IV- una voce di troppo.

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La sala del Consiglio era affollata come non mai. Aveva ricevuto quel nome all'incirca settantacinque anni prima, quando i veterani erano ritornati vittoriosi dalla guerra contro gli Angeli e si erano resi conto che, per mantenere il controllo e amministrare la giustizia, fosse necessario gestire adeguatamente la società. Nessuno aveva mai creduto troppo nelle capacità dei Diavoli di far rispettare la legge. In effetti, a lungo andare, quell'aspettativa si era dimostrata veritiera. La sala era elaborata in alcuni punti, ma nel complesso risultava piuttosto semplice.
Il lungo lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto a cupola dava la sensazione che sarebbe potuto crollare da un momento all'altro e i banchi curvi della sala ricordavano quelli di un anfiteatro. Le file erano attraversate da lunghe rampe di gradini. Su quella che separava i posti centrali, Reeg se ne stava a braccia conserte, l'espressione vaga, la sensazione di disagio che si accentuava ogni minuto che passava. Sull'alto scranno posto a una decina di metri, davanti a quello che aveva tutta l'aria di essere un leggio alto e scomodo, Thomas Gendrick, attuale primo Ministro del Consiglio, sembrava più agitato che mai. Continuava a rovistare tra le scartoffie e le carte che affollavano il banco, la fronte corrugata, le mani attraversate da un leggero tremore. A Reeg non era mai andato a genio. Tutti nel regno di Daifàn erano a conoscenza dell'astio che correva fra i due, ma nessuno si era mai azzardato a farne parola per evitare futili discussioni. Nonostante questo, Reeg sapeva di essere migliore di Thomas. Era provvisto di più intelligenza, nonché di una grande forza di intuito, aveva coraggio da vendere e in cuor suo sapeva che, se gliene avessero concesso l'opportunità, sarebbe di sicuro stato un capo migliore di quel ciarlatano che gli stava ora di fronte. Tutti sapevano, inoltre, di quanta invidia Thomas provasse nei suoi confronti. Ma Reeg non ci aveva mai fatto troppo caso. Almeno fino a quando non parlò, quel giorno.

-Le nostri fonti hanno riscontrato la presenza di almeno un altro tùron fra le strade di una cittadina che i mortali chiamano Shendeyel, nei sottoborghi di New York, ma non sappiamo ancora quanto delle informazioni ricevute sia attendibile.-
La voce del primo Ministro si levò alta e tonante nella sala, rimbombando fra le quattro pareti spoglie. Reeg fece una smorfia. Gli sembrò di cogliere l'incertezza perfino nelle sue corde vocali. "Non sa nemmeno da dove cominciare".
Tùron era il termine con cui i Diavoli indicavano un Mezzosangue, essere impuro nato dall'unione tra un Angelo e un Diavolo, ma nessuno era a conoscenza del perché gli avessero affibbiato questo soprannome. D'altronde, nessuno si era mai posto troppe domande. Ai Diavoli non piaceva immischiarsi negli affari di Stato e di rimando, lo Stato non si adoperava affinché il popolo ne fosse a conoscenza. Era un'usanza disprezzata e rispettata al tempo stesso.
-Dobbiamo cercare di scoprire di più al riguardo- continuò Thomas Gendrick, in tono incerto.
-Naturalmente- accondiscese un uomo dai lunghi capelli biondo cenere che sedeva dietro un banco al suo fianco.
-Ma dobbiamo essere prudenti o gli Angeli ci dichiareranno guerra di nuovo. Sapete bene quanto riguardo abbiano verso quegli esseri insignificanti.-

Si percepì il disgusto trapelare da quelle parole, disgusto verso un popolo che non immaginava minimamente di esser considerato poco più che spazzatura.
Reeg si schiarì la gola, facendo correre la punta del suo stivale destro contro le dure piastrelle di pietra del vecchio pavimento. Era un atto che implicava incertezza, dubbio, perplessità. Un gesto che compiva assai di rado. Ma se era vera l'ipotesi che a Shendeyel si nascondevano altri tùron, allora dovevano approfondire e scoprire di più. E se quella teoria si fosse rivelata fondata il rimedio sarebbe stato uno solo: la morte.

-Dunque voi ritenete possibile una cosa del genere?- chiese una donna dall'aria arcigna che si trovava a pochi passi da Reeg. L'alto chignon che racchiudeva i capelli corvini le conferiva un tratto di superiorità e autorità che fecero inarcare le sopracciglia dell'uomo. Conosceva Margaret Brown all'incirca dal momento in cui aveva emesso il primo vagito e aveva imparato a convivere con il suo carattere non troppo incline ad essere piegato. Nonostante questo non l'aveva mai sentita parlare in tono così aspro e scettico, come in quel frangente.

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