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L'estate e il principio d'autunno erano ormai passati; si era già ai primi di ottobre, ma quell'anno il raccolto era in ritardo e non tutti i nostri campi erano già mietuti. Il signor Linton e la figlia solevano andare trai mietitori, soffermandosi fin dopo il crepuscolo, quando venivano messi insieme gli ultimi covoni; così accadde che una sera, fredda e umida, il mio padrone prendesse una forte infreddatura, così forte da infettargli i polmoni e costringerlo a rimanere in casa durante l'intero inverno quasi senza interruzione.
La povera Cathy, distolta dal suo piccolo romanzo, tutta impaurita si era fatta più triste e assorta e suo padre insisteva perché leggesse meno e camminasse di più, così stimai mio dovere di supplire meglio che potevo con la mia compagnia alle privazioni di quella sua, quantunque le mie numerose occupazioni non mi permettessero di seguirla sempre nelle passeggiate. Inoltre la mia compagnia era certamente meno gradita di quella del padre.
In un pomeriggio di fine ottobre o al principio di novembre - uno di quei pomeriggi umidi, piovigginosi, in cui l'erba e i sentieri sono cosparsi dalle foglie appassite e fruscianti che la pioggia ha fatto cadere, e il freddo cielo azzurro è quasi velato dalle nubi - densi nuvoloni s'innalzarono rapidamente da occidente, forieridi di altra acqua, pregai quindi la mia padroncina di rimandare la sua passeggiata a causa di quella minaccia celeste. Ella rifiutò e io, di malavoglia, indossai un soprabito, e presi un ombrello per accompagnarla a fare un giro fino in fondo al parco; passeggiata consueta, quando era depressa, e lo era invariabilmente se il signor Edgar stava peggio del solito, cosa che non si sapeva mai da lui, ma che tutt'e due indovinavamo dal silenzio e dalla malinconia del volto del padrone. Ella camminava tristemente; ora non c'erano più corse nè salti, benché il vento freddo avrebbe potuto tentarla a un poco di moto. E spesso, spiandola di sottecchi, la coglievo nell'atto di asciugarsi le guance con il dorso della mano. Mi guardai intorno in cerca di qualche possibile distrazione per i suoi affanni. Da un lato della strada sorgeva un'alta ripa incolta su cui piante di noccioli e querce intristite dalle radici affioranti avevano poca presa: il terreno troppo instabile e le bufere ne avevano piegato alcune fin quasi a terra. D'estate, la signorina Cathy si divertiva ad arrampicarsi su quei tronchi, e a sedersi tra i rami, dondolandosi a venti piedi dal terreno, e io, compiaciuta della sua agilità e del suo animo sereno e ancora ingenuo, trovavo opportuno ammonirla ogni volta che la scoprivo a tali altezze, ma in modo tale da farle capire che non vi era effettiva necessità di discendere. Dall'ora del pranzo a quella del tè soleva starsene in quella sua culla dondolata dalla brezza, canterellando vecchie canzoni le mie ninne nanne - o guardando gli uccelli, suoi vicini, nutrire i loro piccoli o iniziarli al volo, oppure sprofondava a occhi chiusi in qualche sogno, più felice di quanto le parole possano esprimere.
«Guarda, Cathy!» esclamai, additandole una nicchia sotto le radici di un albero contorto. «L'inverno non è ancora arrivato qui. Lassù c'è un piccolo fiore, l'ultimo bocciolo della moltitudine di campanule che nel mese di luglio avvolgevano come in una nube lilla quegli scalini muscosi. Non vuoi arrampicarti a coglierlo per mostrarlo al papà?»
Cathy fissò a lungo quel solitario fiore che tremava nel suo rifugio di terra, alla fine rispose:
«No, non lo toccherò: ma sembra malinconico, non è vero Ellen?»
«Sì,» risposi, «non meno malinconico e sofferente di te. Hai le guance esangui. Prendiamoci per mano e corriamo. Sei così depressa che credo riuscirò a starti a pari.»
«No,» ribatté e continuò ad andar qua e là soffermandosi ogni tanto a meditare sopra un poco di muschio, o sopra un ciuffo di misera erba, o un fungo che spiccava con il suo vivo color arancio fra mucchi di foglie brune, e a tratti si levava una mano al viso.»
«Catherine! perché piangi, amore?» le domandai, accostandomi e mettendole il mio braccio sulla spalla. «Non devi piangere perché il papà è raffreddato; sii grata che non ha nulla di peggio.»
In quel momento scoppiò in lacrime; il respiro era soffocato dai singhiozzi.
«Oh, sarà qualcosa di peggio,» disse. «E che cosa farò quanto tu e il papà mi lascerete, quando sarò sola? Non posso scordare le tue parole, Ellen: mi risuonano sempre all'orecchio. Come sarà rovinata la mia vita, come sarà triste il mondo, quando tu e il papà sarete morti.»
«Nessuno può dire, se non morrai tu prima di noi,» le risposi. «È male anticipare le disgrazie. Bisogna sperare che passino ancora anni e anni prima che qualcuno di noi se ne vada: il padrone è giovane, e io sono forte, non ho ancora quarantacinque anni. Mia madre ha vissuto fino agli ottanta, una donna piena di vita fino all'ultimo. E supponi che il signor Linton ci fosse risparmiato fin oltre i sessant'anni, sarebbe un numero maggiore di anni di quello da te calcolato, Cathy. E non sarebbe vano piangere per una calamità più di vent'anni prima che possa verificarsi?»
«Ma la zia Isabella era più giovane del papà,» mi fece osservare, guardandomi in viso con una timida speranza di trovare qualche altra consolazione. «La zia Isabella non aveva le mie nè le tue cure,» le risposi. «Non era felice come il padrone e non aveva nulla per cui desiderare di vivere. Tutto quello che devi fare e di prodigare cure assidue al tuo papà, e di rallegrarlo facendoti vedere allegra; devi evitargli qualunque ansietà per qualsiasi motivo; bada a questo, Cathy! Non voglio nasconderti che potresti ucciderlo con il mostrarti disubbidiente e irrequieta, o con l'accarezzare un vano e irreale affetto per il figlio di chi sarebbe ben contento di vedere il tuo papà nella tomba. Così non devi neppure lasciargli scorgere che ti addolori per una separazione che lui ha giudicato necessaria.»
«Soffro solo per la malattia del papà,» rispose la mia compagna. «Non ci tengo a nessuna cosa in confronto di lui. E io non compirò mai... mai... oh, mai, finché sarò in me, un atto e neppure dirò mai una parola che lo possano rattristare. Lo amo più di me stessa Ellen; e lo so da questo: ogni notte prego perché mi sia dato di sopravvivergli; perché vorrei addolorarmi io piuttosto di lui; non è la prova che l'amo più di me stessa?...»
«Buone parole,» risposi, «ma i fatti lo devono provare, e, quando starà bene, bada di non dimenticare le risoluzioni prese nell'ora del pericolo!»
Così parlando, ci avvicinammo a una porta che dava sulla strada; e la mia padroncina, di nuovo raggiante, s'arrampicò e si sedette sulla sommità del muro, per cercare di cogliere alcune bacche che rosseggiavano in cima ai rami di una rosa selvatica, ombreggiante un lato della strada maestra; i frutti più in basso erano scomparsi, ma soltanto gli uccelli potevano toccare quelli più in alto. Per coglierli bisognava mettersi nella posizione di Cathy. Nel protendersi per strapparli, le cadde il cappello, ed, essendo chiusa la porta, la ragazza mi propose di lasciarsi scivolar lungo il muro per riprenderlo. Le raccomandai di essere cauta per non arrischiare una caduta, ed ella scomparve agilmente. Ma il ritorno non era cosa tanto facile; le pietre erano lisce e perfettamente connesse, e i cespugli di rose e i pochi rami rampicanti delle more non offrivano aiuto alla salita. Io, come una sciocca, non pensai a questo fin quando non la sentii ridere ed esclamare:
«Ellen, dovrai andar a prendermi la chiave, altrimenti dovrò fare il giro fino alla loggia del portiere. Non posso scalare il muro da questa parte!»
«Rimani dove sei,» le risposi, «ho il mio mazzo di chiavi in tasca; forse riuscirò ad aprire, se no andrò.»
Catherine si divertì a danzare di qua e di là davanti alla porta, mentre provavo tutte le grosse chiavi una dopo l'altra. Avevo introdotta l'ultima, ed, essendomi persuasa che nessuna serviva, le ripetei il mio desiderio che se ne rimanesse lì, e stavo per correre a casa più in fretta che potevo, quando mi arrestai a un rumore che sembrava avvicinarsi. Era il trotto di un cavallo anche la danza di Cathy s'arrestò. «Chi sarà?» mormorai.
«Ellen, vorrei che tu potessi aprir la porta,» rispose con un bisbiglio ansioso la mia compagna.
«Oh, signorina Linton!» gridò una voce bassa (quella del cavaliere), «sono contento d'incontrarvi. Non abbiate premura d'entrare, perché ho una spiegazione da domandarvi e da ottenere.»
«Non parlerò con voi, signor Heathcliff,» rispose Catherine. «Il papà dice che siete un uomo malvagio, e che ci odiate tutt'e due, lui e me, ed Elena dice la medesima cosa.»
«Questo non ha nulla a che vedere,» disse Heathcliff. (Era lui.) «Non odio mio figlio, oserei supporlo, ed è riguardo a lui che domando la vostra attenzione. Sì, avete motivo d'arrossire: due o tre mesi or sono non eravate solita a scrivere a Linton? vi divertivate ad amoreggiare, eh? Meritavate e l'uno e l'altro d'esser bastonati! Voi specialmente, la maggiore; e la meno sensibile, da quel che si vede. Ho le vostre lettere, e, se vi date tante arie con me, le manderò a vostro padre. Immagino che il divertimento vi sia venuto a noia, e che così lo abbiate troncato, vero? Ebbene, così avete abbandonato Linton in un abisso di disperazione. Faceva sul serio lui; era veramente innamorato. Com'è vero che io sono al mondo, lui se ne muore per voi; gli si spezza il cuore per la vostra leggerezza, non per modo di dire, ma in realtà, sapete. Sebbene Hareton ne abbia fatto il suo zimbello per sei settimane, sebbene io abbia ricorso a misure più severe, cercando di scuoterlo dalla sua imbecillità con le minacce, peggiora ogni giorno di più e sarà al camposanto prima che giunga l'estate, a meno che voi non lo lasciate sperare.»
«Come potete mentire così sfacciatamente con questa povera ragazza?» protestai ad alta voce. «Vi prego di proseguire per il vostro cammino! Con che coscienza inventare menzogne così abiette? Signorina Cathy, farò saltare la serratura con una pietra; non prestate ascolto a sciocchezze così vili. Potete sentire in voi stessa, come non sia possibile morir d'amore per un estraneo.»
«Non sapevo che ci fossero delle spie,» borbottò quel furfante colto sul fatto. «Stimatissima signora Dean voi mi piacete, ma non mi piace la vostra doppiezza,» soggiunse a voce alta. «Come potete voi mentire tanto sfacciatamente, affermando che io odio questa "povera ragazza" e inventando storie fantastiche per incuterle il terrore della mia casa? Catherine Linton (soltanto il nome mi commuove), mia bella ragazza, sarò assente da casa tutta la settimana; andate a vedere se non ho detto la verità, andate, ve ne prego, cara! Immaginate vostro padre al mio posto, e Linton al vostro; allora provate a pensare in che conto terreste il vostro innamorato se rifiutasse di muovere un passo per confortarvi, quando vostro padre stesso lo implorasse; e, per pura stupidità non cadete nel medesimo errore. Giuro, sulla salvezza dell'anima mia, che lui sta per andarsene alla tomba, e che nessuno tranne voi lo può salvare!» La serratura cedette, e io uscii.
«Giuro che Linton è morente,» ripeté Heathcliff guardandomi duramente. «E il dolore e la disillusione ne affrettano la morte. Nelly, se non volete lasciarla andare, andate voi. Io ritornerò solo tra una settimana e credo che lo stesso vostro padrone non le vieterebbe di recarsi da suo cugino!»
«Vieni dentro,» dissi, prendendo Cathy per un braccio e facendole quasi forza perché rientrasse; ella indugiava a osservare con occhi turbati la fisionomia di colui che aveva parlato sino ad allora, una fisionomia troppo grave per lasciar trapelare l'inganno macchinato. Spinse il cavallo verso di noi, e, chinatosi, disse: «Signorina Catherine, a voi confesso che ho poca pazienza con Linton, e Hareton e Joseph ne hanno ancor meno. Confesso che si trova in una rozza compagnia. Soffre per il desiderio di un po' di gentilezza e d'amore, e una parola gentile da voi sarebbe la sua migliore medicina. Non badate ai crudeli avvertimenti della signora Dean, ma siate generosa, e fate in modo di vederlo. Vi sogna giorno e notte, e non può convincersi che voi non l'odiate, dato che non gli scrivete nè lo visitate.»
Chiusi la porta, e vi spinsi contro una pietra che la tenesse ferma; e, aperto l'ombrello, vi tirai sotto Cathy, perché la pioggia cominciava a cadere tra i rami degli alberi gementi, e ci avvertiva di evitare ogni indugio. La fretta impedì qualsiasi commento sull'incontro con Heathcliff, mentre a grandi passi procedevamo verso casa, ma indovinavo istintivamente che il cuore di Catherine era ora avvolto in una doppia oscurità. L'espressione del suo volto era così desolata da farlo sembrare un altro volto; evidentemente ella riteneva pura verità ogni sillaba che aveva udito.
Il padrone si era ritirato a riposare prima che noi rientrassimo. Cathy entrò piano in camera sua per domandargli come stesse, ma lui si era addormentato. Tornata fuori da quella stanza mi pregò di rimanere con lei in biblioteca. Prendemmo il tè insieme, e poi lei sedette sul tappetino e mi disse di non parlare, perché era stanca. Presi un libro e finsi di leggere. Non appena mi suppose assorta in quell'occupazione, riattaccò a piangere sommessamente; sembrava la sola occupazione possibile per lei. La lasciai piangere per un poco, indi feci delle rimostranze, e posi in ridicolo tutto quel che il signor Heathcliff aveva detto a proposito del figlio, come se fossi stata certa che lei mi avrebbe dato ragione. Ahimè! Non avevo preveduto l'effetto di quel racconto appena sentito: era proprio quello a cui Heathcliff aveva mirato.
«Potete aver ragione, Ellen,» ella rispose, «ma io non mi sentirò mai tranquilla finché non saprò. E bisogna che dica a Linton che non è colpa mia se non gli scrivo, che lo convinca che non cambierò mai.»
A che cosa avrebbe giovato prendersela con lei, protestare contro la sua sciocca credulità? Quella sera ci separammo da nemiche; ma il giorno seguente eccomi sulla strada di Wuthering Heights, a fianco del pony della mia prepotente padroncina. Mi era intollerabile assistere al suo corruccio, vedere il suo volto pallido e afflitto e quei suoi occhi stanchi, cedetti nella debole speranza che Linton stesso avrebbe provato con la sua accoglienza che una troppo piccola parte del racconto di Heathcliff era basata sui fatti.

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Buongiorno/Buonasera a tutti.
Mi prendo questo piccolo spazio innanzi tutto per ringraziarvi per tutte le letture e i voti. In secondo luogo se qualcuno di voi sapesse e avesse voglia di fare una copertina per questa storia sarà ovviamente ricompensato con pubblicità o altro e gli/le sarei molto grato/a.
Buona lettura,
Francesca.

CIME TEMPESTOSE~ EMILY BRONTËDove le storie prendono vita. Scoprilo ora