Capitolo 9

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Assaporai l'amaro sapore della confusione mista a dolore,
non appena la mia vista riuscì a mettere a fuoco un opaco
soffitto di un bianco sporco.
Cercai di tirarmi su a sedere, ma delle forti fitte
costringevano il mio corpo a stare fermo.
Capii solo poco dopo che ero sdraiato su uno scomodo
letto d'ospedale.
Un'infermiera di mezza età mi si avvicinò lentamente
stringendo delle carte mediche fra le braccia.
Mi sorrise in modo abbastanza caldo e confortevole,
che mi costrinse a imitarlo in modo goffo.
Aveva dei tratti del viso molto morbidi,
si vedeva a prima vista che amava prendersi cura del prossimo.
Una voce gentile raggiunse le mie orecchie, rassicurandomi:
"Non si preoccupi, non ha nulla di grave."
Fece una piccola pausa, sbirciando i fogli che ora
reggeva fra le mani; poi riprese:
"Ha solo preso una botta in testa,
ma nel luogo dove è caduto si sono spaventati
così tanto che hanno deciso di chiamare un ambulanza."
Le sue labbra si alzarono, ancora.
La sua dolcezza riusciva davvero a calmarmi,
nonostante la mia mente fosse ancora leggermente
pressata da un dolorante colore sordo.
Annunciò poco dopo che mi avrebbero dimesso la
mattina dopo, dato che avevo dormito moltissimo
ed era già sera inoltrata.
E con quelle ultime parole, se ne andò chiudendo
la tenda color verdino che separava un letto dall'altro.
Chiusi gli occhi grugnendo per i dolorosi capogiri che mi partivano
dal centro del capo.
Sonnicchiai per altre due o tre ore, e quando potei
di nuovo sollevare le pesanti palpebre, mi sentii già molto meglio
rispetto a poco tempo prima.
Dubitai di aver perso sangue;
ma tastando la pelle con le dita, potevo sentire chiaramente
che m'era cresciuto un bernoccolo assurdo.
Cercai di toccarlo il meno possibile, dato che si divertiva
a mandarmi scosse fastidiose tutte le volte che lo sfioravo.
La prima cosa che feci quando la mia coscienza smise di essere
vacua, fu cercare il mio telefono.
Mi avevano spogliato degli indumenti invernali e avevano
lasciato tutto sulla sedia a me vicina, facendoli penzolare quasi fino a terra.
Fui contento di vedere che la mia spesa era lì insieme ai vestiti, e ringraziai di non dover tornare in quel posto dopo ciò che era successo.
Mi sporsi senza nemmeno spostare le coperte e cominciai a frugare fra le varie tasche che riuscivo a trovare.
Dopo qualche tentativo in cui avevo anche rischiato di cadere per terra..
un'altra volta, oltre tutto, riuscii a trovarlo nella tasca esterna del giubbotto.
Le luci nella stanza erano spente da tempo, e siccome avevo
abituato i miei occhi all'oscurità, la luce flash che colpì il mio viso
quando accesi il piccolo aggeggio quadrato, minacciò di farmi
tornare l'emicrania se non la avessi abbassata.
Guardai l'ora appena mi fu possibile, e mi resi conto che
erano oramai le due di notte.. dubitavo fortemente
che quel ragazzo fosse ancora sveglio.
Percepii ancora quella straziante sensazione di solitudine
appena cominciai a pensare seriamente a lui.
Tentai di accedere alla rete dell'ospedale varie volte:
era libera, ma probabilmente quel telefono non ce la faceva più;
Mi era stato regalato per la maturità, quindi non aveva molti mesi.. ma probabilmente non ne voleva sapere già più di me.
Quando finalmente internet si degnò di lasciare che lo utilizzassi,
cercai di accedere subito alla sua chat.
Mentre una marea di notifiche cominciavano a farmi vibrare le mani,
mi sembrava che nel silenzio della notte, quei tremori fossero
i passi di un dinosauro che faceva scuotere la terra con il suo peso.
La maggior parte dei messaggi erano del gruppo..
cominciavo ad essere stufo di loro.
Erano soltanto un trio che si divertiva a fare battute demenziali.
Il fatto che fossimo cresciuti insieme non giustificava
che dovessi rimanere per forza con loro.
Soprattutto da quando avevano cominciato a divertirsi a prendermi in giro.
"Si scherza", dicevano.
sì.. si scherza sempre.
Lasciai perdere le scuse momentaneamente e decisi che la prima cosa
da fare era mettere una roccia sopra la nostra amicizia.
Il passato deve rimanere nel passato.
Non mi avevano mai sostenuto più di tanto.. e se qualcosa
andava contro i loro comodi ti tagliavano fuori come si taglia una mela.
Non mi erano mai piaciuti la maggior parte dei loro comportamenti,
ma la mia paura di rimanere solo mi aveva fatto fare la parte
del ragazzino che aveva bisogno di loro.
Ma adesso basta.
Lessi ancora qualche loro frase di insulto
e scherno e poi abbandonai il gruppo, senza neanche soffermarmi
se quella fosse la decisione giusta.
Sarei rimasto solo..
beh, lo ero già da molto tempo.
Degli amici che ti abbandonano per come sei..
sono davvero degli amici?
Non ne valeva la pena.. nemmeno di essere triste.
Quando ricomincerà la scuola, mi farò dei veri amici.
Con questo proposito nella mente, bloccai i loro numeri
così che non potessero aggiungermi ancora in quello schifo.
Fissai per un attimo il cupo soffitto, accarezzato a malapena
dalla luce lunare che disegnava figure sinistre tutto attorno a me.
Sprofondai fra le sottili coperte, portandomi lo schermo a pochissimi
centimetri dal viso e finalmente entrai nella chat,
dopo ore e ore e ore che ci pensavo.
La aprii e per qualche secondo mi soffermai sulla stanghetta
che lampeggiava allegramente.
Sembrava danzare fra i piccolissimi pixel della fascia di inserimento testo,
aspettando con impazienza di inserire le letterine digitali in essa.
Composi lentamente il messaggio che sarebbe andato a costruirmi
un alibi della situazione e poi lo inviai:
-Hey.. scusami se fino ad ora non mi sono degnata di scriverti,
ho avuto una giornata.. movimentata. Va tutto bene?-
fissai a lungo la spunta che indicava la corretta
spedizione di ciò che avevo scritto, e poi notai che era stato visualizzato.
Comparve la piccola notifica del pallini, e capii che stava scrivendo..
stava scrivendo..
stava scrivendo....

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