5. - Una vera famiglia

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Gli angeli ancora risplendono,
anche se è caduto quello più
splendente.

- William Shakespeare




ARIA.






Stentavo a crederci: mio padre era lì. E per quale ragione potevo benissimo immaginarlo. Vedere il proprio padre preoccuparsi per la sua unica figlia sarebbe stata una reazione perfettamente normale, in seguito all'accaduto, tuttavia non si trattava di circostanze "normali". Da una parte, avrei preferito non vederlo e risparmiargli la mia sofferenza, come sembrava avesse deciso lui sin dall'inizio.
- Tesoro - esordì, alzandosi dalla poltrona e venendomi incontro.
Istintivamente, arretrai di un passo.
- Niente "tesoro", papà - lo fermai.
Lui si bloccò e mi scrutò con i suoi occhi scuri. Era difficile ammetterlo, ma, alla mia età, doveva esser stato un ragazzo terribilmente affascinante e molto gettonato. Alto e fiero di sé, con una seccante inclinazione a controllare ogni cosa lo circondi. Quelli che un tempo erano per certo folti capelli castani, adesso portavano le striature bianche degli anni.
Eppure gli occhi avevano conservato l'irremovibile superiorità, e così anche la postura altera non era affatto mutata.
- So che entrambi avremmo preferito un'occasione diversa per incontrarci - riprese a parlare con tono calmo. - Ma purtroppo non è stato così -
Lo fulminai con un'occhiata.
- Ti è servita un'aggressione per venire fin qui! -
- E' ovvio che per un'aggressione, la tua aggressione, io sia venuto fin qui. Non hai risposto alle mie telefonate, mi hai ignorato per due settimane. Persino mio fratello ha smesso di farsi sentire dopo quella notte, e così ho pensato di raggiungerti di persona. E ha funzionato - ribatté. Scoccò uno sguardo eloquente allo zio e questi scrollò le spalle.
- Credevamo ti avesse chiamato o, perlomeno, risposto - si giustificò. Era evidente, però, che non ci credeva neppure lui.
- Non essere stupido, Damien! - lo rimbeccò mio padre, irritato. - Sapevate benissimo tutti e due che mia figlia non aveva mosso un dito, ma siete stati fin troppo buoni da non controllare! -
Ci fu una pausa.
- Dopo tutto questo tempo, non vi fidate ancora di me, non è così? - mormorò, plasmando piano le parole. Cosa voleva dire? Per quanto mio padre avesse cessato di interessarsi oltre il minimo dovuto alla sua famiglia, non avrei messo mai in discussione la fiducia, almeno da parte dei miei zii. Di suo fratello.
All'improvviso, Christopher si staccò dalla parete e mi venne accanto.
- Forza, andiamo in camera mia - sussurrò piano, spintonandomi verso le scale.
- No, aspetta, la discussione non è ancora finita, devo capire cosa sta succedendo - protestai, cercando inutilmente di sottrarmi alla sua presa d'acciaio.
Una volta giunto davanti la porta della sua camera, l'aprì.
- Entra, capirai meglio se rimaniamo qui - tagliò corto lui.
"Ma cosa diavolo...?".
- Che significa tutto questo? - lo aggredii. Christopher richiuse la porta dietro di sé.
- Significa che ci sono guai - rispose pacato.
Per un istante faticai a comprendere il significato delle sue parole.
- Guai? -
- Esatto. Tra la mia famiglia e la tua -
Non appena terminò di parlare, provai il violento impulso di strattonarlo per la manica e costringerlo a spiegare come stavano davvero le cose.
- Ma noi siamo un'unica famiglia - lo corressi. - La famiglia Husher! -
Lui rise, una risata priva di allegria.
- Non dire sciocchezze, Aria. Ammettilo. Siamo sempre stati due poli opposti. A tuo padre importa di noi solo perché gli serve il nostro aiuto, ovvero ospitare te sotto questo tetto. Ma non è così che funziona - Gli occhi di Christopher apparivano glaciali come il più gelido inverno, talmente freddi da provocare brividi lungo la mia schina.
- Quella che tu chiami famiglia - proseguì. - non è mai esisistita e continuerà a non esistere -
Rimasi in silenzio, basita. Ci avevo pensato anch'io tante volte - che magari quell'aura di serenità fosse solo un castello di sabbia sul punto di crollare - ma non avevo mai voluto ammetterlo a me stessa. Io volevo bene ai miei zii, a Christopher e a Stephen. Loro erano la mia famiglia. O almeno - e lo constatai con l'amaro in bocca - da quando la mamma era morta. Prima non eravamo uniti come adesso. Sì trattava di incontri occasionali, che avvenivano pressoché nelle festività o eventi importanti, tuttavia eravamo pronti ad aiutare l'altro. E nel bene o nel male, nonostante la mia condizione da nomade non mi piacesse e gli incontri tra mio padre e zio Damien fossero divenuti ancor più occasionali e convenienti per il primo, stavo bene con loro.
- Non sto dando la colpa a zia Annabel. Non è stata lei a dividere ciò che già era diviso - continuò mio cugino, come se mi avesse letto nel pensiero. - Per l'appunto, è successo molto tempo fa -
- Stai pensando con la testa dei tuoi genitori, Chris -
- Non è vero! E' così, lo è sempre stato -
- Ma cosa stai dicendo? - urlai, incredula. - Sarà anche come dici tu, anche se non riesco ancora a capire, ma la verità è che se un tempo siamo stati divisi, adesso non lo siamo più! La morte di mia madre ha riunito almeno noi: io, tuo fratello, i tuoi genitori e te. Ho sempre pensato a questo come ad una disgrazia, che aveva diviso me da mio padre, ma in compenso ho ritrovato voi! - Feci una pausa. - E adesso ho come l'impressione di perdervi di nuovo -
Solo in quel momento realizzai ciò che avevo appena ammesso: che, in fondo, la morte della mamma aveva portato anche buone cose. Che non era stata una completa tragedia, ma in quel momento mi sembrava come se lo stesse diventando.
Il viso di Christopher si addolcì lievemente.
- Dal mio canto, posso garantirti che non ci perderai. Qualunque cosa possano pensare i nostri genitori, anche se basati sulla realtà dei fatti, io e Stephen rimarremo sempre con te - promise.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime, quando corsi ad abbracciarlo.
- Ti voglio bene. Voglio bene a tutti voi - mormorai.
Christopher annuì, sottraendosi piano dall'abbraccio.
- Torniamo in sala - decise.
Quando entrammo nel grande salone, mio padre se ne stava andando.
- Aspetta - lo fermai, nel momento in cui mise piede nell'ingresso.
Lui mi guardò e sorrise, un sorriso sconsolato.
- Somigli così tanto a tua madre. Hai gli stessi occhi e gli stessi capelli. A volte mi chiedo cosa tu abbia preso da me - disse, con una risata amara. Io non lo sapevo e, sinceramente, poco m'interessava.
- Perché sei venuto qui? E non tirare fuori la storia dell'aggressione - ignorai il suo commento.
Mio padre sospirò.
- Volevo dirti che mi dispiace tanto. Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto passare dalla morte di tua madre, ma ti ripeto che è stato per il tuo bene. Lo è ancora -
- Non mi hai mai detto niente dei tuoi viaggi - ricalcai. Non avrei ceduto.
A sentire quelle parole, lo sguardo di mio padre s'incupì, proprio come avevo immaginato. Faceva sempre così quando non voleva parlare di un argomento troppo "delicato".
- Aria, di questo non devi preoccuparti. Insomma, dovrò pur mantenerti con qualcosa! - e mi diede una pacca sulla spalla. - Sul serio. Sono impieghi di lavoro, ogni tanto mi chiamano da qualche parte. Ripeto, figlia mia: pensa alla tua vita, alla scuola e...se vuoi, anche ad altro -
Mi fece l'occhiolino.
Prima che potessi aggiungere altro - ovvero che non aveva detto nulla di nuovo e di comprensibile - lui se ne andò.
Rimasi lì a fissare la porta, imbambolata, come se sul legno d'acero ci fossero incise tutte le risposte.
- E' sempre stato un tipo molto vago. Un po' come suo fratello - disse zia Harmony, comparsa alle mie spalle. - Molto vago e molto...inaffidabile -
Mi parve di sentire il tono della sua voce inacidirsi all'ultima parola, ma quando mi voltai aveva un'espressione neutra in volto.
- In che senso? - domandai, guardinga.
- Beh, dico solo che i due fratelli Husher, pur non essendo sempre in buoni rapporti, sono molto simili tra di loro. E ovviamente non vogliono ammetterlo, creando così tanti problemi -
Sospirò. - Non hai idea di cosa possa fare il rancore, bambina -
Annuii, troppo stanca per indagare ancora.
Come sempre, qualcosa nella mia vita non tornava.
Proprio quando stavo per cercare rifugio tra le braccia di mia zia, ricordai l'incontro nel pomeriggio al Game's con Rebecca e Dominic.
Mi gelai.
- Scusa, zia, vado a fare un bagno caldo - esordii. Non so perché reagii così, in quel momento sapevo solo che dovevo schiarirmi le idee e calmarmi. Quel pomeriggio sarebbe stato molto intenso.
- Non pranzi con noi? - domandò lei, aggrottando le sopracciglia. Era palesemente preoccupata.
- Più tardi mangerò qualcosa, ora voglio rilassarmi un po' - la rassicurai.
Lei annuì, senza dire una parola. Mi stampò un bacio in fronte e si avviò verso la sala.
La guardai allontanarsi e lo feci anch'io.
Mi allontanai.
Mi stavo allontanando.
Tastando nella tasca della felpa l'ossidiana, mi avviai per le scale, con la sensazione di gelo ancora nel petto.

The Cursed Love - The "Immortal Kiss" TrilogyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora