4. - Tra le mura dell'Inferno

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Di qualunque cosa le nostre
anime siano fatte, la mia e la tua
sono fatte della stessa cosa.

- Emily Brontë



ARIA.







Trascorsi la peggior settimana della mia vita. L'unica persona in grado di distrarmi, in quei sette giorni di tortura, era stata Debbie. Avevo cercato in tutti i modi di non pensare al ragazzo dagli occhi grigio-neri, ma i suoi lineamenti marcati e lo sguardo corrucciato continuavano a far breccia nella mia mente. Quel giorno a scuola, durante la consegna degli orari, era stato come essere circondati da sbarre invisibili, senza la possibilità di uscirne; i suoi occhi che imprigionavano i miei, il brivido di attrazione che mi aveva scossa dal profondo. Non riuscivo a capire cosa fosse successo. In quei sette maledettissimi giorni mi ero trattenuta dall'aprire l'argomento con Debbie.
Nel frattempo, le acque sembravano essersi calmate tra i miei zii e Stephen, anche se preferivo non dare nulla per scontato.
Mi sentivo pienamente a disagio quando, al termine della Settimana di Riposo, montai sulla mia bici e mi diressi verso la scuola. Faticavo a pensare a come sarebbe stata la reazione di tutti: si sarebbero posti delle domande - cosa che non avrei biasimato - oppure avrebbero lasciato correre, come se non fosse mai accaduto nulla? Non lo sapevo, e ciò mi rendeva ancor più nervosa. Non avrei mai dovuto dar retta ai miei zii. Insomma, la mia assenza durante la prima settimana dell'anno scolastico sembrava alquanto insolita.
Quello che mi preoccupava di più, però, erano i ragazzi al corrente dell'accaduto.
- Sta' tranquilla, non fiateranno - aveva promesso Stephen.
- Come fai ad esserne sicuro? -
- Fidati, non volerà una mosca. Ho detto loro che si è trattato di un semplice incidente causato dall'alcool. In fondo, capita spesso ad una festa -
Quando arrivai nel cortile della Crystal Academy, constatai, con l'amaro in bocca, che gli studenti si comportavano fin troppo normalmente. Una vocina dentro di me urlava: "Sei solo una paranoica!". Forse aveva ragione, mi stavo ponendo sulla difensiva senza alcun motivo. O forse, stare semplicemente attenta non era un male.
Trovai Debbie seduta su una panchina, nel tentativo di sistemarsi i capelli neri in una coda.
- Ehi, D! - la salutai, sorridendo.
Lei si voltò verso di me e ricambiò il sorriso.
- A quanto pare, ci stai onorando della tua presenza - mi canzonò. - Finalmente -
Feci una smorfia e mi andai ad accomodare accanto a lei.
- Sì, beh, dopo una settimana di detenzione è giusto uscire fuori alla luce del sole -
Debbie stava solo cercando di far passare la mia assenza per un semplice filone e pregai che fosse abbastanza convincente.
- Giusto, dimenticavo tu fossi una vampira centenaria in crisi e dipendente dal sangue - sospirò teatrale. - Una settimana di bevute ti è bastata? -
Risi.
Proprio quando stavo per replicare in modo sarcastico, il rombo di un motore squarciò la cupola di chiacchiericci degli studenti. Da un'Audi nera laccata - e costosa quanto l'intera vecchia banca di mio padre - scesero Rebecca Williams e suo fratello. Mancava solo un tappeto rosso ed eravamo catapultati alla premiere di una sfilata di moda. Rebecca indossava una gonna a tubino nera striminzita e una camicetta blu di seta, che era tanto raffinata quanto scollata. Il fratello, invece, si era limitato ad una T-shirt nera che metteva in risalto i suoi bellissimi occhi e un paio di jeans. A quanto pareva, i due non sembravano soffrire il freddo.
- Ora spiegatemi perché quella lì ha un procione sulla testa - commentò acida Debbie, alludendo allo strano chignon di Rebecca. In effetti, diverse ciocche le ricadevano sulla fronte in modo particolare, ma decisi di ignorarlo e di evitare di ridere per la battuta.
I due si avviarono a passo svelto verso l'interno della scuola, non degnando di un'occhiata nessuno.
- Menomale che frequentano il quinto anno! - continuò la mia migliore amica. - Pensa se ce li fossimo ritrovati con noi nel secondo. Quando ho sentito dire che avremmo avuto nuovi studenti ho pensato: "Accidenti, fantastico!", ma appena ho visto quell'oca con i tacchi a spillo battere le ciglia a mezza scuola e suo fratello comportarsi da: "Sono maledettamente figo, perciò non vi rivolgerò la parola", ho pregato che venissero rapiti dagli alieni! -
Aveva parlato talmente tutto d'un fiato, che a stento riuscii a distinguere le parole.
Non dovevano per niente averle fatto una buona impressione.
Soffocai un risolino.
- Ho incontrato Rebecca, il Giorno della Consegna. Mi ha chiesto come arrivare qui alla Crystal - le raccontai.
Debbie sgranò gli occhi.
- Oh, allora prega anche tu che vengano rapiti dagli alieni! -
Quello che mi domandavo era perché si lamentava così tanto. Capivo che i loro caratteri non le andavano affatto a genio, ma...
Scossi la testa.
"Calmati".
Dovevo calmarmi. Rebecca me l'aveva detto chiaro e tondo: non si erano trattenuti fino al termine della festa. Non poteva essere stato suo fratello ad aggredirmi. E se avesse mentito?
Tutto ciò non aveva alcun senso.
Avrebbero potuto considerarmi pazza, ma non lo ero. Mi fidavo del mio istinto e questo mi diceva che dovevo riguardarmi dai Williams. Eppure, allo stesso tempo, ne provavo attrazione, come una falena dalla luce.
Ero intimorita dal fratello di Rebecca, ma al contempo mi affascinava.
Cosa dovevo fare, allora? Buttarmi a capofitto in una situazione che mano a mano stava diventando ancora più complessa? Sì, date le circostanze, era la mia unica scelta.
- Su, andiamo, tra dieci minuti suona la campanella - spronai Debbie, la quale appariva ancora sotto shock per la mia confessione.
Le promisi che l'avrei raggiunta in classe subito dopo aver preso un libro dall'armadietto, così mi avviai verso il corridoio. La Crystal Academy permetteva l'utilizzo degli armadietti qualora ne avessi avuto bisogno e la maggior parte degli studenti ne possedeva uno. Debbie, ad esempio, aveva preferito trascinarsi dietro tutti i libri da lezione a lezione, il perché non lo sapevo. Immaginavo preferisse così.
Arrivata all'armadietto 34, pescai dalla tasca dei jeans la chiave per aprirlo. La infilai nella serratura e, con un colpo deciso, girai verso destra.
Crak.
Fu questo il rumore che fece quando la chiave si spezzò perfettamente a metà. Una parte rimase incastrata nella serratura, l'altra giaceva nella mia mano.
Fissai quel piccolo frammento, inebetita. E adesso cosa avrei fatto? Non potevo arrivare tardi a lezione, né lasciare tutto lì com'era.
''Deve sempre accadere qualcosa, dannazione!'', pensai amareggiata.
Decisi di andare in segreteria, Miss Patterson avrebbe potuto chiamare qualcuno per rimuovere la chiave dalla serratura e nel frattempo io ne avrei presa una nuova.
Con uno sbuffo seccato, mi avviai rapida verso la segreteria, che si trovava praticamente dall'altra parte dell'ala studenti. Era ben chiaro che la fortuna non fosse dalla mia parte. Per niente. Sembrava quasi che il mondo, il destino, tutti si prendessero gioco di me.
Giunsi davanti la porta chiusa della segreteria e mi accorsi di un parlottare proveniente dall'interno. Una voce apparteneva a Miss Patterson.
- Dominic, caro, non vedo proprio come io possa aiutarti - stava dicendo.
Inspirai profondamente, in attesa di sentire la risposta.
- Capisco - arrivò quella. Silenzio.
Quando mi decisi a bussare - in colpa per aver origliato - la porta si spalancò.
La prima cosa che vidi fu l'espressione stupita del ragazzo. In secondo luogo, notai le sue iridi: grigio-nere. Arretrai, lasciandogli lo spazio per uscire. Lui lo fece, senza però togliermi gli occhi di dosso. Avvertivo il suo sguardo corrermi lungo la schiena e per tutto il corpo, come se mi stesse esaminando. E io odiavo essere esaminata, così trattenni i suoi occhi tra i miei, allo stesso modo in cui aveva fatto lui durante il Giorno della Consegna.
- Oh, buongiorno, Aria - mi salutò dall'ufficio Miss Patterson, il quale sguardo correva da me a...Dominic.
- E caro, torna appena terminate le lezioni, ne discuteremo anche con il preside - si rivolse poi a lui, che si limitò ad annuire.
Stavo per andare in contro a Miss Patterson, quando la sua voce mi fermò.
- Mi dispiace per lunedì scorso. Non volevo scontrarmi con te - disse.
Si stava scusando? E allora perché non si scusava anche per l'aggressione alla festa? Perché era stato lui...no. No, non poteva essere stato lui, non si era fermato a lungo. A cosa dovevo credere: al mio istinto o alle parole di Rebecca?
- Figurati, non c'è problema - mormorai, senza però voltarmi.
Mentre richiudevo piano la porta, sentii i suoi passi allontanarsi dietro di me.

The Cursed Love - The "Immortal Kiss" TrilogyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora