L'infermieria della scuola era un luogo ormai familiare per i suoi occhi, l'odore di disinfettate e sigarette degli altri studenti galleggiava perenne in quel posto bianco e apparentemente lontano anni luce dalle altre aule della scuola. Anche se le sarebbe bastato aprire la porta per ritrovarsi in uno dei tanti corridoi della scuola.
Dondolò i piedi dal lettino, avanti e indietro.
Una.
Due.
Tre volte.
Poi entrò una signora sui quarant'anni, dall'aspetto ordinato e gentile, che quando la vide si fermò di colpo. La sua espressione era di evidente preoccupazione.
Probabilmente perché era la terza volta che si ritrovava davanti quella ragazzina, piena di graffi.
-Stavamo giocando a calcio nei campi fuori e la palla è scivolata dentro la siepe. Sono andata a recuperarla - si scrollò le spalle la ragazza, con le mani infilate sotto le coscia e la frangi che le ricadeva sul viso magro e pallido.
Anna lavorava da quasi vent'anni in quel posto e non aveva mai visto una ragazza più sbadata di quella, se davvero si trattava solo di quello. Era un piccolo paese e tutti conoscevano tutto di tutti, e lei era giunta li ad appena 6 anni, adottata dalla famiglia Neal, taciturna e riservata si era aperta solo alla madre addottiva, finché non era morta. Da allora il padre era sempre stato più assente sia per la figlia sia in paese. Aveva trovato un lavoro all'estero e viaggiava spesso.
E tutti avevano potuto vedere la chiusura a riccio della ragazza. E inspiegabilmente da un anno a quella parte aveva iniziato a frequentare l'infermieria.
Anna sapeva che potevano esserci altri motivi dietro a quelle faccende, ma preferiva ignorare, se la ragazza non gliene voleva parlare, lei non l'avrebbe obbligata.
Disinfettò i piccoli graffi sulle sue braccia e sulle gambe, chiedendosi se non fosse stato lei la palla che avevano buttato nella siepe invece del contrario. Ma tacque.
-Sono così maldestra...- la sentì mormorare.
-Oppure è successo qualcos'altro...- si lasciò sfuggire Anna.
A sentirla la ragazza si irrigidì, facendolo pentire di aver aperto bocca. Ma non era riuscito ad evitarlo, ormai era un appuntamento fisso e i lividi che quella ragazza aveva erano troppi.
-Devo andare.- esclamò scattando in piedi e scansandola spalancò la porta e corse lungo il corridoio della scuola, dalla parte opposta dell'aula dove avrebbe dovuto avere lezione. Le gambe sottili la condussero fino all'uscita di sicurezza nel cortile sul retro. Posò le mani sul muro sdrucciolato e respirò affondo. La pelle delle braccia era cosparsa da macchie più chiare e più scure che disegnavano ghirigori macabri e ricordi indelebili.
E si ritrovò a pensare a quanto odiasse le relazione con gli altri. Non era mai stata brava, aveva troppa paura.
Si morse il labbro inferiore, per poi immobilizzarsi sentendo una presenza vicina.
-Questa scuola deve essere davvero peggio delle altre, se fa correre via i propri studenti in questo modo...
Era una voce che non ricordava di aver mai sentito.
Ed era strano, perché una voce come quella non doveva passare inosservata, era profonda e suadente. Non esattamente musicale, ma di un timbro particolare che ti faceva rabbrividire e mettere in soggezione.
Una voce da non dimenticare, come la persona che la possedeva.
E Cècile l'avrebbe scoperto molto presto.
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Il Custode
ParanormalCècile non ha un passato, non ha una famiglia, non crede in niente, a parte nella paura. Nella paura che ha degli altri. Nella paura che ha di sé stessa. Finché nella sua vita non compare uno strano ragazzo, che sembra sapere di lei più di quanto l...