Capitolo uno

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La paura è un'emozione dominata dall'istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una suffragata situazione di pericolo; irrompe ogni qualvolta si presenti un possibile cimento per la propria incolumità, e di solito accompagna ed è accompagnata da un'accelerazione del battito cardiaco e delle principali funzioni fisiologiche difensive.

Sono seduto su una di quelle schifose seggioline di plastica che fanno rumore al minimo movimento. Mi guardo intorno e quello che vedo é buio.

"Gerard? Devo per forza?"

Lui annuisce e io sospiro. Devo farlo. Quando una donna esce da uno degli studi io sono terrorizzato.

"Iero?"

Mi alzo e entro nella stanza, lei mi sorride ma io non la guardo. Entro nella stanza e mi siedo sulla sedia girevole. Accenno un saluto ma lei é troppo presa a compilare dei fogli.

"Come ti chiami?"
"Frank Anthony Iero."

Lei lo scrive nella riga in alto prima di passare avanti.

"Quanti anni hai?"
"Sedici."
"Parlami di te."

Io annuisco e faccio un respiro profondo.

"I miei genitori sono separati, sono figlio unico e-"

Mi blocco. Non ho nient'altro da dire su di me. Cioè ho tanto da dire su di me ma non sono cose che si possono dire a tutti. Sono cose da tenere per se, non posso urlarle ai quattro venti.

"Perché sei qui?"
"Ho degli incubi e Gerard mi ha portato qui perché dice che magari hanno un significato."

Lei annuisce e scrive sui fogli bianchi. Che schifo. Non mi piace l'idea che qualcuno sappia tutto di me. Mi fa quasi vomitare questa idea, così rimaniamo in silenzio per quelle che sembrano ore ma in realtà sono una manciata di minuti.

"Bene, Frank, ci vediamo lunedì prossimo alle quattro e venti?"

Annuisco e lei scrive su un'agenda Iero ore 4.20.

"Arrivederci."

Lei mi scorta alla porta e quando io esco rimane a guardare Gerard.

"Way? Noi ci vediamo giovedì, giusto?" Gerard annuisce. "Bene, ricordati di prendere le medicine."

Con questo si alza e si precipita fuori dall'edificio. Io lo seguo e lo trovo appoggiato alla macchina, pallido e tutto sudato. Ha lo sguardo terrorizzato e gli occhi spalancati e mi sta facendo paura.

"G-Gerard? Stai bene?"

Gerard annuisce. Io mi avvicino a lui per cercare di tranquillizzarlo. Gerard allunga un braccio e mi tira contro di se. In poco sono stretto in un abbraccio. Gerard mi tiene stretto come se fosse un bambino in preda a un incubo che cerca conforto nella madre. Gerard ha paura. Gerard sta morendo di paura.

"Gerard, ehy, guardami. Gerard, va tutto bene, ti giuro che va tutto bene. Sali in macchina, ti porto a casa."

Gerard mi ascolta e si accuccia sul sedile del passeggero. Io salgo dalla parte del guidatore e metto in moto la macchina.
Ora dovete sapere che ho preso la patente di guida da poco e che quindi ho paura a guidare una macchina come quella di Gerard. Lui ci tiene alla sua macchina. La tratta come se fosse la cosa più importante e in una situazione normale non mi sarei mai avvicinato al volante ma questa é un'eccezione e Gerard ha bisogno di aiuto quindi prendo l'acceleratore e penso di essere ben fuori dal limite di velocità ma non mi importa.
Quando arrivo davanti a casa di Gerard lo sostengo fino alla porta. Suono il campanello e viene ad aprirmi un Michael sorridente.

"Frank! Cosa ci fai- mamma!"

Michael si precipita al fianco del fratello e mi aiuta a trascinarlo in casa. Lo fa sdraiare sul divano e cerca di farlo riprendere. In quel momento la signora Way entra in sala.

"Mikey, caro, che é successo?"
"Gerard! Guardalo!"

La donna si avvicina al figlio maggiore e io piano piano vengo spinto vicino alla porta. Sono di troppo in quella stanza e Gerard sta male, quindi decido di andarmene. Nessuno si accorgerà della mia assenza e ho paura di questo. Io andrò via e nessuno lo noterà. Io morirò e chi verrà a piangere sulla mia bara? Nessuno. Io sono Nessuno. E ho paura anche di questo.

Quando arrivo a casa mia mi accorgo che anche lì sono solo. Mio padre ci ha lasciati quando avevo sette anni. Una sera se ne é andato e a volte mi chiedo cosa fa, se ha altri figli, se si é risposato. La cosa più brutta, la cosa che mi fa più male é che lui é andato via senza dirmi niente. Quando la sera andavo a dormire lui era sempre lì con me è poi é sparito. Non gli importa, non gli importa niente se io sto male. Lui mi ha abbandonato e io sto ancora facendo i conti con il dolore e la paura di crescere così. Vorrei fargli una domanda, vorrei incontrarlo e chiedergli "perché sei andato via? Ho fatto qualcosa di male? Ho commesso qualche errore?" Mi sembrava che eravamo amici. Lui era il mio migliore amico. Stavamo bene prima, io stavo bene. Mi ricordo che quando ero piccolo lui mi veniva a prendere a scuola e mi portava a mangiare il gelato e in macchina ascoltavamo gruppi come i Ramones e cantavamo a squarcia gola. Io ero felice. Davvero felice ma poi tutto é sparito. Una mattina mi sono svegliato e lui non c'era, mia madre piangeva e io non capivo. Io ero la sua famiglia, é questo che per lui é una famiglia? Abbandonare un bambino e una donna senza dare motivazioni. Bhe, sapete che dico? Fanculo. Non mi importa più niente di lui. Lui non é più mio padre. Io non ho un padre.
Io non ho neanche una madre, mia madre é troppo impegnata a darmi la colpa per l'abbandono di mio padre per notare che io sto male. Non si accorge di niente. Non sa che fumo, non sa che mi faccio le canne. Non sa niente. Mia madre non sa niente di me. Lei non sa che io ho messo via tutti i risparmi di una vita per comprarmi una chitarra elettrica bianca e un amplificatore. Lei non sa che a scuola sono preso di mira dai bulli per motivi misteriosi anche a me stesso. Lei non sa che ho tentato il suicidio. Lei non sa che ho paura di vivere.

[Sto cercando di mantenere questa fanfiction il più simile all'originale possibile, okay? Riuscite ad indovinare a che canzone si ispira il pezzo dove parla del padre di Frank?]

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