Capitolo 1

161 6 0
                                    

(So che la premessa della storia non è delle migliori, ma vi assicuro che non è come sembra)

~Suonano le campane.
Le enormi campane dorate della chiesa, a fianco al cimitero. Stanno suonando per me, invece che per lei, stanno suonando l'inno della mia sconfitta, perché lui se n'è andato, ed io sono morta.
Non posso credere mi abbia lasciata in un cimitero, non posso credere di dover ricominciare tutto, da questo cimitero.~

1 anno prima
Sento la sveglia catapultarmi all'improvviso nella dura realtà. Ogni mattina è come se mi svegliassero con uno schiaffo, rimango stordita per quei 3-4 minuti che precedono la mia solita routine, prima mi arrendermi alla giornata appena iniziata, e di impormi di scendere dal letto.
Non so come faccio, non chiedetemelo.
Non so nemmeno cosa mi spinga ad alzarmi.
So solamente che tutte le mattine, vince la parte razionale e matura di me, quella che cerca di costruirmi una vita, e da un momento all'altro, ecco che mi ritrovo a litigare con le coperte per cercare di uscire dal groviglio, nel quale mi arrotolo tutte le sere. Mi offre un senso di calore e protezione questa abitudine, sebbene ammetta, sia dovuta anche ad un po' di amara solitudine. Mancanza di calore umano.

Dopo essermi alzata ed aver fatto la doccia, districo i nodi nei miei capelli mossi-ricci, con la spazzola, per poi passare alla 'fase trucco'. Non sono una che tende ad esagerare, la maschera che delineo per dividere me dagli altri, rimane sempre la stessa. Ogni mattina ricostruisco il muro, abbattuto la sera precedente.
Eye-liner, correttore, mascara e sono pronta a ritornare fra i banchi di scuola. Ho 18 anni compiuti da poco, e la mia vita è troppo incasinata, anche solo per essere spiegata a qualcuno.

Ripassiamocela mentalmente, come ogni santa schifosa mattina: mi chiamo Hope Evans, sono figlia unica, senza genitori o famiglia, a parte mia zia Jade, che però è stata rinchiusa in una clinica specializzata di malati di mente. Da quando ho compiuto 18 anni, sono uscita dall'orfanotrofio nel quale mi hanno abbandonata, e ora vivo a Londra, in quello che una volta era l'appartamento di mia zia. Il direttore del mio ex orfanotrofio, Mr. Shale, il quale ha sempre nutrito una profonda stima nei miei confronti, si è assicurato che trovassi un istituto affidabile per continuare i miei studi (Eccellenti, secondo lui), e un lavoro in grado di sostenere, le rette extra della scuola (quelle che la borsa di studio non riesce a coprire) compreso il mio mantenimento.

Non sono però, completamente sola, ho Nate e Sharon, i miei migliori amici. Le uniche persone, in grado di scavalcare il mio muro e leggermi negli occhi, nonostante la maschera di indifferenza. La vita mi ha regalato Nate come riscatto, il ragazzo più dolce che si possa immaginare: sempre presente per proteggermi, difendermi ed incoraggiarmi. Io senza di lui non riuscirei a vivere, forse non esisterei nemmeno.

Mi vesto velocemente, scendo le scale a razzo, e mi dirigo verso la porta, dando un'occhiata all'orario. Sono le 7:45. Perfetto, la sveglia ha suonato in ritardo, stamattina ho il test di matematica e non sono riuscita a studiare un bel niente.
Sono fottuta.

Appena apro la porta, un vento autunnale mi sposta i capelli castano sfumato, mentre ispiro l'aria fresca e frizzantina del mattino.
Prendo dalla tasca della giaccia il mio IPod, e comincio a camminare velocemente verso il purgatorio.
Scusate, la scuola.
Non vado volentieri lì dentro, i compagni di corso mi credono una secchiona, mentre il resto delle persone mi sfotte o mi ignora.
Sono "Non classificabile", come dicono le ragazze popolari. Ovvero, non appartengo a nessuna categoria, né del tutto secchiona, o del tutto sfigata. Né cessa, o bellissima da mozzare il fiato.
Sono solo io, ed il punto è che nemmeno io so cosa sono.

||REMEMBER ME||•H S•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora