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Seduta a gambe incrociate sulla sedia girevole, osservavo distrattamente le nuvole scure addensarsi al di fuori della finestra. Il libro di fisica giaceva dimenticato in mezzo alla scrivania, aperto a pagina duecentosette da oltre mezz'ora, ma dubitavo che per quel giorno sarei riuscita a farmi entrare in testa qualcosa in più dei principi della dinamica.

Seguendo il consiglio di Vittoria, io e i ragazzi ce n'eravamo andati poco dopo la sua repentina scomparsa; nessuno di noi l'aveva ammesso ad alta voce, ma sapevo che la sua inquietudine aveva messo in allarme tutti quanti. E, sebbene le sue previsioni si fossero rivelate corrette, dubitavo che il motivo di tanta apprensione fosse stato davvero uno stupido temporale.

«Tara?» Mamma aprì la porta senza bussare, affacciandosi in camera solo con la testa. Scrutò l'ambiente per qualche secondo, fino a posare il suo sguardo inquisitore su di me. «Studiavi?»

Mi scansai per farle vedere il libro aperto sulla scrivania, ruotando la sedia verso di lei. «Come una secchiona il giorno prima di un compito in classe». Le scoccai un'occhiata soddisfatta. «Donna di poca fede».

«Che vuoi farci, con una figlia bugiarda come te...» Alla mia espressione sconvolta, mamma gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere. «Scherzavo, stupidina. Ascolta, potresti fare una piccola commissione per me?» Si frugò nella tasca dei jeans e ne estrasse un foglietto a righe piegato in quattro. «Dovresti andare allo spaccio a comprarmi queste cose. Ti va?»

«Sicuro!» esclamai, balzando in piedi. Superai il letto con un salto e le tolsi il foglio di mano, infilandomelo nella tasca posteriore dei calzoncini. «Mi ci voleva proprio una distrazione. Capiti a fagiolo, mami!» Recuperai le scarpe da sotto il letto e ci pressai dentro i piedi senza nemmeno disfare i lacci, battendo le suole contro il pavimento. Presi lo zainetto di cuoio da sopra il comò e, stando bene attenta a non farmi vedere da mia madre, ci feci scivolare dentro il pugnale di Vittoria. «Vado e torno!» dissi, trotterellando fuori dalla camera. «Ci vediamo dopo!»

«Prendi un ombrello», mi gridò dietro, mentre io scendevo le scale. «Sta per piovere!»

Arrivata all'ingresso, decisi che l'impermeabile faceva più al caso mio: odiavo portare le cose in mano. E poi il verde prato del mio K-way mi metteva sempre di buon umore.

Fuori, intanto, si era alzato il vento. Qualche foglia solitaria frusciava e svolazzava sul ciglio della strada, mentre il cupo brontolio dei tuoni risuonava in lontananza.

Montai sullo skate col piede destro e, dandomi una bella spinta, partii a razzo lungo la via; nel silenzio irreale che regnava per la strada, il rumore delle ruote che cozzavano con l'asfalto sembrava molto più forte di quanto non fosse in realtà. Persino la piazza era deserta; pareva che il temporale imminente avesse spinto l'intera Roccascura a chiudersi dentro casa.

Smontai dallo skateboard e lo piazzai sotto la panchina a due passi dallo spaccio, spingendolo con la punta della scarpa. Dopodiché mi sistemai lo zainetto sulle spalle ed entrai, facendo tintinnare la campanella sopra la mia testa.

«Ma guarda un po' chi si rivede». Mario, il gestore dello spaccio, si sistemò gli occhiali sul naso e tese le labbra in un sorriso sdentato. Era in piedi dietro il bancone e aveva una sigaretta accesa in mano. «Tara, giusto? La figliola dei Colombo».

Io ricambiai il sorriso, chinandomi per prendere un cestino dalla pila all'ingresso. «Beccata! Come sta, signor Bergamotto?»

«Via, bimba, che sono queste formalità?» Ridacchiò. «Mi puoi chiamar per nome. Io te ti conosco da che eri ancora una bimbetta». Tirò a lungo dalla sua sigaretta, rilasciando poi uno sbuffo di fumo dalle labbra rinsecchite. «T'arrampicavi sempre sugli alberi. Mi sembra ancora di sentir la tu' mamma che ti grida dietro di star attenta».

Cacciatori di Leggende - Plenilunio [VERSIONE DEMO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora