13. - Ultimatum (parte II)

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Ci lamentiamo copiosamente,
ma diventiamo vigliacchi
quando si tratta di assumere provvedimenti.
Vogliamo che tutto cambi,
ma ci rifiutiamo di cambiare noi stessi.

- Paulo Coelho






ARIA.











La porta di legno scuro, palesemente rovinata, si richiuse alle mie spalle. Ormai percepivo quella camera come se fosse appartenuta a me da sempre, incondizionatamente dalla mia presenza o meno all'Accademia. Non mi era mai servito molto tempo per affezionarmi a qualcosa o a qualcuno. I legami hanno sempre rappresentato un intreccio indissolubile e indistruttibile, e questo – lo avevo compreso troppo tardi – si trattava di una conseguenza del bisogno di essere amata.

Mi avviai verso l'armadio e lo spalancai, nervosa, afferrando con poca attenzione l'unico vestito che vi avevo riposto. Era giunta la grande sera. Il 31 ottobre, Halloween, la notte in cui i veri spiriti sarebbero venuti a rivendicare le anime dei mortali.

Non andavo ad una festa dal giorno dell'aggressione e da allora mi ero ripromessa che mai più avrei partecipato ad una. Adesso, invece, stavo indossando lo stesso abito che si era sporcato di terra nel momento in cui ero caduta, afferrata da una forza sovrumana, e che forse si sarebbe potuto macchiare del mio sangue se qualcosa, dentro di me, non avesse fermato il demone che aveva operato. Con quello stesso demone, ora, mi stavo lanciando in una specie di operazione di salvataggio, a discapito di tutto quello che era accaduto nel passato e che, in caso contrario, sarebbe potuto trattarsi del mio futuro. Non avevo avuto il coraggio di spendere altri soldi inutili per rendere il mio viso apprezzabile, né mi era saltato in mente il fatto che ad una festa di Halloween ci si vestisse da vampire sexy. Oh, ricordavo benissimo come mi sentivo in imbarazzo ogni volta che Debbie – con il sostegno immancabile di Opal e Lucy – ad ogni party di Halloween mi costringeva ad indossare una gonna striminzita e un mantello attillato.

"Staresti una favola così", diceva. Io, ridacchiando e le guance paonazze, ritornavo spedita verso il letto dove avevo gettato un normale pantalone di jeans e una felpa.

Sospirai ed una lacrima mi rigò il viso, solcando ogni singolo dolore che fino a quel momento avevo sopportato con fatica. Ogni singolo attimo in cui la sofferenza era diventata insostenibile, dove avrei voluto urlare e scappare via. Come desideravo tornare alla vita normale di sempre: lamentarmi di mio padre, vivere con i miei zii, spazientirmi delle stupidaggini di Stephen e Christopher, e studiare insieme a Debbie, ridendo poi se lasciavamo perdere tutto. Anche questa volta avrei voluto abbandonare i problemi e le pene che mi affliggevano, che mi trapassavano il cuore come lame avvelenate.

Ore prima avevo abbracciato i miei zii, mentendo loro che sarei rimasta a dormire da un'amica.

- Non ti preoccupare, zia. Tornerò domani mattina, promesso – avevo detto ad Harmony, trattenendo i singhiozzi.

- Sì, tesoro, ma comportati bene –

- Vuoi che ti accompagni io? – era intervenuto zio Damien, accostandosi a noi. Avevo notato con profonda tristezza che tra i suoi capelli scuri spuntavano irriverenti ciocche bianche dovute allo stress.

- No, grazie – avevo rifiutato gentilmente. – Andrò da sola, la casa di Jane è a meno di un chilometro da qui –

- Ma...Aria, sai che non è sicuro – aveva ribattuto mia zia, gli occhi colmi di preoccupazione.

- Lo so. Ma non dovete stare in ansia per me – Avevo il respiro tremante. – Io...vorrei che tutto fosse normale –

Non era facile confessare i propri sentimenti alle persone che volevi proteggere a tutti i costi. Non ero poi così lontana dalla verità. – Vorrei poter camminare per le strade senza dovermi sentire seguita, pedinata e...in pericolo –

The Cursed Love - The "Immortal Kiss" TrilogyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora