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La polizia arrivò nella casa del signor Melville dove era avvenuto il delitto.
Harold era disteso prono a terra con la testa spaccata da una sedia li vicino imbrattata di sangue. La polizia riconobbe diversi schizzi di sangue di varie pareti della casa e poterono confermare, dato il sangue sul pavimento, che l'uomo è stato brutalmente pestato mentre cercava di difendersi. Port non poteva credere a ciò che vedeva; era confusa. L'assassino poteva essere ancora nei paraggi e non aveva la minima idea di chi fosse.
Smithel arrivò dopo col tenente Gart:
-Omicidio di secondo grado. Qualcuno molto arrabbiato ha fatto irruzione a casa e ha commesso l'atto.- disse intanto che Gart fotografava la serratura scassinata dall'esterno:
-Ci sono dei testimoni?-
Anna si riprese dal suo meditare:
-Nessuno.-
Gart si strinse nelle spalle come se fosse stato intrappolato da un demone invisibile:
-Non può essere chiuso così il caso. Non può.-
Port si avvicinò a Gart prelevando con dei tamponi delle impronte vicino alla maniglia; sempre guardando le prove sussurrò a Gart come se non si volesse far accorgere dagli altri:
-Mark, che dicevi?-
Gart si fermò guardando per terra come ipnotizzato:
-Chiudere il caso senza un colpevole o un movente. Perché tutto questo, mi domando?-
Ander alzò con la mano sinistra inguantata un accetta rovinata e piena di sangue:
-Ho trovato qualcosa. Sembrerebbe un'accetta.-
Immediatamente Smithel diede ordine a Bred di ispezionare il garage e la cantina della casa per controllare se l'accetta fosse stata usata da Harold per difesa così da prelevare  il dna dell'assassino, oppure capire se l'arma è stata usata dal colpevole stesso.
Arrivò subito dopo Bred dicendo che in cantina mancava un attrezzo, ovvero l'accetta.
Ora bisognava solo prelevare il dna.

Jeremy, seguito da Jeffrey, arrivò vicino al lago in mezzo al bosco e si sedette su una roccia lì vicino alla riva. Era ormai tramontato il sole e non un raggio arancione si azzardava a penetrare le nuvole spesse nel cielo, che dava un effetto verdognolo azzurro sullo specchio del lago che rifletteva contro gli alberi dando intorno ai due ragazzi in atmosfera di pace e tranquillità. Jeffrey si sedette vicino all'amico contemplando quel "dipinto" che la natura aveva dato.
Dopo qualche secondo di silenzio la voce di Jem interruppe la pace dei sensi che si era instaurata fra i due:
-Ogni volta che mi chiedi se tutto va bene...- Jeffrey voltò gli occhi verso l'amico senza interromperlo. -...ti rispondo allo stesso modo. Ma non è vero niente.- Jeffrey non si mosse; qualcosa gli diceva che non andava per niente bene. L'amico prese coraggio e continuò la sua confessione:
-Ogni volta che torno a casa...è sempre la stessa cosa. Da quando mia madre è morta...c'è sempre lui che...insomma. Mi da la colpa. Non capisco più niente. Sono io il colpevole ? Non so nemmeno come è morta.-
Jeffrey lo interruppe notando la disperazione dell'amico:
-Da quanto tempo continua questa storia?-
Le parole di Jem uscirono dal profondo della sua anima:
-Da sempre...è quotidiano per me.-
Jeffrey stava in silenzio mentre ascoltava l'amico: -Sei l'unico di cui mi fido. Dico sul serio. Sei un fratello per me e non vorrei mai perdenti.-
Jeff si commosse a quelle parole: in realtà Jem era il suo unico amico:
-Ehi, qualunque cosa ti succederà io sarò sempre con te! Non devi temere niente finchè ci sarò io!- Jeffrey teneva Jeremy per le spalle e lo scuoteva come per risvegliato da un brutto incubo. Poi Jeremy alzò lo sguardo verso Jeff. Nella sua mente balenavano infinità di possibili probabilistiche e vie d'uscita: doveva scappare di casa? Doveva suicidarsi? Avvicinarsi all'uomo senza volto? Continuare a vivere così?
No. Non doveva pensare. Non doveva. Dal profondo della sua anima gli venne un impulso alquanto irrazionale che però esprimeva tutto ciò che pensava.

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