10

2.3K 47 1
                                    

Graziosa introduzione alla vita di un eremita! Quattro settimane di tortura, di agitazione, di malattia! Oh questi rigidi venti e questi tristi cieli del nord! e queste strade impraticabili, e questi medici condotti che non hanno mai fretta; e la carestia di volti umani; e, peggio di tutto, la terribile
ingiunzione di Kenneth di non pensare di poter uscir di casa prima che sia arrivata primavera!
Il signor Heathcliff mi ha appena fatto l'onore di una visita. Sette giorni or sono all'incirca, mi mandò un paio di francolini - gli ultimi della
stagione. Birbante! Non è del tutto senza colpa in questa mia malattia, e avevo una gran voglia di dirglielo. Ma, ahimè! come potevo offendere un uomo che aveva avuto tanta carità da rimanere al mio capezzale un'ora buona, a parlare solo di pillole e infusioni, di ventose e di mignatte? E ora sto un po' meglio. Sono troppo debole per leggere, ma potrei trovar un po' di svago in qualcosa di interessante. E perché non chiamare la signora Dean a finire la sua storia? Ricordo bene i fatti fino al punto al quale è arrivata. Sì, ricordo che il suo eroe era fuggito, e che per tre anni non si seppe più nulla di lui, e la sua eroina, intanto, si era sposata. Suonerò. Sarà felice di trovarmi disposto a fare una buona chiacchierata con lei. La signora Dean è arrivata.
«Mancano ancora venti minuti all'ora della medicina,» ha incominciato a dire.
«Via, via, non la voglio,» ho risposto, «desidero invece...»
«Il dottore dice che può smettere di prendere le polveri.»
«Con tutto il cuore; ma non interrompetemi; venite a sedervi qua. Lasciate stare quell'amara falange di fiale! Togliete la vostra calza dalla tasca, ecco; e ora continuate la storia del signor Heathcliff, dal punto dove l'avete lasciata al tempo presente. Dove ha compiuto la sua educazione, nel
continente? ed è ritornato gentiluomo? o ha avuto un posto gratuito in un collegio? o è fuggito in America e si è conquistato una situazione
succhiando sangue al suo paese di adozione; o ha fatto fortuna più speditamente sulle strade maestre dell'Inghilterra?»
«Può darsi che le abbia seguite un po' tutte queste vocazioni, signor Lockwood; ma io non potrei dirvi niente di preciso su nessuna. Vi ho già
dichiarato che non ho mai saputo in qual modo abbia guadagnato i suoi denari; e non so nemmeno come sia riuscito a elevare la sua mente
dall'ignoranza selvaggia in cui era caduta; ma, se permettete, procederò a mio modo, purché siate sicuro che ciò vi divertirà piuttosto che annoiarvi. Vi sentite meglio stamane?»
«Molto meglio.»
«Ecco una buona notizia. Dunque, la signorina Catherine e io arrivammo a Thrushcross Grange, e, con mia piacevole sorpresa, lei si comportò
infinitamente meglio di quanto avessi osato sperare. Sembrava fin troppo attaccata al signor Linton, e anche alla sorella di lui mostrava molto
affetto. Tutti e due erano pieni di premure per lei; ma non si trattava di concessioni reciproche; l'una si manteneva fiera, e gli altri cedevano; e chi può mostrarsi cattivo, pur essendolo di natura, e avendo un brutto carattere, se non trova mai opposizione, nè indifferenza? Avevo notato che il signor Edgar aveva una gran paura di qualsiasi cambiamento del suo umore. Non lo lasciava vedere, ma, se mi sentiva per caso risponderle
bruscamente, o se qualche altro domestico aveva l'aria di ricever malamente i suoi ordini imperiosi, si mostrava irritato e offeso come non lo era mai per conto proprio. Più di una volta ebbe a riprendermi severamente per la mia impertinenza e a confessarmi che la ferita di una lama non avrebbe potuto dargli un dolore più acuto che il vedere la sua signora malcontenta. Per non addolorare un così buon padrone, imparai a esser meno stizzosa, e per un mezzo anno la polvere da fuoco poté parere innocua come sabbia, perché non capitò mai vicino alla fiamma. Alle volte
Catherine aveva periodi di tristezza e di silenzio, e venivano rispettati con tacita simpatia dal marito, che li attribuiva a un mutamento nella
costituzione di lei, prodotto forse dalla pericolosa malattia, dato che prima d'allora non era mai stata soggetta a depressione di spirito. Il ritorno del sole era salutato con volto raggiante. Credo a ogni modo di poter asserire che godettero veramente di una profonda felicità; ma finì presto. Dopo tutto, ognuno pensa solo a se stesso; quelli di animo mite e generoso sono giustamente ancor più egoisti dei dominatori; e la loro felicità finì per l'appunto quando le circostanze provarono a ciascuno che il proprio interesse non era la principale preoccupazione dell'altro...»
In una dolce sera di settembre, tornavo dal giardino con un cestino pesante di mele che avevo colto io stessa. S'era fatto buio, la luna guardando dall'alto muro della corte addensava grandi ombre negli angoli delle numerose sporgenze del fabbricato. Deposto il mio carico sui gradini della porta di cucina, indugiavo a respirare qualche altro sorso di quell'aria dolce e pura, tenendo gli occhi rivolti alla luna e le spalle all'entrata, quando sentii una voce chiedere dietro di me:
«Nelly, sei tu?»
Era una voce profonda, dall'accento a me sconosciuto; tuttavia, c'era qualcosa, in quella maniera di pronunciare il mio nome che mi parve
famigliare. Mi girai spaventata per scoprire chi avesse parlato, perché le porte erano chiuse, e nell'avvicinarmi ai gradini non avevo scorto nessuno. Un'ombra si mosse sotto il portico, e mentre si accostava, potei distinguere un uomo alto, vestito di scuro, dal viso e dai capelli scuri. Si volse da una parte per mettere una mano sul catenaccio, come se intendesse aprire da sè.
«Chi può essere?» pensai. «Il signor Earnshaw? Oh no! La voce non somiglia alla sua.»
«Sono qui da un'ora,» egli riprese, mentre io continuavo a fissarlo, «e vi è un tal silenzio che si direbbe la casa della morte. Non ho osato entrare. Non mi riconosci? Guarda, non sono un estraneo!»
Un raggio di luce cadde sul suo volto; le guance erano pallide e coperte quasi interamente da nere basette; le sopracciglia aggrottate, gli occhi
incavati, e singolari. Ricordai quegli occhi.
«Come?» gridai, incerta ancora di non trovarmi davanti a un fantasma; ed alzando le braccia. «Come? tu? ritornato? Ma sei proprio tu?»
«Sì, Heathcliff,» rispose, dando un'occhiata su alle finestre che riflettevano una ventina di lune ma non rivelavano la presenza di luci all'interno. «Sono in casa? Dove è lei? Nelly, tu non sei contenta, ma non devi essere così turbata. Lei è qui? Parla! Ho bisogno di dire una parola a lei, alla tua padrona. Va', e dille che una persona proveniente da Gimmerton desidera parlarle.»
«Come la prenderà?» esclamai. «Che cosa farà? Sono qui io stessa come istupidita, ma lei diventerà pazza addirittura! E tu sei Heathcliff? Ma come sei cambiato! Non ti si riconosce! Sei stato soldato?»
«Va' a portare il mio messaggio,» m'interruppe impazientemente. «Sarò come nell'inferno fin che tu non l'avrai portato.»
Alzò il catenaccio, e io entrai; ma, quando giunsi al salotto ove si trovavano il signore e la signora Linton, non sapevo persuadermi ad andare
avanti. Finalmente decisi di ricorrere a una scusa qualsiasi, di chiedere cioè se dovessi accendere le candele, e aprii la porta.
Stavano tutt'e due seduti nel vano di una finestra spalancata che lasciava scorgere, al di là degli alberi del giardino e del parco incolto, la valle di Gimmerton, con una lunga striscia di vapori che serpeggiava fin quasi in fondo, perché, come avrete notato anche voi, appena passata la chiesetta, l'acqua che scola dalle marcite si unisce a un ruscello che segue la curva della valle. Wuthering Heights si elevava al di sopra di quel vapore argenteo, ma la nostra vecchia casa rimaneva nascosta, come sprofondata sull'altro versante. Quella stanza, quelli che l'occupavano, lo spettacolo che essi stavano contemplando, apparivano pieni di una pace meravigliosa. Sentii una maggior riluttanza a eseguire l'incarico ricevuto e, dopo aver posto quella domanda riguardo alle candele, stavo già per venirmene via senza accennare ad altro, quando la percezione della follia che stavo per commettere mi fece tornare sui miei passi e dire con voce incerta: «Una persona che viene da Gimmerton desidera vedervi, signora.»
«Che cosa vuole?» domandò la signora Linton.
«Non gliel'ho domandato,» risposi.
«Bene, abbassa le tende, Nelly,» ella disse; «e portaci il tè; sarò subito di ritorno.
Ella uscì dalla stanza e il signor Edgar domandò, negligentemente, di chi si trattasse.
«Qualcuno che la signora non si aspetta,» risposi. «Quell'Heathcliff, ve ne rammenterete, signore, che viveva presso il signor Earnshaw.»
«Che? lo zingaro, il contadino?» egli gridò. «Perché non l'avete detto a Catherine?»
«Silenzio! Non dovete più chiamarlo con tali nomi, padrone,» gli dissi.
«Lei ne sarebbe addoloratissima se vi sentisse. Le si spezzò il cuore quando lui fuggì. Immagino che il suo ritorno sarà un giubilo per lei.»
Il signor Linton si mosse verso la finestra che trovavasi dall'altra parte della stanza e che dava verso corte; l'aprì e si sporse. Credo che i due si trovassero là sotto, perché egli esclamò subito: «Non rimanere lì, amore, falla entrare se è persona di riguardo.» Pochi istanti dopo, sentii il rumore del catenaccio, e Catherine arrivò ansante ed eccitata, troppo eccitata anzi per mostrare contentezza. E davvero dal suo volto si sarebbe piuttosto immaginato che l'avesse colpita una terribile calamità.
«Oh Edgar, Edgar!» ella esclamò senza respiro, buttandogli le braccia al collo.
«Oh, Edgar, caro! Heathcliff è tornato! pensa, Heathcliff!» E raddoppiò la stretta.
«Bene, bene,» disse il marito con aria seccata, «non è il caso che tu mi strozzi per questo! Non ho mai avuto l'impressione che fosse un tesoro così straordinario! Non c'è bisogno di dar in frenesie.»
«So che non hai mai avuto simpatia per lui,» ella rispose, non lasciando trasparire quanto fosse intensa la sua gioia, «tuttavia, per amor mio, ora dovrete essere amici. Devo dirgli di salire?»
«Qui?» disse lui, «nel salotto?
«Dove, se non qui?» ella domandò. Egli apparve contrariato, e suggerì la cucina come un luogo più adatto. La signora Linton lo guardò con una
strana espressione, mezzo adirata, mezzo ridente, come se trovasse comico tanto sussiego.
«No,» rispose dopo un momento, «io non posso certamente ricevere in cucina. Metti due tavole qui, Ellen, una per il vostro padrone e la signorina Isabella, poiché sono i signori, l'altra per Heathcliff e per me, che siamo di un rango inferiore. Sei contento, caro, o devo far accendere il fuoco altrove? In tal caso dà tu gli ordini; io corro giù ad assicurarmi che il mio ospite non scappi. Mi pare una gioia troppo grande per esser vera!»
Stava per correre via, ma Edgar la trattenne.
«Ordinategli di salire,» egli disse rivolgendosi a me, «e tu, Catherine, fa' in modo di mostrarti contenta senza essere assurda! Non c'è bisogno di dar spettacolo a tutta la casa dell'accoglienza che fai a un servo fuggiasco, come se fosse un fratello.»
Discesi, e trovai Heathcliff che aspettava sotto il portico, prevedendo evidentemente un invito a entrare. Egli ubbidì al mio invito, senz'altre
parole, così lo introdussi immediatamente dal padrone e dalla padrona che in quel frattempo dovevano aver avuto un diverbio come denotavano i loro volti accesi. Ma quello della signora s'illuminò di tutt'altra fiamma all'apparire sulla soglia dell'amico: gli volò incontro e, presegli tutt'e due le mani, lo trasse verso Linton, e poi, afferrate le mani riluttanti di costui, strinse le une alle altre. La trasformazione di Heathcliff, illuminato com'era in quell'istante dalla viva luce del fuoco e da quella delle candele, mi colpì ancor più di prima. S'era fatto un uomo alto, ben formato, un vero atleta, in confronto al quale il mio padrone appariva molto esile, e infinitamente più giovane. Il portamento eretto dava l'idea che fosse stato nell'esercito; l'espressione del volto e la linea decisa dei tratti rivelavano maggiore maturità di quella di Linton, e anche molta intelligenza, e non lasciavano più scorgere i segni del primitivo abbrutimento. Una ferocia mezzo incivilita covava sotto le sopracciglia arcuate e negli occhi pieni di un nero fuoco, ma lui la sapeva domare, e i suoi modi erano dignitosi, privi di rozzezza, forse troppo severi però per parer sgarbati. La sorpresa del padrone fu pari alla mia se non più viva, per un momento egli rimase incerto sul modo di indirizzare la parola allo zingaro, al contadino, come l'aveva poco prima chiamato. Heathcliff lasciò cadere le scarne mani dell'uomo che gli stava davanti e rimase a guardarlo freddamente in attesa che si decidesse a parlare.
«Sedetevi, signore,» disse il padrone alla fine. «La signora Linton, ricordando i tempi passati, desidera che io vi riceva cordialmente, e,
naturalmente, non posso esser che felice, quando si presenta un'occasione di farle cosa gradita.»
«E io pure,» rispose Heathcliff, «specialmente se si tratta di qualcosa in cui io abbia parte. Mi tratterrò un'ora o due, con il massimo piacere.»
Sedette davanti a Catherine che gli teneva lo sguardo fisso addosso come se temesse che, distogliendolo, lui potesse scomparire. Heathcliff
raramente alzava il suo verso di lei; una rapida occhiata di tanto in tanto gli bastava; ma lei rifletteva, ogni volta con maggior sicurezza, il piacere evidente che lui assorbiva dal suo sguardo. Erano troppo assorti nella loro mutua gioia per sentirsi imbarazzati. Non così il signor Edgar; egli si fece pallido per il dispetto, risentimento che raggiunse l'apice quando la sua signora si alzò, e, attraversata la stuoia che li separava, afferrò di nuovo le mani di Heathcliff, e rise come pazza di gioia.
«Domani penserò che sia stato un sogno!» ella esclamò. «Non sarò capace di credere che ti ho veramente veduto, e toccato, e che ti ho ancora
parlato. Eppure, Heathcliff crudele, non meriti questa accoglienza. Stare via, in silenzio per tre anni, senza mai pensare a me!»
«Un po' più tuttavia di quanto tu abbia pensato a me,» mormorò lui. «Ho saputo del tuo matrimonio, Cathy, poco fa; e, mentre aspettavo nel cortile qui sotto, meditavo questo piano: vedere per un attimo il tuo volto, un momento di sorpresa, forse, e di illusione; e poi aggiustare i conti con Hindley; quindi impedire alla legge di procedere, con un atto di violenza contro me stesso. La tua accoglienza ha mezzo scacciate queste idee dalla mia testa; ma bada bene a non ricevermi diversamente la prossima volta! Non mi respingerai più lontano! Hai veramente sofferto per me, non è vero? Ebbene, non è stato senza ragione. Ho affrontato una dura esperienza dall'ultima volta che sentii la tua voce, e devi perdonarmi perché ho lottato solamente per te!»
«Catherine, favorisci venire a tavola se non vuoi che il tè si raffreddi del tutto,» li interruppe Linton, sforzandosi di mantenere il suo tono normale, e il debito grado di cortesia. «Il signor Heathcliff dovrà fare un lungo cammino ovunque alloggi, stanotte; e poi io ho sete.»
Ella prese il suo posto davanti al vassoio, la signorina Isabella giunse a una mia chiamata di campanello, e, quando ebbi poste le sedie intorno alla tavola, lasciai la stanza. Il pasto durò dieci minuti scarsi. La tazza di Catherine rimase sempre vuota; ella non poteva mangiare nè bere. Edgar si era preso qualcosa sul piatto, ma fu incapace di inghiottire un sol boccone. Il loro ospite, quella sera, non protrasse la visita più di un'ora. Mentre usciva, gli chiesi se andasse a Gimmerton.
«No, a Wuthering Heights,» egli rispose: «il signor Earnshaw mi ha invitato, quando gli ho fatto visita stamane.»
Il signor Earnshaw l'ha invitato! e lui ha fatto visita al signor Earnshaw! Meditai penosamente su tali parole dopo che se ne fu andato. È diventato forse un ipocrita, ed è tornato in paese per tramare il male sotto false apparenze? pensavo tra me, e in fondo al cuore avevo il presentimento che sarebbe stato meglio se se ne fosse rimasto lontano.
Verso la metà della notte fui svegliata nel mio primo sonno dalla signora Linton, che era venuta in camera mia, e, sedutasi al mio capezzale, mi tirava i capelli per svegliarmi.
«Non posso riposare, Ellen,» ella disse per scusarsi, «e ho bisogno che qualche anima viva mi tenga compagnia nella mia felicità. Edgar è di cattivo umore perché io sono contenta di una cosa che non l'interessa; rifiuta di aprir bocca, se non per dire sciocchezze e mi ha ripetuto più di una volta che sono crudele ed egoista a voler parlare quando lui non si sente bene e ha sonno. Alla minima contrarietà dice sempre di non star bene! Mi è uscita qualche parola di lode per Heathcliff e lui, sia per il mal di testa o per una punta di gelosia, ha cominciato a piangere: così mi sono alzata e l'ho lasciato.» «Ma perché lodare Heathcliff davanti a lui?» io risposi. «Da ragazzi avevano una grande avversione l'uno per l'altro e Heathcliff non tollererebbe di sentir le lodi del padrone. È proprio della natura umana. Non dite nulla di lui al signor Linton, se non volete che scoppi una lite aperta tra di loro.»
«Ma in questo modo non dimostra una grande debolezza?» proseguì ella. «Io non sono invidiosa: e non provo nessun dispetto per la lucentezza dei capelli biondi di Isabella, nè per la sua carnagione bianca, e per la sua raffinata eleganza e per l'affetto che tutta la famiglia le dimostra. Perfino tu, Nelly, se alle volte abbiamo una disputa, sei pronta a tenere la parte di Isabella, e io cedo subito come una mamma troppo indulgente. La chiamo con nomi affettuosi, e la metto di buon umore con un po' di adulazione. Il
fratello è contento di vederci di buon accordo, e ciò fa piacere anche a me. Ma si somigliano; sono ragazzi viziati, e immaginano che il mondo sia stato fatto per il loro comodo: e, benché io assecondi l'umore di entrambi, penso che una buona lezione non farà loro male.»
«Vi sbagliate, signora Linton,» dissi. «Sono loro che accondiscendono ai vostri desideri: so bene come andrebbe se non fosse così. Voi siete disposta ad accontentare tutti i loro capricci momentanei, purché essi prevengano i vostri desideri. Ma può succedere che non v'intendiate su qualcosa di uguale importanza per voi e per loro, e allora vedrete che quelli che voi chiamate deboli sapranno essere ostinati quanto voi.»
«E allora combatteremo fino alla morte, non è vero, Nelly?» mi rispose ridendo. «No, te lo dico io, ho una tal fede nell'amore di Linton che credo che potrei ucciderlo senza che lui muovesse un lamento.» La consigliai di apprezzarlo maggiormente appunto perché le voleva tanto bene.
«Lo apprezzo, lo apprezzo,» rispose «ma non deve per questo ricorrere ai piagnistei per delle sciocchezze. Questo è infantile; e invece di sciogliersi in lacrime perché ho avuto a dirgli che ora Heathcliff è degno del rispetto di tutti e che essergli amico sarebbe un onore per il primo gentiluomo del paese, doveva dirlo lui stesso a me, e provare piacere per la concordia del nostro sentimento. Bisogna che Edgar si abitui a lui, e tanto vale che se lo renda simpatico. Se si pensa alle ragioni di non amarlo che ha Heathcliff, si deve dire che si è comportato molto bene!»
«Che cosa pensate della sua visita a Wuthering Heights?» le domandai.
«Sì, è ritornato evidentemente mutato sotto ogni aspetto; ora è un vero cristiano e offre la destra in segno d'amicizia a tutti i nemici che gli sono d'intorno.»
«Me lo ha spiegato,» ella rispose; «ne sono stupita io pure. Ha detto di esservisi recato per avere notizie mie da voi, poiché supponeva di trovarvi ancora là. Mi ha informato Hindley che è uscito per parlargli, e ha voluto sapere che cosa avesse fatto e come fosse vissuto nel frattempo, e infine lo ha invitato ad entrare. C'erano delle persone che giocavano alle carte e Heathcliff si è unito a loro, mio fratello ha perso del denaro
giocando con lui, e, vedendo che era assai ben provvisto, lo ha pregato di tornare di nuovo alla sera, invito che è stato accettato. Hindley è troppo sventato per badare a scegliersi le proprie conoscenze con prudenza: non si prende il disturbo di riflettere sui motivi che potrebbe avere per diffidare di uno che lui ha così bassamente ingiuriato. Ma Heathcliff afferma che la sua prima ragione per riprendere la relazione con il suo antico persecutore è il desiderio di installarsi in una casa non troppo distante da Grange, e
anche un attaccamento al luogo ove abbiamo vissuto insieme; inoltre, la speranza di avere maggiori occasioni di vederci che se si stabilisse a Gimmerton. Intende pagare molto per il permesso di risiedere alle Heights, e senza dubbio mio fratello sarà indotto dalla sua cupidigia ad accettare la proposta: è sempre stato avido, anche se quel che afferra con una mano, lo butta poi via con l'altra.»
«È un posto veramente indicato come residenza di un giovanotto!» dissi.
«Non avete timore delle conseguenze, signora Linton?»
«No, non ho nessun timore per il mio amico,» ella rispose; «il suo solido cervello lo terrà lontano dai pericoli; temo un poco per Hindley: ma non può ridursi peggiore moralmente di quello che è; e io sto a ogni modo tra lui e ogni pericolo personale. L'avvenimento di stasera mi ha riconciliata con Dio e con l'umanità. Mi ero messa in aperta ribellione contro la Provvidenza; ho sopportato pene molto, molto amare, Nelly. Se quell'uomo sapesse quanto furono dolorose, si vergognerebbe di turbarmi ora con vane querimonie. Ciò che mi ha indotto a sopportarle è stato solo un senso di gentilezza verso di lui: se avessi palesato lo strazio che spesso mi assaliva, avrebbe imparato a desiderare non meno di me il necessario sollievo. Ebbene, ora tutto è passato e non mi vendicherò della sua follia; d'ora in poi saprò tollerare qualsiasi sofferenza. Se l'essere più volgare mi dovesse dare uno schiaffo, io non solo gli offrirei l'altra guancia per
riceverne un altro, ma chiederei scusa d'averlo provocato, e, a riprova di ciò, andrò immediatamente da Edgar a far la pace. Buona notte! Sono proprio un angelo!»
Così, convinta di essere dalla parte della ragione, ella se ne andò; e il successo della decisione presa e mandata a affetto apparve chiaro l'indomani: il signor Linton non solo smise il broncio, ma non osò impedire che Catherine prendesse Isabella con sè per andare a Wuthering Heights quel pomeriggio; ed ella lo ricompensò con una tale effusione di dolcezza e di affetto che la casa divenne un paradiso per parecchi giorni, e
tanto il padrone che i servi godettero di quel sole costante. Heathcliff - il signor Heathcliff, dovrò dire in futuro, - dapprima approfittava cautamente della libertà di far visite a Thrushcross Grange: sembrava voler valutare esattamente fino a qual punto la sua intrusione sarebbe stata tollerata dal padrone. Anche Catherine pensò prudente moderare le sue manifestazioni di piacere nel riceverlo; ed egli gradatamente si assicurò il diritto d'essere atteso e accolto. Egli aveva conservato quella riservatezza che lo
distingueva già da ragazzo, e questo gli serviva a reprimere qualsiasi dimostrazione troppo viva dei propri sentimenti. L'inquietudine del mio padrone ebbe una tregua, e nuove circostanze ne deviarono il corso per qualche tempo.
Una nuova sorgente di inquietudine derivò dal caso non previsto che Isabella a un tratto ebbe a dimostrare un'irresistibile attrazione per quell'ospite fino ad allora semplicemente tollerato. Era a quel tempo una graziosa ragazza di diciotto anni, di modi ancora infantili, ma di ingegno acuto, e di sentimenti profondi, e di un carattere battagliero se irritata. Suo fratello, che l'amava teneramente, fu spaventato da quella sconcertante predilezione. Lasciando da parte l'avvilimento di un'unione con un uomo
senza un nome, e il fatto non improbabile che i suoi beni per mancanza di un erede maschio, potessero passare in potere di un simile individuo, il padrone aveva abbastanza giudizio da indovinare il sentire di Heathcliff; comprendeva, cioè, che costui, anche se era mutato d'aspetto, conservava immutate e immutabili le stesse idee. Egli temeva quella mente; ne era rivoltato e rifuggiva, come sotto l'influenza di un presagio funesto, dall'idea di abbandonare Isabella in quelle mani. E sarebbe stato ancor più contrariato nel sapere che quell'attaccamento era sorto non sollecitato, ed era prodigato senza la minima reciprocità; egli, invece, non appena ne scoprì l'esistenza, incolpò Heathcliff di perseguire un deliberato disegno. Avevamo tutti notato che da qualche tempo la signorina Linton si tormentava e soffriva ma non si sapeva per qual ragione. Si era fatta cattiva e noiosa; non faceva che rimbrottare e infastidire Catherine con il continuo rischio di logorarne la pazienza già molto limitata. Noi la si scusava, fino a un certo punto, attribuendo il suo malumore alla non buona salute; sembrava consumarsi e svanire davanti ai nostri stessi occhi. Ma un giorno in cui ella si mostrò ancor più particolalmente irritata, e rifiutò la colazione, e si lamentò che i servi non l'ubbidivano, e che la padrona permetteva che lei non contasse nulla in quella casa, e che Edgar la
trascurava, che si era raffreddata perché le porte venivano lasciate aperte, che noi lasciavamo che il fuoco si spegnesse nel salotto appositamente per farle dispetto, e formulò cento altre accuse ancor meno consistenti, la signora Linton insistette perentoriamente perché andasse a letto; e, dopo di averla sgridata per bene, la minacciò di mandare a chiamare il medico. Ma al nome di Kenneth, la signorina Linton gridò subito che la sua salute era perfetta, e che era soltanto la durezza di Catherine a renderla infelice.
«Come puoi mai dire che sono dura con te, cattivella che non sei altro!» esclamò la padrona, stupita di quella irragionevole dichiarazione. «Sei
certamente fuori di senno. Quando sono stata dura con te? dimmelo.»
«Ieri,» singhiozzò Isabella, «e ora.»
«Ieri?» disse la cognata. «In quale occasione?»
«Durante la nostra passeggiata nella landa; mi hai detto di girare a mio piacere, mentre tu passeggiavi con Heathcliff!»
«E la chiami durezza questa?» disse Catherine ridendo. «Non è stato certo per farti capire che la tua compagnia era superflua; a noi non importava punto che tu fossi o non fossi con noi, ho pensato soltanto che i discorsi di Heathcliff non potessero aver nulla d'interessante per le tue orecchie.»
«Oh, no,» disse la fanciulla, piangendo, «tu hai voluto mandarmi via perché sapevi che avevo piacere a rimanere.»
«Ma è in senno?» domandò la signora Linton facendo appello a me.
«Ripeterò la nostra conversazione parola per parola, Isabella, e mi indicherai ciò che avrebbe potuto avere tanta attrattiva per te.»
«A me non importava della conversazione,» ella rispose. «Io desideravo stare con...»
«Ebbene?» disse Catherine notando che esitava a compire la frase.
«Con lui: e non voglio essere sempre mandata via,» ella riprese, accendendosi. «Sei come un cane nella mangiatoia, Cathy, e non vuoi che nessun altro sia amato all'infuori di te!»
«E tu sei una piccola impertinente!» esclamò la signora Linton, molto meravigliata. «Ma non voglio credere a tanta imbecillità; non è possibile che tu cerchi l'ammirazione di Heathcliff, e che lo possa considerare una persona piacevole! Spero bene di essermi sbagliata, Isabella!»
«No, non ti sei sbagliata,» disse la ragazza, infatuata. «L'amo più di quanto tu abbia mai amato Edgar, e lui potrebbe amarmi se tu glielo permettessi!»
«In questo caso non vorrei essere te per tutto un regno!» dichiarò Catherine con enfasi; ed ella sembrava parlare sinceramente. «Nelly, aiutami a convincerla della sua pazzia. Dille chi è Heathcliff: un essere cattivo, senza distinzione, senza educazione: una campagna arida, selvatica, tutta sassi e spine. Sarebbe lo stesso che mettere quel canarino nel parco in una giornata d'inverno, se ti consigliassi di dare il tuo cuore a lui. Solo una deplorevole ignoranza del suo carattere, bambina, può suscitarti un tal sogno nella testa, null'altro che questo. Non immaginarti, ti prego, che sotto quell'aspetto severo, lui nasconda profondità di benevolenza e di affetti! Non è il diamante grezzo, non è il guscio che racchiude la perla dell'ostrica; è un uomo feroce, spietato, rapace come un lupo. Io non gli dico mai: "Lascia stare questo e quel nemico perché non
sarebbe generoso fargli del male"; io gli dico: "Lascialo stare perché ioodierei chi gli facesse del male"; e lui ti schiaccerebbe come un uovo di passero, se tu diventassi per lui un legame fastidioso. So che non potrebbe amare una Linton, ma sarebbe capacissimo di sposare la tua fortuna e le tue speranze. L'avidità sta diventando in lui un peccato travolgente. Questo è il ritratto che ti faccio io, io che gli sono amica, e a tal punto che, se lui avesse pensato seriamente di prenderti, io, forse, avrei taciuto e ti avrei lasciata cadere in trappola.» La signorina Linton guardò la cognata con indignazione.
«Vergogna! Vergogna!» ella ripeté con ira, «tu sei peggio di venti nemici, tu, amica velenosa.»
«Ah, non vuoi credermi, allora» disse Catherine. «Credi che io parli per egoismo?»
«Ne sono certa,» replicò Isabella; «mi fai rabbrividire!»
«Bene!» gridò l'altra. «Fanne tu stessa la prova, se ne hai l'animo. Per conto mio me ne lavo le mani, e abbandono la questione alla tua sfacciata cocciutaggine.»
«E devo io soffrire del suo egoismo?», disse la ragazza tra i singhiozzi, mentre la signora Linton lasciava la stanza. «Tutto, tutto è contro di me; mi ha guastata la mia unica consolazione. Ma ha detto delle falsità, non è vero? Il signor Heathcliff non è un demonio; ha un animo stimabile, e sincero, se no, come l'avrebbe ricordata?»
«Banditelo dalla vostra mente, signorina,» le dissi. «È un uccello di cattivo augurio: non è un compagno per voi. La signora Linton ha parlato con violenza, eppure non posso contraddirla. Conosce il cuore di lui meglio di me e di chiunque altro, e non potrebbe mai dir peggio di quello che lui è realmente. Le persone oneste non nascondono le loro azioni; ma come ha vissuto lui? Come ha fatto a diventar ricco? perché sta a Wuthering Heights, nella casa di un uomo che detesta? Si dice che il signor Earnshaw sia diventato ancora peggiore da quando c'è lui; passano le notti continuamente insieme, e Hindley prende denaro a prestito sulle sue terre e non fa altro che giocare e bere. Ho saputo una settimana fa - ed è stato Joseph a dirmelo quando l'ho incontrato a Gimmerton: "Nelly, un giorno o l'altro avremo un'inchiesta giudiziaria in casa nostra per quei signori. Uno di loro ci ha quasi rimesso un dito per aver voluto impedire all'altro di scannarlo come un vitello. È il padrone che dovrà andare alla corte d'assise. Non ha paura dei tribunali, nè dei giudici, nè di Paolo, nè di Pietro, nè di Giovanni nè di Matteo, di nessuno ha paura! Anzi vorrebbe incontrarsi faccia a faccia con loro! E quel caro ragazzo di un Heathcliff,
ah, quello sì che è un tesoro! Sa ridere come nessun altro di uno scherzo d'inferno. Non vi dice mai nulla della sua bella vita tra noi, quando viene a Grange? Questo è il loro bel modo di passar l'esistenza: si alzano al tramonto: dadi, cognac, imposte chiuse e luce di candela fino a mezzodì del giorno seguente: allora il pazzo sbatte gli usci, e va nella sua camera, gridando e obbligando la gente onesta a turarsi le orecchie dalla vergogna; e l'altro furfante resta a contare la sua moneta, mangia, dorme, e poi si trasferisce a far quattro chiacchiere con la moglie del vicino. Racconta a madama Catherine come l'oro del padre scorra nelle sue tasche, e il figlio del padre vada di galoppo giù per la strada della perdizione, mentre lui corre avanti a rimuover gli ostacoli." Ebbene, signorina Linton, Joseph è un vecchio birbante, ma non è bugiardo; e, se il racconto della condotta di Heathcliff è sincero, voi non desidererete mai averlo per marito, vero?»
«Hai fatto lega con gli altri anche tu, Ellen,» ella rispose. «Non voglio ascoltare le tue calunnie. Quanta malignità devi avere in corpo per voler convincermi a ogni costo che non c'è felicita al mondo!»
Se, lasciata a se stessa, avrebbe abbandonata tale fantasia, o se l'avrebbe nutrita perpetuamente, non posso dire: ebbe poco tempo di riflettere. L'indomani vi fu una riunione di magistrati nella città vicina: il mio padrone fu obbligato di assistervi, e il signor Heathcliff, saputo della sua assenza, venne più presto del solito. Catherine e Isabella stavano nella libreria, ostili, ma silenziose. La signorina Linton, allarmata per aver rivelato in quel momentaneo accesso di passione i suoi più segreti sentimenti; l'altra, dopo mature considerazioni, veramente offesa nei riguardi della compagna; e, se sorrideva ancora della sua impertinenza, non era però disposta a che ne ridesse pure l'altra. Quando vide Heathcliff passare sotto la finestra, sulle sue labbra sbocciò un sorriso pieno di malizia. Isabella, assorta nelle sue meditazioni o nella lettura di un libro, non si mosse fino all'aprirsi dell'uscio, quando non era più in tempo per tentare la fuga, tentativo che avrebbe certamente fatto con gran piacere, se appena le fosse stato possibile.
«Entra, entra!» esclamò la padrona allegramente, tirando una sedia vicino al fuoco. «Ecco qui due persone con un gran bisogno di una terza per sciogliere il ghiaccio ch'è tra loro; e tu sei proprio quello che ambedue avremmo scelto! Heathcliff, sono orgogliosa di presentarti alla fine qualcuno che ti ama ancor più di me. Credo bene che ne sarai lusingato. No, non è Nelly; non guardare lei! È la mia povera cognatina che si strugge il cuore nella contemplazione della tua bellezza fisica e morale. Ora è in tuo potere di diventare il fratello di Edgar. No, no, Isabella, non devi correr via,» ella proseguì, arrestando, come se scherzasse, la ragazza che si era alzata tutta confusa ed indignata. «Stavamo litigando come gatte per te, Heathcliff; e io sono stata pienamente sorpassata in proteste di devozione e di ammirazione; e per di più sono stata informata che, se
avessi la bontà di starmene da parte, la mia rivale, come lei si crede, ti lancerebbe una freccia nel cuore che ti colpirebbe per sempre, e manderebbe la mia immagine in eterno oblio.»
«Catherine,» disse Isabella, facendo appello alla sua dignità e sdegnando di far forza per svincolarsi dalla stretta che la tratteneva. «Ti sarei grata se tu volessi stare alla verità e non m'ingiuriassi, anche se è solo per gioco! Signor Heathcliff, abbiate la gentilezza di pregare questa vostra amica di voler lasciarmi andare: dimentica che io e voi non siamo conoscenti intimi e che ciò che sembra divertir lei è penoso per me, oltre ogni dire.»
Poiché l'ospite non rispondeva nulla, ma si era seduto al suo posto del tutto indifferente ai sentimenti che ella nutriva al suo riguardo, Isabella si volse, e bisbigliò alla sua tormentatrice una sincera preghiera di esser lasciata in libertà.
«Per niente al mondo!» gridò la signora Linton in risposta. «Non voglio più essere chiamata un cane nella mangiatoia; tu resterai. Ora, dunque, Heathcliff, perché non dimostri la tua soddisfazione per la bella notizia? Isabella giura che l'amore di Edgar per me non è nulla in contronto a quello che lei ha per te. Sono certa che ha fatto un discorso di tal genere, non è vero, Ellen? Ed è stata a digiuno dalla nostra passeggiata di ieri, per il dolore e la rabbia di essere stata allontanata dalla tua compagnia, come se la sua presenza non fosse gradita.»
«Credo che tu l'abbia smentita,» disse Heathcliff, facendo girare la sedia per guardarle. «A ogni modo lei ora desidera di non essere in mia compagnia.»
Ed egli fissò a lungo l'oggetto delle sue parole, come si potrebbe fare con un animale strano e repellente: un millepiedi delle Indie, a esempio, che la curiosità ci spinge a esaminare, a onta dell'avversione che desta in noi. Quella poverina non poté sopportare una cosa simile: si fece pallida e rossa in volto con rapida successione, e, mentre le lacrime le imperlavano le ciglia, adoperò la forza delle sue piccole dita a sciogliere la dura stretta di Catherine; e, vedendo che non appena sollevava un dito dal suo braccio,
un altro si abbassava, e non riusciva a smuoverli tutt'insieme, cominciò a servirsi delle unghie, e la loro acutezza ornò presto di mezze lune rosse la mano che la tratteneva.
«Qui c'è una tigre!» esclamò la signora Linton, lasciandola libera, e scuotendo la mano dal dolore. «Vattene, per amor di Dio, e nascondi quel tuo volto di furia! Che pazzia mostrare quegli artigli a lui! Non pensi quale sarà la sua conclusione. Guarda, Heathcliff: sono strumenti di vendetta; bada ai tuoi occhi!»
«Glieli strapperei dalle dita, se mai mi minacciassero,» rispose lui brutalmente, quando la porta le si chiuse dietro. «Ma che intendevi fare con il tormentare quella creatura in tal modo, Cathy? Non dicevi la verità, non è vero?»
«Ti assicuro che dicevo la verità,» rispose. «Da parecchie settimane muore d'amore per te; stamane sembrava impazzita, e mi ha coperta d'improperi perché le ho rappresentato i tuoi difetti in piena luce, allo scopo di moderare la sua adorazione. Ma non stare a badarvi più oltre: ho voluto punire la sua sfrontatezza; ecco tutto. Ho troppa simpatia per lei, mio caro Heathcliff, per lasciartela davvero prendere e divorare.»
«E a me dispiace troppo per farne la prova,» egli disse, «potrei farlo solo come un orco delle favole. Ne sentiresti delle belle se dovessi vivere con quell'insulsa dal viso di cera, il più spesso possibile le dipingerei su quel bianco i colori dell'iride, e un giorno sì e l'altro no, le farei diventar neri quegli occhi azzurri che somigliano così odiosamente a quelli di Linton.»
«Piacevolmente!» ribatté Catherine. «Sono occhi di colomba, di angelo!»
«È l'erede di suo fratello, vero?» chiese lui, dopo un breve silenzio.
«Mi spiacerebbe pensare che così dovesse essere,» rispose la sua compagna. «Una mezza dozzina di nipoti cancelleranno il suo diritto, grazie al Cielo! Per il momento togliti pure dalla mente una simile idea: sei troppo pronto a desiderare la roba del vicino; ricordati che la roba di questo vicino è mia.»
«Se fosse mia, non sarebbe meno tua per questo,» disse Heathcliff; «comunque, se Isabella Linton è sciocca, non è affatto pazza; ma non parliamone più, come tu suggerisci.»
Non ne parlarono più infatti e Catherine probabilmente allontanò davvero quell'idea dalla sua mente. L'altro, invece, ne sono sicura, ci ripensò spesso nel corso della sera. Lo vidi sorridere tra sè, o piuttosto sogghignare, e sprofondare in meditazioni sinistre ogni volta che la signora Linton aveva occasione di assentarsi dalla stanza. Mi decisi a osservare i suoi movimenti. Il mio cuore propendeva invariabilmente per il padrone invece che per Catherine: con ragione, credo, perché egli era gentile, sincero, e stimabile; ed ella, se non poteva essere qualificata proprio l'opposto, sembrava tuttavia accordare a se stessa una tale libertà, che potevo avere poca fede nei suoi principi, ed ancor meno simpatia per i suoi sentimenti. Desideravo che accadesse qualche cosa che
potesse servire a liberare tanto Wuthering Heights che Grange da Heathcliff, ma tranquillamente; lasciandoci come eravamo prima della sua venuta. Le sue visite erano un continuo incubo per me, e, temevo, anche per il padrone. La sua dimora alle Heights mi dava un'oppressione al di là di ogni dire. Sentivo che Dio aveva abbandonata ai propri traviamenti la pecora smarrita lassù, e che un animale iniquo si aggirava tra di essa e l'ovile, aspettando l'istante di poter assalire e distruggere.

CIME TEMPESTOSE~ EMILY BRONTËDove le storie prendono vita. Scoprilo ora