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Sono i pioppi che parlano.

Voci impercettibili che sospirano. Piccoli fischi e fruscii. Sibili. Sibili continui e intensi. Le chiome verdi degli alberi si fanno strada nel cielo striato. Un cielo familiare. Di casa, in qualche modo.
Sono loro che sibilano.
Come se volessero parlarmi.
Il vento incomincia ad alzarsi.
Vento della sera, fresco, estivo, che mi inonda le narici del profumo dei campi, del profumo dell'erba secca. Un paesaggio arido di cui, in tutti questi anni, la mia pelle ha acquistato l'odore. L'odore dei cavalli, della polvere alzata dalle ruote delle bici, della terra bruciata, del sole, dei pioppi. I miei occhi hanno catturato ogni particolare, come delle istantanee. Un color nocciola, chiaro. Il colore dei pendii brulli delle colline. Il colore del legno.
Il tramonto incomincia a creare sfumature nel cielo. Arancio. Rosa. Rosso. I pensieri se ne vanno, come ogni volta che vengo qui. Ogni giorno. Stessa ora. Da nove anni.
E se frequenti un posto da nove anni, tutti i giorni, credo che tu possa incominciare a chiamarlo casa dopotutto.
O almeno è così che la penso io.
E la cosa che mi piace di questi campi è che ormai sono tatuati nel mio cuore. E sono sicura che se mai un giorno riuscirei a vedere nel mio cuore, il paesaggio sarebbe identico a quello che ho davanti agli occhi. Colline d'erba secca, arida, brulla. Stradine di ciottoli perse nel nulla, ma che conosco a memoria. Sole alto nel cielo e che ti scalda le spalle. Questo sarebbe.
Le cornacchie si levano in volo. Macchie nere contro l'orizzonte. Macchie che gracchiano.
Il tronco dei pioppi, in fondo alla collina, è del suo solito colore scuro. Perfettamente in contrasto con il verde delle foglie e la superficie salmastra delle acque paludose. Le paludi del Lago sono così da quando le vidi la prima volta. Quando ero una piccola bambina che già voleva stare da sola. Che già voleva ribellarsi. Che scappava di casa per giorni interi. Che non parlava mai con i suoi genitori. Che giocava con i cani randagi.
Un sorriso mi scalda il cuore.
Ero già una lama affilata. E una lama affilata è sempre pericolosa per la mano che la brandisce.
Non è cambiato davvero nulla. Anche se queste non sono le vere paludi, ma soltanto un piccolo assaggio.
Qui le cose non cambiano mai, e forse è un bene.
Una via di mezzo tra la città e la natura.
Io e la mia famiglia abitiamo in periferia, nel bel mezzo del nulla. Una vita che io amo, ma loro no.
La bici è proprio nel bel mezzo del campo, in fondo alla collina su cui sono seduta. Le piume nere e grigie vibrano al vento.
I capelli, intrecciati a dreads, mi ricadono sulle spalle. Amo tenerli sciolti, anche se fa caldo.
Passo un dito sul polso, proprio sotto il bracciale di Jacopo. La ferita sta guarendo.
Dopo che mio padre mi ha scagliato l'ennesima bottiglia di vetro contro, ho sollevato il braccio per ripararmi. Ma si è frantumata dritta sul mio polso.
Chiudo gli occhi.
Una folata di vento estraneo mi sfiora le guance.

E capisco che è ora di andare.


l'occhio della volpe - a.g.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora