Siamo seduti uno di fronte all'altro nel mio bar preferito.
Per fortuna non era molto distante dal vicolo nel quale ho trovato il ragazzo.
Prima di arrivare qui ho chiamato il mio capo e mi sono data malata all'ultimo minuto, sperando sia stato per una buona causa.
Il bar sembra una taverna, le lampade appese al soffitto sono ricoperte da un vetro circolare, ognuno di un colore diverso dall'altro. Gli scaffali intorno a noi sono pieni di libri di qualsiasi genere - da Jean-Paul Sartre a Geronimo Stilton- che mettono a disposizione per i clienti amanti della lettura e sono delimitati da vecchie e polverose bottiglie di vino. I tavolini tondi sono circondati da poltroncine in pelle nera che in alcuni punti presenta qualche strappo. La lampada sopra le nostre teste emana un bagliore rosso, ripreso dal vetro che la circonda, ed è alquanto inquietante.
Guardo il ragazzo mangiare il suo terzo cornetto ripieno di cioccolata, bere il suo cappuccino e il panino con uova e carciofini che tiene accanto al piattino con cura. Probabilmente non mangiava da una settimana, forse ha ancora più fame, ma non ho più soldi per offrirgli altro.
Le persone sedute ai tavolini accanto al nostro ci rivolgono occhiatacce. Sono sicura che stanno pensando che sia pazza per offrire da mangiare ad un senzatetto, ma non me ne importa molto di quello che la gente può pensare di me.
Una coppietta alla mia destra guarda il mio ospite con disgusto, ma quando vedono che gli sto rivolgendo uno sguardo di sfida si voltano e fanno finta di niente, imbarazzati. Patetici, mi ritrovo a pensare.《Allora, come ti chiami?》, lui alza la testa di scatto e mi fissa.
Finalmente riesco a vedere bene i suoi occhi. Sono verdi, come lo smeraldo, e i capelli neri e ricci come la pece li incorniciano in modo stravagante e splendido nello stesso momento. Ma sono ancora un po' spenti.Prende un fazzolettino per pulirsi le mani e la bocca e, dopo avermi rivolto uno sguardo fugace, si alza e va verso il bancone del bar per chiedere qualcosa.
Lo osservo gesticolare animatamente al barista e dopo alcune incomprensioni ritorna a sedersi con una penna.
Prende un nuovo fazzolettino e comincia a scrivere. Appena ha finito, lo rigira e me lo passa.
La sua grafia è stupendamente sinuosa e leggera, e deduco che debba aver avuto una buona istruzione per la sua precisione.
Sul piccolo pezzo di carta vi sono scritte due parole: Max Bradbury.
Lo guardo un po' spaesata, ma dopo qualche secondo riesco a capire: è muto.
《Molto piacere, Max.》, dico allungando la mia mano per stringere la sua.《Io mi chiamo Sam Jacobson》.
Cerco di sfoderare il mio miglior sorriso per nascondere la pena che provo per lui.
Mi stringe la mano, non senza un pizzico di esitazione, e sorride timido.
Riprende il foglio e scrive un'ultima cosa. Quando me lo ripassa, sopra trovo scritto un delizioso Grazie.
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Il Cacciatore Di Sogni
ParanormalNon so cosa ne verrà fuori da questo racconto. È libero e non premeditato. Decisamente improvvisato. Ho appreso come cominciarlo, ma non so come finirà. Non so neanche dirvi cosa farà la protagonista per trasmettervi ciò che vuole realmente racconta...