10. - Il lato del male

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''Io sono te. Disposto a fare qualsiasi cosa. Disposto a bruciare. Disposto a fare ciò che le persone comuni non farebbero. Vuoi me per stringerti la mano all'Inferno? Non ti deluderò''.

- Sherlock Holmes.





ARIA.






La discussione con i miei zii non risultò del tutto una catastrofe, come mi ero aspettata. Questo, però, se si escludevano i vari rimproveri di mia zia, le strane e continue occhiate da parte di Stephen e il silenzio tombale di Christopher. Damien, invece, era del parere che avrei dovuto mantenere il sangue freddo, visto che la mia seconda scelta era stata quella di sembrare pazza ed io, palesemente, l'avevo accettata. Ma non avevo potuto fare altrimenti. Vedere Debbie in quelle condizioni mi aveva stremata, nonostante l'attacco di panico fosse solo una menzogna. Non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine della mia migliore amica inerme, combattuta. Neanche il sangue freddo avrebbe potuto salvarmi.
Le conseguenze dei miei atti, però, non avevano comportato alcuna punizione. Ne ero rimasta stupita. Al contrario, mi avrebbero impedito di visitare Debbie per un po', se ciò mi arrecava tanto dolore. Non sapevo cosa preferire, sinceramente. Non poter vedere se Debbie stesse affrontando miglioramenti o peggioramenti sarebbe stato straziante. ''Ma necessario'', avevano replicato i miei zii.
Avevo addirittura comunicato a mio padre che non sarei andata da lui, a Newport. Non era proprio il caso. A dirla tutta, la conversazione aveva preso una piega imbarazzante. Era degenerata, ad un certo punto, su argomenti piuttosto bizzarri.
-Sei ancora arrabbiata con me, tesoro?- aveva voluto sapere mio padre, a telefono.
Il fatto che credesse continuamente che ogni mia decisione ruotasse intorno a lui, o ne dipendesse per qualche strana ragione, m'irritava.
- No, papà, non è per questo - avevo sospirato. - La mia migliore amica è in coma ed io mi sento molto scossa. Non ce la faccio a venire a Newport, mi dispiace - cercai di essere sbrigativa.
Mio padre, però, non si era arreso.
-

Ma qui potresti distrarti - aveva insistito. - Un ambiente nuovo potrebbe giovare alla tua salute e al tuo animo triste -

Avevo scosso la testa, nonostante sapessi che lui non avrebbe potuto vedermi. - Te l'ho già detto. Va bene così. Io...sarò anche più sicura nell'averla vicino a me. Sai, in caso di...uhm, emergenza -
Emergenza. Non suonava affatto bene e, tra i mille pensieri che vorticavano nella mia testa, quello era l'ultimo che mi auguravo.
Mio padre, successivamente, aveva avuto il coraggio di chiedermi se non avessi deciso alla base di qualche...come aveva detto? Ah, sì. ''Corteggiamento''. Stavo per riaggangiare, furiosa dall'indignazione, quando lui si congedò per primo.
- Allora, ci rivedremo in un altro giorno più sereno. A presto, tesoro - aveva concluso.
Ma, in nessuna delle due occasioni - la discussione con i miei zii e con mio padre - ero riuscita a dimenticare l'unica persona che sarebbe stata in grado di aiutarmi e che io stessa avevo il dovere di aiutare: Dominic. Una parte di me era titubante nel fidarsi completamente, ma lui mi aveva dato una prova e non solo. Anche se il suo piano, fin dall'inizio, era stato quello di uccidermi - e lo avrebbe anche fatto, se non ci fossero stati degli intoppi - alla prima occasione di fallimento mi aveva risparmiata. Non avevo idea di come prenderla, se per una sorta di compassione o sfruttamento. Sta di fatto che, in ogni caso, dovevo sdebitarmi, che lo volessi oppure meno. E Dominic era così enigmatico, innamorato e maledettamente accattivante, che non potevo semplicemente ignorarlo. Ma dovevo pur sempre avere un occhio di riguardo per me stessa: alla fine, quella mattina, avrei avuto il quadro completo della situazione. O lo speravo. Volevo fidarmi. Non volevo pensare che, magari, fosse solo un trucco per potermi uccidere di nuovo...eppure, per scavare nel fondo della verità, dovevo rischiare.
Alle dieci in punto di mattina, ero pronta per affrontare ciò che mi aspettava. Le risposte erano tutte lì, dietro la porta d'ingresso, fino a London Road.
Mi ero armata di scorte necessarie per chissà quale evenienza e, quando vidi Stephen ai piedi delle scale, sfoderai un sorriso rilassato e allo stesso tempo ammaliante.
- Buongiorno - lo salutai, allegra. In realtà, dentro di me ero poco più in là della tensione. Evidentemente, anche Stephen riusciva a percepirla.
- Buongiorno - rispose lui, fissandomi. Indossava ancora la maglia del pigiama e reggeva in mano una tazza di caffè.
Gliela indicai. - È stantio anche questa volta? - ridacchiai.
Stephen, al ricordo del giorno prima, fece una smorfia.
- No, ho costretto mia madre a preparlarlo per tutti. Ne vuoi un po' anche tu? - chiese. Continuava ad osservarmi in modo strano.
Mi limitai a mantenere il sorriso sulle labbra, apparentemente per rispecchiare tranquillità. - Grazie, ma vado di fretta. Ultimamente ho voglia di schiarirmi le idee passeggiando, non so se capisci. Deve essere proprio periodo -
Mi accorsi che stavo iniziando a balbettare freneticamente. Certo che sapevo inventarne, di scuse.
Stephen mi seguì con lo sguardo fino alla porta. - Già. Ma non credo che uscire senza aver fatto colazione ti aiuti molto - disse, pensieroso. Dopodiché, si avvicinò a me con uno scatto, afferrandomi il braccio.
Mi allarmai. Di rado si comportava così e, quando lo faceva - come quella volta con la forchetta - poteva diventare pericoloso. Era l'impressione che mi dava e forse non era del tutto inesatta.
- Cosa hai fatto ieri, in realtà? Lo so, Aria, che non sei andata semplicemente a fare una delle tue solite ''passeggiate'' - sibilò, al mio orecchio. - E la mia moto era graffiata -
- La tua moto era graffiata già prima - replicai, liberandomi dalla sua stretta.
Stephen rise. - Ma non sul lato destro, cugina - precisò.
Rimasi di sasso. Il marciapiede su cui l'avevo scagliata aveva fatto il suo lavoro.
- Hai visto anche tu che me ne andavo con la tua Honda. L'ho fatta solo cadere, scusami tanto - dissi.
Lui mi guardò per un attimo, poi domandò: - E dove? -
Ridacchiai. Era davvero facile cavarsela così. - Sul marciapiede, cugino -
Stephen strinse i denti. - Perché sei andata da lui? Poteva essere pericoloso. Non dovevamo risolvere la cosa insieme? - Sembrava quasi offeso. Non gliela avrei data vinta.
- Non sono andata da nessuno, Stephen - mentii. - E vedrai, si risolverà da sola -
Mio cugino mi guardò attonito. Non replicò alla mia bugia. Si limitò solo a rispondere: - Cambi idea in fretta -
Mi adirai. Mi adirai perché aveva ragione.
''Sì, cambio idea in fretta'', avrei voluto urlargli. ''Perché, quando ti sembra di avere il destino del mondo tra le mani, non hai scelta''.
Ma non lo feci. 
Quando uscii fuori nell'aria autunnale, mi strinsi nel giubbotto rosso che indossavo e chiamai un taxi che passava di lì. La discussione con Stephen mi aveva lasciato una sensazione di gelo nel corpo. Avvertivo come un vuoto allo stomaco e, ripensandoci, un po' di caffè e un cornetto non avrebbero fatto male. Ma non avevo avuto il coraggio di affrontare la mia famiglia. Sapevo che la mia uscita di scena del giorno precedente li aveva sconvolti e non volevo che al solo guardarmi pensassero che stessi impazzendo. Non volevo che fossero dell'idea che quella maledetta notte mi avesse rovinata - anche se in un certo senso era così - e condotta in un vicolo cieco da cui non potevo uscire. E come se non bastasse, i miei rapporti con Christopher erano diventati parecchio freddi. Era adirato con me perché non avevo riposto fiducia in lui, eppure, per quanto comprendessi le mie colpe, credevo che avesse ormai capito il mio scopo: proteggerli.
Il taxi si fermò all'indirizzo 16, la mia meta. Dominic mi aveva mandato un messaggio quella mattina presto, per avvisarmi che si sarebbe fatto trovare appena fuori la porta dell'abitazione. E, in effetti, andò così. Dominic si reggeva con una gamba al muro accanto alla porta, un atteggiamento spavaldo che era proprio da lui. I capelli neri non sembravano aver ricevuto alcun trattamento da un pettine, perché le ciocche in sé seguivano direzioni differenti sulla testa. I suoi penetranti occhi grigio-neri seguivano i miei passi verso di lui, con una strana e quasi inquietante attenzione.
- Ho qualcosa che non va? Do troppo nell'occhio per una missione super segreta? - domandai, per poco credendo alle mie parole. Da come mi fissò, sembrava avessi avuto ragione.
- In realtà, mi hai stupito. Devi aver imparato molto dai film di James Bond, ma non credo che quello zaino ti servirà a molto - disse, indicando l'oggetto che penzolava pigro sulla mia spalla.
Feci spallucce.
- Invece tu non li hai seguiti per niente. Se fosse così, sapresti che non bisogna mai intraprendere qualcosa di pericoloso senza l'occorrente necessario - replicai, godendomi il mio piccolo attimo di vittoria. Per poco, perché Dominic trovò il modo di spiazzarmi.
- Così mi incuriosisci, tesoro. Posso vedere questo tuo ''occorrente necessario''? -
Avrei voluto tanto diglierne quattro appena pronunciò la parola ''tesoro'' e trovare un modo abbastanza sexy per sviare la sua richiesta, ma dalla mia bocca uscì solo: - D'accordo -.
Gli porsi lo zaino e lui lo prese facendo una finta smorfia di noia.
- Vediamo un po' cosa la nostra piccola boy scout ha portato -
Rovistò all'interno, dove vi era una bottiglia d'acqua, una torcia e un paio di walkie talkie. Inarcò un sopracciglio, dopodiché roteò il braccio come se avesse voluto scagliare lo zaino lontano. Ma quello, invece di volare via, andò a fuoco. Un lampo improvviso seguì il crepitare copioso delle fiamme che, in breve, lo ridussero in poco più che brandelli di stoffa. La plastica della bottiglietta si era liquefatta, medesima cosa per la torcia e per i walkie talkie. Non rimaneva più niente.
Guardai sbigottita Dominic.
- Perché l'hai fatto? - squittii, incredula.
Lui, con nonchalance, rispose: - Perché hai confermato esattamente quello che temevo. Non sei stata una brava fan di James Bond -
E con questo, si avvicinò a me e mi diede una pacca sulla spalla. - Sono serio, adesso. Quando si va in guerra, o in battaglia, o dritti verso il pericolo e la morte, c'è la possibilità di perdere le cose o le persone che amiamo. E dobbiamo essere forti, nonostante la loro perdita ci crei dolore. È dimostrando di sconfiggere la paura e il dolore che si diventa coraggiosi - disse.
Battei le palpebre, confusa. - Vuoi dire che stiamo andando dritti verso la morte? - mormorai.
Lui intrappolò intensamente il mio sguardo, come se stesse cercando la risposta attraverso i miei occhi.
- Chi può dirlo? -
Si allontanò da me e si avviò verso una moto, la sua. Avevo avuto ragione a dire che i demoni sono grandi appassionati di motori. Ma non espressi quel commento ad alta voce, perché il turbamento dentro di me mi impediva di scherzare. Mi stava ricordando che tutto quello era reale.
Salimmo sulla moto e infilammo i caschi. Quei veicoli potevano davvero diventare i nostri simboli prediletti.
Dominic diede gas. Prendendo coraggio, dissi qualcosa a cui credevo con tutto il cuore, in cui riponevo speranza, la stessa che mi aveva spinta a mentire per la mia famiglia e allontanata da Christopher.
- Sai - sussurrai al suo orecchio. Lo vidi, quasi impercettibilmente, rabbrividire, ma forse mi sbagliavo.
- Quando si va in guerra o contro la morte, si fa il possibile per difendere le persone che amiamo. Ed io sono convinta che, fin quando si lotta per loro, non smetteranno mai un istante di rimanere al nostro fianco. Fin quando crediamo in noi stessi e in una possibilità di salvezza, nulla è perduto -
Io ci credevo, credevo di non doversi mai arrendere.
Ma Dominic era di un'altra opinione e partì, veloce, come se farlo potesse far scomparire il fatto che, in un certo senso, si stesse arrendendo.

The Cursed Love - The "Immortal Kiss" TrilogyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora