropicali. Sono così liberi... loro non devono niente a nessuno. Nulla li vincola a terra. Sono i leggeri ed eleganti figli dei venti, custodi delle nubi, cantori della brezza.
Loro volano leggeri, così in alto e io...io corro, quaggiù. Più bassa della terra.

Qualcosa urta il mio piede. Un'attimo, e tutto si fa buio.

Dove mi trovo? Il sole sta sorgendo a est su un paesaggio che non mi è per nulla familiare. La strada è deserta e silenziosa. Soltanto il canto lontano di un gallo saluta l'alba pallida e gelida. Alle mie spalle sento sopraggiungere qualcuno. Mi volto, e vedo la sagoma snella di un corridore profilarsi nel cielo mattutino. Procede lentamente e la sua andatura è convulsa. Ogni volta che sposta avanti la protesi che rimpiazza la gamba destra, il suo volto si contorce in una smorfia di fatica. Ma non si arrende, né mostra segni di cedimento. Continua a correre. Una grande energia deve animarlo, per spingerlo a lottare così tanto.
Cerco di attirare la sua attenzione, forse può aiutarmi a tornare a casa o perlomeno dirmi dove mi trovo. Ma lui non mi vede. Mi passa acconto come se nulla fosse.
Sono sempre più stupita. Che cosa mi è successo?
Decido di seguire il ragazzo, prima o poi la sua strada lo condurrà in qualche luogo che potrà permettermi di orientarmi.
Infatti, dopo qualche minuto che corro dietro di lui, ecco apparire le prime case di un villaggio. Sul marciapiede, vedo una donna a passeggio con il cane. Il ragazzo si avvicina e, dopo qualche parola che non faccio in tempo a sentire, lei le lascia cadere delle monete nella mano. Lui ringrazia e se le mette in tasca. La donna, sorridendo, riprende a camminare con il suo cane, affondando le mani nel giaccone sdrucito e rattoppato. Anche lei pare che non mi veda. Ma io faccio in tempo a scorgere qualche lacrima inumidirle gli occhi e solcarle le guance.
Nel frattempo il ragazzo misterioso è già sparito tra gli edifici, mentre le strade cominciano a popolarsi. Vago senza meta per un bel po', e quando finalmente rinuncio a cercarlo, ecco che il ragazzo ricompare. È seduto su una panchina ricoperta di vernice rossa un po' scrostata, accanto a un bambino pallido e magro. Mi avvicino, tanto non mi possono vedere. Parlano.
"Ma andare in cielo è bello come dice la mamma? Perché i dottori mi hanno detto che se sono fortunato gli angioletti verranno a prendermi presto e mi porteranno con loro, ma io non so se voglio andare. Io voglio diventare grande e fare il pompiere come il mio papà, ma mi hanno detto che non posso. Che non potrò diventare grande. E poi adesso non c'è più nessuno che mi fa compagnia e che gioca con me. La mamma piange tutto il tempo nella sua stanza e non parla più.
Per questo voglio andare in cielo. Così non sarò più solo." Dice il piccolo con voce tremante.
Il ragazzo si avvicina ancora di più al bambino e gli sussurra nell'orecchio. Non me la sento di origliare.
Dopo un attimo, il bambino sorride timidamente e salta al collo del ragazzo.
"Ho cambiato idea" dice. "Non ho più così fretta di andare in cielo. Io, da grande, voglio diventare come te."

Mi volto e corro via. Non ce la faccio più a guardare. Non me lo merito. Mi vergogno di tutto ciò che ho fatto, detto, ma soprattutto pensato.
È sbagliato arrendersi così.
Se mai mi sveglierò, continuerò a lottare.
Sempre.

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Ciao a tutti! Cosa ne pensate? Votate e commentate se la storia vi è piaciuta o se avete qualcosa da farmi notare, critiche o consigli. La storia non è assolutamente autobiografica, non preoccupatevi!
Questo racconto è ispirato ad un personaggio realmente esistito. Il dialogo con il bambino è una mia invenzione. Questo racconto vuole, più che raggiunge la correttezza storica, essere un tributo a questo ragazzo straordinario.

"Never give up on a dream". Sono una capra in inglese, ma almeno questo messaggio sono in grado di capirlo. Spero che lo conserverete a lungo dentro di voi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 11, 2016 ⏰

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La vecchia panchina del parco ~ racconti breviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora