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Le settimane passavano e mi ero ormai assuefatta alla costante presenza del mio coinquilino. Per giorni avevo cercato di ignorarne l'esistenza e lui si era comportato allo stesso modo con me. Le sensazioni che provavo però non si erano affato affievolite ma avevano continuato a complicarmi la vita.
"Secchia! Cerco di parcheggiare il più vicino possibile all'ingresso così non ti bagnerai troppo" urlò Dan per sovrastare la voce dei suoi amici che cantavano.
Guardai distrattamente fuori dal finestrino e mi godetti il cantilenante ticchettio della pioggia.
"Secchia? Ci sei?" chiese intristito.
"Sì, lasciami lì" dissi indicandogli l'ingresso.
Appena lo vidi accostare mi preparai a scendere velocemente per non creare disagio agli altri automobilisti.
"Grazie per il passaggio"
"Chiamami quando devo venire a prenderti" disse ma finsi di non aver sentito.
Non mi andava che Daniel si prendesse tanto disturbo per me. Eravamo solo amici eppure era sempre così apprensivo, comprensivo e protettivo nei mei confronti. La cosa iniziava a spaventarmi perché ancora non ero riuscita a far ordine nel mio cervello. Non sapevo più come comportarmi con lui. Quel pomeriggio aveva insistito così tanto per accompagnarmi a lavoro che alla fine avevo dovuto cedere.
L'odore di legno di cedro mi inondò le narici e mi sentii immediatamente al sicuro. Quello ormai era diventato il mio rifugio piuttosto che il mio lavoro. Avvertii Miss Stell del mio arrivo e mi avviai verso il reparto che mi toccava riordinare quella settimana. Lavorai così intensamente che persi completamente la condizione del tempo.

"Tesoro! Devo chiudere" mi disse dolcemente la proprietaria.
"Mi scusi non mi ero accorta dell'ora"
"Nessun problema cara... Ti serve un passaggio?" chiese mentre rimetteva al loro posto le sedie.
"Siete la mia salvezza!" esclamai abbracciandola.
Miss Stell era davvero una donna amorevole.
"È un piacere esserti d'aiuto Beatrice".
Il viaggio di ritorno al campus fu una vera e propria tortura. Le strade si erano riempite di pozzanghere e l'asfalto iniziava a dar segni di cedimento a causa delle intense settimane di pioggia incessante.
"Un giorno dovrai pur accettare il mio invito a pranzo" disse la signora Stell mentre accostava.
"Le prometto che appena posso verrò a farle visita!"
"Faresti davvero felici due anziani che sono sempre soli da quando i figli si sono trasferiti"
"Di sicuro approfitterò delle sue ottime doti culinarie" dissi per sdrammatizzare e scesi di corsa per evitare di inzupparmi dalla testa ai piedi.
Entrando in casa avvertì subito una strana atmosfera. L'appartamento era buio e insolitamente vuoto. Non ero più abituata a quel silenzio o a non avere nessuno intorno. La solitudine non mi era più concessa da quando ero arrivata all'università. Mi guardai intorno stranita e solo allora mi accorsi del biglietto che c'era sul mobile della cucina. Me l'aveva lasciato Deborah per avvertirmi che sarebbe stata a lavoro e che non aveva idea di dove fosse finito Christopher. Non avevo alcun idea di come occupare il tempo perché anche Dan e i ragazzi erano usciti quella sera. Mi gettai di peso sul letto e iniziai a fissare il soffitto senza alcun interesse.
Dovetti essermi addormentata perché mi svegliò il rumore di un vetro che andava in frantumi. Mi alzai silenziosamente e cercai la mazza da baseball che avevo acquistato in caso di necessità. Appena arrivai in coridoio mi accorsi che in frantumi era andata solo una bottiglia di Whisky.
"Merda!" biascicò Christopher cercando di riparare al danno.
"Cosa hai combinato?" urlai.
"Cosa cazzo mi urli?" balbettò.
Era chiaramente ubriaco e non avevo alcuna voglia di farmi insultare da qualcuno in quello stato.
"Vattene a letto! Ci penso io"
"Non ho bisogno del tuo aiuto e poi non ho sonno" si lamentò sbadigliando.
Quel ragazzo era un vero e proprio disastro. Appena provò ad alzarsi ricadde a terra come un bambino che aveva appena imparato a reggersi in piedi.
"Maledizione Christopher ti ho detto di andartene a letto" urlai.
"Porca miseria! Riesci a capire che voglio starci con te in quel letto?"
Non lo pensava sul serio era l'alcool che gli faceva dire certe assurdità ma divenni comunque paonazza.
"Appena ho finito di pulire ti raggiungo"
A quel punto lo vidi andarsene mantenendosi al muro per non perdere l'equilibrio. Pulii minuziosamente ogni centimetro del pavimento nella speranza che lui si addormentasse prima del mio arrivo. Aprii la porta della sua camera e lo trovai disteso sul letto perfettamente cosciente. Forse non era così ubriaco come avevo pensato.
"Hai finito?" chiese.
"Sì ho finito! Tu... come ti senti?" chiesi a disagio.
"Ho avuto momenti migliori" ridacchiò.
"Lo spero proprio!"
"Mi sono ridotto ad uno straccio ma sono ancora in grado di intrattenerti"
"Ora è meglio che vada" dissi.
"Perché non resti qui?" mi chiese come se fosse la cosa più naturale da chiedere.
"Non è il caso"
"Sei così assurdamente seria"
"Come scusa?"
"Hai capito"
"Sei un cretino!"
"Tu più di me!" rise.
"Certamente" dissi andandomene.
"Comunque non sono affatto ubriaco" urlò.
La rabbia mi assalì ma cercai di controllarmi anche perché non mi conveniva andare in carcere per averlo ammazzato di botte.
Mentre entravo in camera lo sentii correre verso la mia direzione ma non riuscii a chiudere la porta prima che mi raggiunse. Mi placcò facendoci cadere entrambi a terra. Il peso del suo corpo era stranamente sopportabile.
"Levati di dosso" dissi dandogli dei calci.
"Smettila! Sta ferma per l'amore di Dio!"
"Togliti!"
"Bea... io... cioè tu" iniziò a balbettare.
"La smetti di starmi addosso" urlai in preda alla disperazione.
Invece di spostarsi si abbandonò completamente e appoggiò la sua fronte alla mia. Lo fissai interdetta mentre cercavo di trovare un senso a quel che stava succedendo.
"Sei così bella!"
"Sei solo ubriaco"
"Non lo sono"
"Allora cosa significa tutto questo?"
"Significa che ti voglio"
"Abbiamo un diverso concetto di volere"
"Non ci sono concetti di volere"
"Intendo dire che non me la spasserei con ogni ragazza che respira se ne volessi un'altra"
"Abbiamo due punti di vista diversi"
"Esattamente! Adesso puoi sportarti?"
Prima che qualsiasi pensiero logico arrivasse al mio cervello sentii le sue braccia stringermi e le sue labbra appoggiarsi delicatamente sulle mie. Mi sembrò di essere tornata al giorno in cui ci eravamo incontrati e non riuscivo ancora a crederci. Poco dopo della delicatezza precedente non restò neanche l'ombra. Mi baciava come se non avesse desiderato far altro da tutta la vita. Lo sentii imprecare ma nonostante tutto continuò a posare le sue labbra su ogni millimetro del mio viso. Ogni suo bacio accendeva dentro di me un desiderio incontenibile. Quando capii che si stava allontanando mi riavvicinai al suo viso. Avevo preso l'iniziativa senza neanche volerlo veramente.
"Cosa c'è? Non ti è bastato?" chiese con una certa spavalderia che mi nauseò.
"Non avevo capito che questo per te era solo un gioco"
"Per me è sempre un gioco" mi sussurrò andandosene.
Non potevo certo restare lì ferma come una stupida a subire le angherie di un ragazzo isterico in preda agli sbalzi di umore e personalità. Dovevo difendere la mia dignità di donna e chiarire che non ero il suo giocattolino.
"Un tempo per te non era un gioco" urlai.
"Come ti permetti di dirmi una cosa del genere? Neanche mi conosci"
"Piuttosto come ti permetti tu di baciarmi?" chiesi puntandogli il dito contro.
"Non mi sembravi dispiaciuta"
"Non lo ero!"
"Non è colpa mia se tu sei una poco di buono".
In quel momento gli mollai uno schiaffo e mi lasciai scivolare a terra.
Avevamo rovinato di nuovo tutto e ci stavo di merda. Provare a farlo ragionare era inutile. Christopher era come un muro, niente poteva farlo vacillare, tanto meno scalfirlo. Pur di non lasciarlo andare via mi aggrappai al quel maledetto braccialetto che portava al polso. Mi accorsi di aver mandato all'aria tutti i miei buoni propositi in difesa delle donne.
Sono a dir poco patetica
"Mi sono pentita amaramente di averti amato" urlai.
Sentii il suo sguardo bruciarmi sulla pelle e mi allontanai da lui.
"Cosa diavolo succede?" chiese Deborah correndo verso di noi.
Incrociai il suo sguardo e appena lei mi vide piangere scattò come un giocattolo a molla caricato troppo.
"Cosa le hai fatto?" gli chiese rossa in volto.
"Non le ho fatto niente"
"Non ti credo! In tutti questi anni non mi è mai capitato di vederla piangere. Mai."
"Non l'ho neanche toccata! Credevo avessi capito che non ci vado a letto con le cesse" ridacchiò andandosene.
Mi rannicchiai con la schiena contro il muro nella speranza di scomparire dalla faccia della Terra.
"Mi spiace averti spaventata" dissi a testa bassa.
"Dispiace a me per non essere arrivata prima e riuscire ad evitare che accadesse una cosa del genere, di qualsiasi cosa si tratti, non dovevo lasciarti sola" disse abbracciandomi e aiutandomi a sollevarmi.
"Non è successo niente! Ora... Vado a dormire!" balbettai.
"Come preferisci ma resta il fatto che domani gli farò un bel discorsetto" ridacchiò cercando di sdrammatizzare la situazione che già di per se era pesante.

Vietato amarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora