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Quel venerdì fu l'unica giornata bella di tutto il mese. A sera il tempo cambiò: il vento mutò direzione e portò dapprima la pioggia, poi il nevischio, infine la neve. L'indomani nessuno avrebbe potuto quasi credere che avevamo avuto tre settimane di estate. Le primule e i fiori di croco erano stati nascosti da mucchi di neve, le allodole tacevano, le giovani foglie degli alberelli precocemente rinverditi, erano annerite per il gelo. E triste, e freddo, e lugubre quell'indomani venne! Il mio padrone non uscì di camera; e io, preso possesso dello squallido salotto, lo convertii in una stanza per bambini: me ne stavo là seduta con quella pupattola sulle ginocchia, la dondolavo, guardando i fiocchi di neve che continuavano ad avventarsi contro i vetri di quella finestra senza tende, quando la porta s'aprì e qualcuno entrò, ansando, ridendo! La mia collera fu per un momento più grande del mio stupore. Pensando che si trattasse di una delle cameriere, gridai:
«Zitta! Come potete mostrare tanta leggerezza in questo luogo? Che cosa direbbe il signor Linton se vi sentisse?» «Scusatemi!» mi rispose una voce familiare; «ma so che Edgar è a letto, e non posso frenarmi.»
Con tali parole la visitatrice avanzò verso il focolare, trafelata, comprimendosi un fianco con una mano.
«Ho fatto tutta la strada di corsa da Wuthering Heights, dove non ho volato!» riprese dopo una pausa. «Non potrei contare le cadute che ho fatto. Oh, ne sono tutta contusa! Non allarmatevi! Vi darò una spiegazione, appena mi sarà possibile; ora fatemi soltanto il piacere di uscire a ordinarmi la carrozza per proseguire per Gimmerton, e dite a una domestica di togliere dal guardaroba qualche mio abito.»
L'intrusa era la signora Heathcliff. Certamente, non si trovava in una situazione allegra: i capelli sparsi sulle spalle gocciolavano di neve e pioggia; indossava l'abito che soleva portare da ragazza, e che si addiceva più alla sua età che non alla sua posizione: una vesticciuola scollata con maniche corte; nulla in capo nè intorno al collo. L'abitino era di seta leggera; essendo bagnato, le si accollava addosso. I suoi piedi erano protetti dalle sole pianelle sottilissime. Come se questo non bastasse aveva sotto un orecchio un profondo taglio, cui soltanto il freddo impediva di sanguinare copiosamente; il suo volto era pallido, graffiato e contuso, e tutta la sua persona quasi non si reggeva dalla stanchezza. Vi sarà facile comprendere come lo spavento da me provato da principio non diminuì, quando l'ebbi esaminata più attentamente. «Mia cara signora!» esclamai, «non mi muoverò punto, non vi presterò minimamente ascolto finché non vi sarete tolta tutte le cose che avete indosso, e non ve ne sarete messa di asciutte; e certamente non andrete a Gimmerton stanotte, così è inutile ordinare la carrozza.»
«Ma debbo andarci,» rispose, «a piedi, o in vettura: però non ho nulla in contrario a vestirmi un po' più decentemente. E... oh, guarda come il sangue mi scorre lungo il collo ora! Il fuoco fa bruciare la ferita!»
Ella insistette perché eseguissi i suoi ordini prima di permettermi di occuparmi di lei; e finché il cocchiere non ebbe ricevuto l'ordine di tenersi pronto, e una cameriera non fu mandata a prepararle gli indumenti necessari, non potei fasciarle la ferita, nè aiutarla a togliersi quel vestito fradicio.
«E ora, Ellen,» disse quando il mio compito fu finito, ed ella si fu seduta su di una poltrona presso il focolare, con una tazza di tè davanti, «ora, prima di sederti accanto a me, porta via la bimba della povera Catherine. Non amo vederla! Non devi pensare che non ricordi Catherine perché, entrando, mi sono comportata tanto pazzamente. Ho pianto molto, amaramente, sì assai più di chiunque altro. Ci eravamo separate in collera, ricordi, e non me lo perdonerò mai. Tuttavia, non volevo condividere il dolore con lui! con quel bruto! Oh, dammi l'attizzatoio!» e in così dire si tolse l'anello d'oro dal dito medio: «Questa è l'ultima cosa sua che tengo con me», e di colpo lo gettò sul pavimento. «Lo schiaccerò,» disse, pestandolo con puerile disprezzo, «e poi lo brucerò!» e, raccolto quell'oggetto così maltrattato, lo lasciò cadere tra i tizzoni accesi. «Ecco! Se Heathcliff mi riavrà, me ne comprerà un altro. Sarebbe capace di venire a cercarmi, pur di dar fastidio a Edgar. Non oso rimanere per il timore che una simile idea turbini in quel suo malvagio cervello! E poi Edgar non è stato buono con me, vero? Non voglio implorare il suo aiuto, nè causargli altri dispiaceri. La necessità mi ha costretta a cercare ricovero qui, però, se non avessi saputo che Edgar non s'aggira per la casa, non avrei oltrepassata la cucina; ti avrei chiesto di portarmi quanto mi occorre, e sarei ripartita, e andata lontana da quel maledetto... da quel demonio incarnato! Ah, com'era infuriato! Se mi avesse presa! È un peccato che Hindley non sia pari suo per forza: non sarei corsa via finché non l'avessi visto completamente disfatto!»
«Bene, bene, non parlate così in fretta, signora,» la interruppi, «continuate a spostare il fazzoletto che vi ho legato intorno al viso, farete sanguinare di nuovo la ferita. Bevete il tè, e respirate normalmente, e smettete di ridere; ridere sotto questo tetto e nella vostra situazione è assai fuori di posto!»
«Hai ragione!» rispose. «Ma ascolta la bambina! Continua a vagire lamentosamente; allontanala da me, ti ripeto; mi fermerò solo per poco.»
Suonai il campanello e affidai la bambina alle cure di una domestica, indi chiesi a Isabella che cosa l'avesse indotta a fuggire da Wuthering Heights in condizioni così sconcertanti e dove intendesse andare dato che rifiutava di rimanere con noi.
«Io dovrei e vorrei rimaner qua,» rispose, «per due motivi: per consolare Edgar e per aver cura della piccola, e anche perché Grange è la mia vera casa. Ma ti assicuro che Heathcliff non mi ci lascerebbe! Credi che sopporterebbe di vedermi rifiorire e ridiventare gaia, che sopporterebbe di saperci tranquilli, senza meditare di avvelenare la nostra quiete? Ora ho la soddisfazione di sapere con assoluta certezza che mi detesta al punto che gli è di gran noia l'avermi davanti agli occhi, vale a dire nella condizione di osservarlo o di ascoltarlo. Ho notato che al mio avvicinarsi, i muscoli del viso gli si contraggono involontariamente in un'espressione di odio, dovuto in parte alla consapevolezza che ho buone ragioni per provare risentimento per lui, e in parte a una naturale avversione. È tanto forte in lui quest'avversione che mi rende quasi certa che non mi inseguirebbe per l'Inghilterra supposto che io riuscissi a sfuggirgli; perciò bisogna che sparisca. Sono guarita da quel mio desiderio d'essere uccisa da lui: vorrei piuttosto che si suicidasse! Ha realmente distrutto il mio amore, così ora mi sento padrona di me stessa. Potrò ancora ricordarmi l'amore che ho avuto per lui; l'ho amato, ed ho una vaga impressione che potrei ancora amarlo, se... no, no! Anche se mi avesse idolatrata, la sua natura demoniaca si sarebbe in qualche modo rivelata! Catherine doveva avere gusti assai pervertiti per averlo tanto caro, pur conscendolo a fondo, come lo conosceva. Mostro! come vorrei fosse cancellato dal creato e dalla mia memoria!»
«Silenzio, silenzio! Anche lui ha un'anima!» dissi. «Siate più caritatevole; vi sono uomini peggiori.»
«Non è un essere umano!» replicò Isabella, «e non ha diritto alla mia pietà. Gli ho dato il mio cuore ed egli lo ha preso e stretto a morte e respinto da sè. È col cuore che si sente, Ellen: e poiché ha distrutto il mio, non posso aver pietà di lui: e non l'avrei neppure se piangesse fino al giorno della sua morte, e versasse lacrime di sangue per Catherine. No, no, non vorrei averne!» Isabella ruppe in pianto, ma di colpo riprese: «Vuoi sapere cosa mi ha spinto alla fuga? Sono stata costretta ad affrontare il rischio, perché ero riuscita a scatenare la sua ira al massimo, oltre la sua stessa malvagità. Strappare i nervi con tenaglie arroventate richiede maggior sangue freddo che dare una mazzata sul capo. Era tanto fuori di sè da dimenticare la prudenza demoniaca di cui si vantava e lasciarsi andare alla violenza omicida. Ho avuto la soddisfazione di esasperarlo; questo ha ridestato in me l'istinto di conservazione, così sono fuggita; e se mai gli ritornassi tra le mani, avrebbe da me una vendetta esemplare...»
Ieri, il signor Hindley doveva essere al funerale. Per questo non si è ubriacato o, almeno, non del tutto; non è andato a letto rabbioso alle sei per poi alzarsi ubriaco alle dodici. Si è alzato abbattuto, la mente rivolta al suicidio; invece si è seduto accanto al fuoco a bere bicchieri colmi di acquavite.
Heathcliff, - tremo al solo nominarlo, - da domenica è rimasto fuori di casa. Da chi sia stato nutrito, se dagli angeli del cielo o dai suoi simili in terra, non saprei dirlo; ma per quasi una settimana non ha mangiato con noi. È rincasato all'alba, è salito in camera sua e si è chiuso a chiave, come se qualcuno si fosse mai sognato di desiderare la sua compagnia. Là è rimasto a pregare come un metodista, soltanto che la divinità implorata non è che morta polvere e cenere; e Dio, cui si rivolgeva, era confuso in modo curioso col proprio «padre nero!» Finite queste belle preghiere - generalmente duravano finché diveniva roco e la voce gli si spegneva in gola - ripartiva subito, direttamente fin giù a Grange! Mi meraviglio che Edgar non abbia mandato a chiamare un poliziotto, e che non glielo abbia dato in custodia! A me, pur addolorata per Catherine, questa liberazione dalla più degradante oppressione pareva un sollievo.
Son tornata abbastanza serena da ascoltare senza piangere le eterne prediche di Joseph, da andare e venire nella casa non più col passo impaurito di un ladro. Non credere che piangessi per quello che mi poteva dire Joseph, ma lui e Hareton erano una compagnia odiosa. Preferivo ascoltare gli spaventosi discorsi di Hindley, piuttosto che restare col «signorino» e il suo sostenitore, quell'odioso vecchio! Quando Heathcliff è in casa, sono spesso costretta a rifugiarmi in cucina, e a subire la loro compagnia, se non voglio morir di fame nelle stanze umide e disabitate; quando è assente, come questa settimana, mi sistemo con un tavolo ed una sedia accanto al fuoco nella «casa», senza badare a Hindley; lui non si occupa di quel che faccio io. Se nessuno lo provoca è molto più tranquillo di una volta; più taciturno e depresso, e meno irascibile. Joseph dice che è un altro uomo, e che il Signore gli ha toccato il cuore, e lo ha purificato come «attraverso il fuoco»! Io non vedo i segni del favorevole cambiamento, ma non è affar mio.
Ieri sera son rimasta nella mia nicchia a leggere dei vecchi libri fin verso la mezzanotte. Era troppo triste salire con la neve che turbinava al di fuori, e i miei pensieri continuamente rivolti al cimitero e alla fossa appena scavata! Non osavo quasi alzare gli occhi dalla pagina che mi stava davanti, subito mi si presentava quella scena malinconica. Hindley era seduto di fronte a me, teneva il capo appoggiato ad una mano, e la sua meditazione era forse simile alla mia. Aveva smesso di bere in tempo per restare lucido, e per due o tre ore non si era mosso, nè aveva mai parlato. Non vi era nessun rumore nella casa tranne l'ululare del vento, che ogni tanto squassava le finestre, e il leggero crepitìo dei tizzoni, e ad intervalli lo scatto del mio smoccolatoio quando accorciavo il lungo lucignolo della candela. Hareton e Joseph erano probabilmente a letto e profondamente addormentati. Ero molto molto triste, e mentre leggevo sospiravo perché sembrava che tutta la gioia fosse svanita dal mondo per non tornarvi mai più!
Il doloroso silenzio fu alla fine interrotto dal rumore del catenaccio di cucina: Heathcliff era tornato dalla sua veglia più presto del solito forse a causa della bufera. Quella porta era chiusa a chiave e lo sentimmo fare ilgiro della casa per entrare dall'altra parte. Mi alzai con un'esclamazione così eloquente da indurre il mio compagno, che aveva lo sguardo fisso alla porta, a voltarsi e a guardarmi.
«Voglio lasciarlo fuori cinque minuti,» esclamò. «Avete nulla in contrario?»
«No; per conto mio potete lasciarlo fuori tutta la notte!» risposi. «Sì, lasciatelo; mettete la chiave nella serratura e tirate i catenacci.»
Hindley ci riuscì prima che il suo ospite giungesse all'ingresso principale; poi prese la sedia, venne a mettersi al tavolo di fronte a me, si appoggiò, e spiò nei miei occhi l'ardente odio che luceva nei suoi; non ve lo trovò o almeno non esattamente uguale al suo, lui aveva l'aspetto e i propositi di un assassino, ma vi scoprì quanto bastava per incoraggiarlo a parlare.
«Voi ed io,» disse, «abbiamo ognuno un gran conto da regolare con quell'uomo là fuori! Se non fossimo codardi, potremmo metterci d'accordo e farla finita. Siete debole come vostro fratello? e disposta a sopportare tutto fino alla fine senza tentare una volta di vendicarvi?»
«Ho sopportato abbastanza!» risposi, «e sarei felice di una vendetta che non ricadesse su di me; ma l'inganno e la violenza sono spade a due tagli; feriscono chi ricorre ad esse peggio degli stessi nemici.»
«L'inganno e la violenza si ripagano con l'inganno e la violenza!» gridò Hindley. «Signora Heathcliff, non vi chiedo nulla, ma non movetevi e non parlate... Ditemi, siete capace? Sono certo che proverete gusto quanto me nell'assistere alla fine di quel demonio; egli sarà la vostra morte, a meno che non lo colpiate prima, e la mia rovina. Maledetto furfante indemoniato! Picchia alla porta come se fosse già padrone qui dentro! Promettete di tacere e prima che quell'orologio suoni - mancano tre minuti all'una - sarete una donna libera!»
Levò dal petto le armi che ti ho descritto nella mia lettera e fece l'atto di spegnere il lume; ma io me ne impadronii e lo afferrai per il braccio.
«Non starò in silenzio!» dissi. «Non dovete toccarlo. Lasciate chiusa la porta e restatevene tranquillo!» «No! ho preso la mia decisione, e, per Dio, non ci rinuncio!» gridò quel disperato. «A vostro dispetto voglio farvi del bene, e rendere giustizia ad Hareton! Non preoccupatevi di difendermi, Catherine non c'è più: nessuno al mondo mi piangerebbe o si vergognerebbe se io mi tagliassi la gola in questo stesso minuto. È ora di farla finita!»
Non potevo lottare contro un orso, o tentare di far ragionare un pazzo; la mia sola risorsa era correre alla finestra e avvertire la vittima prestabilita di quel che l'aspettava.
«Faresti meglio a cercare riparo altrove stanotte!» esclamai in tono quasi di trionfo. «Il signor Earnshaw ha intenzione di ucciderti se insisti per voler entrare.»
«Faresti meglio ad aprire la porta, tu...» rispose, indirizzandomi un appellativo elegante che non voglio ripetere.
«Io non mi immischio,» replicai. «Entra e fatti uccidere se vuoi. Io ho fatto il mio dovere.»
Così dicendo chiusi la finestra e tornai al mio posto accanto al fuoco; non ero abbastanza ipocrita da fingere ansietà per il pericolo che lo sovrastava. Earnshaw mi maledì con rabbia gridando che amavo ancora quel furfante e chiamandomi con ogni sorta di titoli per la viltà che mostravo. In cuor mio (e la coscienza non mi rimproverò mai), pensavo che benedizione sarebbe stata per lui se Heathcliff l'avesse tolto dalla miseria di quaggiù, e che benedizione per me se lui fosse riuscito a spedir Heathcliff alla sua giusta dimora! Mentre facevo queste riflessioni la finestra venne scardinata con un colpo, e Heathcliff col suo truce aspetto apparve nel vano, tuttavia le sbarre erano troppo strette per lasciarlo passare con le spalle, ed io sorrisi esultando della mia sicurezza immaginaria. Aveva i capelli e i vestiti bianchi di neve, e i denti aguzzi da cannibale, scoperti per il freddo e la rabbia, scintillavano nell'oscurità. «Isabella, lasciami entrare, o te ne pentirai!» ruggì, come dice Joseph. «Non voglio essere complice di un delitto,» risposi. «Il signor Hindley sta di sentinella con un coltello e una pistola carica.» «Lasciami entrare dalla porta di cucina» disse. «Hindley ci arriverà prima di te,» risposi: «e che miserabile amore è il tuo, che non può sopportare un po'di neve! Fin che splendeva la luna d'estate ci hai lasciato in pace, ma alla prima bufera invernale corri a rifugiarti in casa. Heathcliff, se fossi in te, andrei a sdraiarmi sulla tomba e là morirei come un cane fedele. Certo che ora non vale più la pena di vivere nel mondo! Mi avevi instillato l'idea che Catherine era tutta la gioia della tua vita; non capisco come fai a sopravvivere alla sua perdita!»
«È là, vero?» esclamò il mio compagno, precipitandosi verso il vano. «Se posso metter fuori un braccio lo colpisco.»
Temo, Ellen, che mi giudicherai assolutamente malvagia; ma non sai tutto, quindi non puoi giudicarmi. Per nulla al mondo avrei cercato di ucciderlo; ma neppure mi sarei opposta. Non potevo fare a meno di desiderare la sua morte. Perciò fui terribilmente delusa e angosciata dal terrore per le conseguenze del mio linguaggio offensivo quando Heathcliff, lanciatosi sopra l'arma di Earnshaw, gliela strappò di mano.
Il colpo esplose, e il coltello scattando gli si conficcò nel polso. Heathcliff lo tirò fuori di viva forza lacerando le carni, e se lo cacciò gocciolante nella tasca. Con una pietra abbatté poi il sostegno tra le due finestre e con un salto fu dentro. Il suo avversario era caduto privo di sensi per il dolore e per la perdita del sangue che sgorgava da un'arteria o da una larga ferita. Quel criminale lo prese calci, lo calpestò e gli fece battere ripetutamente il capo sul nudo suolo di pietra, tenendomi nel frattempo con una mano per impedirmi di chiamare Joseph. Dovette esercitare su se stesso una forza sovrumana per impedirsi di ucciderlo ma, alla fine, senza fiato, smise, e trascinò sulla panca quel corpo apparentemente inanimato. Strappata una manica alla giacca di Hindley, fasciò la ferita con brutale durezza, sputando e bestemmiando durante l'operazione con tale energia, come prima ne aveva usata nell'assestar calci. Trovandomi libera, corsi a chiamare subito il vecchio servo il quale, compreso, grado a grado, il senso del mio racconto frettoloso, corse giù ansante, facendo i gradini due a due. «Che c'è adesso? che succede?»
«Che succede?!» urlò Heathcliff; «il vostro padrone è pazzo; e se vive un altro mese lo farò chiudere in un manicomio. E come avete fatto, in nome dell'inferno, a chiudermi fuori, vecchio mastino sdentato? Non restate lì a biascicare e a brontolare... Qua, non voglio curarlo io! Lavate quella porcheria, e badate alle scintille della candela: è pieno di acquavite!»
«E così l'avete assassinato?» esclamò Joseph, levando le mani e gli occhi al cielo per l'orrore. «Mai ho visto simile spettacolo! Possa il Signore...»
Heathcliff con uno spintone lo fece cadere in ginocchio in mezzo al sangue, e gli gettò un asciugamano; ma Joseph invece di mettersi a pulire, congiunte le mani cominciò una preghiera che, per le sue strane frasi, mi fece ridere. Nulla ormai mi faceva orrore; ero eccitata come certi criminali ai piedi del patibolo.
«Oh, mi dimenticavo di te!» disse il tiranno. «Tu devi pulire! Giù, in ginocchio! Ah, hai tramato contro di me con lui! vipera! Là, quello è lavoro per te.»
Mi scosse fino a farmi battere i denti, e mi scagliò accanto a Joseph che continuò a pregare impavido e fervente, poi si alzò e giurò che sarebbe andato immediatamente a Grange. Il signor Linton era un magistrato, e, gli fossero morte cinquanta mogli, avrebbe fatto un'inchiesta. Era così deciso che Heathcliff dovette obbligarmi a raccontare l'accaduto, e, standomi addosso, pieno di odio, incalzandomi con le domande mi costrinse ad esporre i fatti. Tuttavia ci volle non poca fatica a persuadere il vecchio che Heathcliff non era l'aggressore; tanto più che le mie risposte erano strappate a forza. Ad ogni modo Earnshaw lo convinse presto che era ancor vivo; Joseph fu pronto a somministrargli una buona dose di acquavite, e con questa cura il suo padrone poco dopo riacquistò i movimenti e la coscienza. Heathcliff capì che il suo avversario ignorava come fosse stato trattato mentre era svenuto; disse che siccome era ubriaco fradicio non voleva dar peso alla sua scellerata condotta, e gli consigliò di coricarsi. Con mia gioia, dopo aver dato il suo saggio consiglio, ci lasciò, e Hindley si sdraiò accanto al caminetto. Io mi rifugiai in camera, meravigliandomi d'essermela cavata così facilmente.
Stamani quando sono scesa una mezz'ora prima di mezzogiorno, Hindley stava seduto vicino al fuoco, mortalmente sconvolto; il suo cattivo genio, quasi altrettanto emaciato e spettrale, era appoggiato al camino. Nè l'uno nè l'altro sembravano disposti a mangiare, e dopo aver aspettato tanto che in tavola tutto era diventato freddo, cominciai a mangiare da sola. Nulla m'impediva di mangiare di buon appetito, e provavo un certo senso di soddisfazione e di superiorità, quando ad intervalli gettavo un'occhiata ai miei silenziosi compagni e sentivo il conforto d'avere una coscienza tranquilla. Dopo mangiato mi avvicinai al fuoco, libertà insolita, passando audacemente dietro la sedia di Hindley e mettendomi in ginocchio in un angolo accanto a lui.
Heathcliff non mi seguì nemmeno con lo sguardo, ed io cominciai a fissarlo in faccia con calma, come se fosse una statua di pietra. La fronte, una volta così virile, ora pareva diabolica, ed oscurata da una densa nube; gli occhi da basilisco erano quasi spenti per la continua veglia e forse per il pianto, poiché aveva le ciglia bagnate; le labbra, prive del loro crudele sogghigno e chiuse in un'espressione di indicibile tristezza. Di fronte a tanto dolore, se si fosse trattato di un altro, mi sarei nascosta il volto tra le mani. Nel suo caso era soddisfatta; e, per quanto ignobile possa sembrare l'insultare un nemico vinto, non seppi rinunciare all'occasione di ferirlo. Soltanto nel momento della sua debolezza potevo avere il piacere di ricambiare offesa con offesa.
«Vergogna, vergogna, signora!» l'interruppi io. «Sembra che non abbiate mai aperta una Bibbia in vita vostra. Poiché, se Iddio affligge i vostri nemici, questo vi dovrebbe bastare. È una viltà e una presunzione il voler aggiunger la vostra funzione alla Sua!»
«In generale hai ragione, Ellen,» proseguii, «ma qual tormento inflitto a Heathcliff m'appagherebbe se io non vi avessi posto mano? Preferirei che soffrisse meno purché ne fossi io la causa e lui lo sapesse. Oh, gli devo tanta sofferenza! Soltanto ad una condizione potrei perdonargli. Questa: occhio per occhio, dente per dente; ricambiare ogni spasimo di agonia con un altro spasimo: ridurlo a mio livello. È stato lui il primo a farmi male, dunque deve essere il primo ad implorare perdono; allora - oh, allora, Ellen, potrei dar prova di generosità. Ma è assolutamente impossibile che io venga mai vendicata, perciò non posso perdonargli...»
Hindley chiese dell'acqua, gliene porsi un bicchiere gli domandai come stesse.
«Non tanto male quanto vorrei!» rispose. «Ma senza parlare della ferita al braccio, ogni centimetro del corpo mi duole come se avessi combattuto con una legione di folletti.»
«Già, non c'è da meravigliarsene,» commentai subito. «Catherine diceva sempre che stava come uno scudo tra voi e qualunque pericolo vi sovrastasse; voleva dire che certe persone non vi avrebbero fatto del male nel timor di offender lei. È un bene che i morti non sorgano realmente dalle loro tombe altrimenti la scorsa notte Catherine avrebbe dovuto assistere ad una scena ripugnante. Non siete contuso e ferito al petto e alle spalle?»
«Non lo so!» rispose, «ma che volete dire? Ha avuto il coraggio di colpirmi mentre giacevo inerte?»
«Vi ha pestato sotto i piedi, preso a calci e sbattuto parecchie volte sul pavimento,» mormorai. «E la bocca gli tremava dalla voglia di farvi a pezzi, perche è uomo soltanto per metà; nemmeno metà, il resto è demonio.»
Hindley alzò anche lui gli occhi al volto del nostro comune nemico; questi assorto nella sua angoscia sembrava insensibile a qualunque cosa intorno; e tanto più restava in quell'atteggiamento, più chiare trasparivano dai lineamenti le sue malvagie riflessioni.
«Oh, se Iddio mi desse almeno la forza di strozzarlo nella mia ultima agonia, andrei all'inferno con gioia,» rantolò quel pazzo, contorcendosi per rialzarsi, e ricadendo disperato, convinto di essere impari alla lotta.
«È già anche troppo che abbia ucciso uno di voi!» dissi a voce alta. «A Grange tutti sanno che vostra sorella sarebbe viva se non fosse per il signor Heathcliff. Dopotutto è preferibile essere odiati da lui che amati. Quando ricordo come eravamo felici, come era felice Caterina prima della sua venuta, maledico quel giorno.»
Molto probabilmente la verità delle mie parole colpì Heathcliff più della mia audacia. Vidi ridestarsi la sua attenzione; le lacrime gli scesero dagli occhi giù nella cenere, mentre sospirava dolorosamente. Lo guardai fisso e risi sprezzante. Le rabbuiate finestre dell'inferno sfolgorarono per un attimo verso di me; ma il demonio che soleva affacciarsi ad esse era così spento e così sommerso dalle lacrime che non ebbi paura di lanciare un'altra risata di scherno.
«Alzati, e togliti dai miei occhi!» disse Heathcliff.
Pensai che tali fossero le parole da lui pronunciate benché la sua voce fosse quasi inintelligibile.
«Scusa, ma...» risposi, «io pure volevo bene a Catherine; e suo fratello chiede aiuto e per amor suo non glielo negherò. Ora che è morta, la rivedo in Hindley: Hindley avrebbe esattamente i suoi occhi se tu non avessi fatto di tutto per farglieli uscire dalle orbite, e ha...»
«Alzati, miserabile idiota, se non vuoi che ti strozzi fino a farti esalare l'ultimo respiro!» gridò, facendo una mossa che m'obbligò a farne una pure io. «Ma allora,» proseguii, tenendomi pronta a fuggire; «se la povera
Catherine avesse avuto fiducia in te e avesse assunto il titolo ridicolo, spregevole, degradante di signora Heathcliff, si sarebbe presto trovata in una condizione simile. Lei non avrebbe sopportato tranquillamente la tua abominevole condotta! il suo odio e il suo disgusto avrebbero trovato una voce.» Lo schienale della panca e la persona di Hindley stavano tra me e lui: così, invece di cercare di raggiungermi, afferrò un coltello dal tavolo e me lo lanciò contro il capo. Mi colpì sotto all'orecchio, interrompendo la frase che stavo pronunciando; lasciai cadere quel coltello, feci un salto verso la porta, e ne scagliai un altro, che spero lo avrà colpito un po' più profondamente del primo. Vidi ancora per un attimo Heathcliff buttarsi avanti furiosamente, e Hindley avventarglisi contro, arrestarlo, e, avvinghiati, tutt'e due rotolare presso il focolare. Fuggendo per la cucina, gridai a Joseph di accorrere in soccorso del padrone, urtai Hareton che era sulla soglia, intento a trastullarsi con dei cuccioli appena nati, e, benedetta come un'anima sfuggita al purgatorio, corsi, balzai, volai giù per la scala; indi, abbandonati i sentieri, mi lanciai direttamente attraverso la landa, lasciandomi rotolare per le scarpate, sguazzando nelle marcite, precipitandomi infine verso Grange, faro di salvezza. E, piuttosto di rimanere ancora anche una sola notte sotto il tetto di Wuthering, preferirei mille volte essere condannata a dimorar, in eterno nelle regioni infernali.
Isabella tacque, prese un sorso di tè; si levò in piedi e, preso il cappello e il grande scialle che le avevo portato, non prestando ascolto alle mie preghiere di rimanere un altro poco, baciati i ritratti di Edgar e di Catherine, e scoccato un bacio anche a me, scese alla carrozza, accompagnata da Fanny che, credendo di aver recuperato la sua padrona, abbaiava festosamente. Partì e non fece mai più ritorno da queste parti; ma, quando le cose si furono un po' più assestate tra lei e il mio padrone, si stabilì tra loro una corrispondenza regolare. Credo che la sua nuova dimora fosse a sud, nei pressi di Londra, e fu là che ebbe un figlio qualche mese dopo la fuga. Fu battezzato col nome di Linton, e, fin dal principio, si seppe che era un essere sofferente e capriccioso.
Il signor Heathcliff, incontratami un giorno nel villaggio, mi chiese ove vivesse Isabella. Non volli dirglielo. Disse che non gli premeva affatto saperlo, ma che badasse bene a non tornare dal fratello: l'avrebbe piuttosto costretta a star con lui, per impedirglielo. Benché non avesse da me nessuna informazione, riuscì a scoprire per mezzo di qualche altro servo sia il luogo di residenza sia l'esistenza del fanciullo. Tuttavia non la molestò mai: cosa per la quale Isabella poteva ringraziare l'avversione ch'egli aveva per lei. Quando mi vedeva, mi chiedeva del figlio, e, saputone il nome, si mise a ridere sinistramente e mi disse: «Vogliono dunque che odii lui pure!» «Credo, anzi, che vorrebbero che non ne sapeste nulla,» replicai. «Ma lo avrò quando vorrò. Possono contarci su questo.» Fortunatamente, la madre morì prima che un simile evento si verificasse; vale a dire tredici anni all'incirca dalla morte di Catherine; Linton, allora, aveva dodici anni o poco più.
Il giorno successivo all'inattesa visita di Isabella, non ebbi modo di parlarne al mio padrone: egli evitava di conversare, e non era realmente in condizione di spirito da potere intrattenersi su nulla. Quando finalmente riuscii a farmi dare ascolto, vidi che gli faceva piacere sapere che la sorella aveva abbandonato il marito: lui lo aborriva e con una tale forza che la mitezza del suo carattere non l'avrebbe mai lasciato supporre.
Tanto profonda e patita era quella sua avversione che rinunciava a recarsi ovunque potesse esservi la possibilità di vedere o di sentir parlare di Heathcliff. Il dolore, e una simile linea di condotta fecero di lui un perfetto eremita: non volle più saperne di essere magistrato, non frequentò più nemmeno la chiesa, e in qualsiasi occasione si teneva lontano dal villaggio, vivendo in tal modo in segregazione assoluta nei confini del suo parco e delle sue terre. Unico diversivo: qualche solitaria passeggiata nella landa, e le visite alla tomba della moglie, per lo più la sera o il mattino, per tempo, prima che altri uscissero in giro. Ma era troppo buono per essere del tutto infelice a lungo. Egli non pregava perché lo spirito di Catherine lo perseguitasse. Il tempo gli recò la rassegnazione e una malinconia più dolce della gioia comune. Ricordava la moglie con ardente e tenero amore nell'aspirazione pienamente fiduciosa a un mondo migliore in cui non dubitava che lei se ne fosse andata.
E aveva pure consolazioni e affetti tra i familiari. Per qualche giorno, come già dissi, sembrò incurante del piccolo successore di chi se n'era dipartito; quella freddezza si dileguò presto come la neve in aprile, e, prima che quella cosuccia potesse balbettare una parola e trotterellare un primo passo, teneva uno scettro da despota nel suo cuore. Le fu posto il nome di Catherine, ma lui non la chiamò mai con il nome intero, come non aveva mai chiamato Catherine con un diminutivo, probabilmente perché lo faceva Heathcliff. La piccola fu sempre Cathy per lui voleva dire distinguerla e anche legarla alla madre; l'amava perché era sua figlia, e l'amava ancora di più perché era figlia di lei.
Lo paragonavo a Hindley Earnshaw, e non riuscivo a spiegarmi come la condotta dell'uno e dell'altro in circostanze uguali fosse così opposta. Erano stati ambedue mariti affettuosi, ambedue attaccati ai figli, e non capiva perché non avessero presa la stessa via, nel bene e nel male. Ma, ragionavo tra me, Hindley, apparentemente il più intelligente dei due, si era dimostrato il peggiore il più debole. Quando la sua nave era naufragata, aveva abbandonato il suo posto e la ciurma invece di tentar di salvarla, e il suo smarrimento non lasciava speranza alla nave sfortunata. Linton, al contrario, aveva dimostrato il vero coraggio di un'anima fedele e leale; aveva avuto fiducia in Dio e Iddio lo aveva consolato. Uno aveva sperato, l'altro disperato; si erano scelti il proprio destino, e avevano dovuto subirlo. Ma voi, signor Lockwood, non desiderate certo udire la mia morale; saprete giudicare meglio di me o almeno ne sarete convinto, il che fa lo stesso. La fine di Hindley fu quella prevedibile: dopo circa sei mesi, seguì la sorella. Qui a Grange, non arrivarono notizie della sua fine; quel che so me lo dissero quando andai laggiù per i preparativi dei funerali. Fu Kenneth a informare il mio padrone.
«Ebbene, Nelly,» mi disse, arrivando a cavallo in cortile, una mattina, troppo per tempo per non allarmarmi con l'improvviso presentimento di cattive notizie. «Ora toccherà a noi piangere un morto. Chi credete ci abbia lasciati?»
«Chi?» domandai con ansia.
«Indovinate!» rispose, smontando da cavallo, e agganciando la briglia presso la porta. «E preparate il fazzoletto, sono sicuro che ne avrete bisogno!»
«Non il signor Heathcliff, no di certo!» esclamai.
«Che!? avreste delle lacrime per lui?» disse il medico. «No, Heathcliff è un ragazzo duro: oggi ha un aspetto fiorente. L'ho appena veduto. Da quando ha perso la moglie si è rimesso rapidamente!»
«Chi, dunque, signor Kenneth?» chiesi ancora impaziente.
«Hindley Earnshaw! il vostro vecchio amico Hindley,» rispose, «il mio cattivo compagno, benché da parecchio tempo fosse troppo disperato per me. Ecco! Ho detto che avreste pianto! Ma consolatevi. È morto coerente al suo carattere: ubriaco come un lord. Povero ragazzo! Dispiace anche a me! Non si può far a meno di sentire la mancanza di un vecchio amico anche se era capace dei peggiori scherzi, e ha giocato qualche brutto tiro anche a me. Non aveva ancora ventisette anni, pare; la vostra età; chi avrebbe mai pensato che siete nati lo stesso anno?»
Confesso che il colpo fu per me più grave di quello provato alla morte della signora Linton: antichi ricordi erano rimasti sempre nel mio cuore. Sedetti sotto il portico e piansi come se si fosse trattato di uno stretto parente e pregai il signor Kenneth di farsi annunziare al padrone da un altro servo. Continuavo a chiedermi: «Avrà avuto un buon trattamento?» Per quanto facessi, questa idea mi perseguitava; ed era così insistente che decisi di chiedere il permesso di andare a Wuthering Heights, per prestargli le ultime cure. Il signor Linton si oppose, ma io gli parlai della tremenda solitudine di Hindley, dissi che il mio ex padrone e fratello di latte aveva diritto alle mie cure quanto lui. Gli ricordai anche che Hareton era suo nipote per parte di moglie, e che in mancanza di parenti più prossimi, spettava a lui fargli da tutore; inoltre era suo dovere informarsi su come venisse suddivisa la proprietà, e badare agli interessi di suo cognato. In quel momento il signor Linton non era in grado di occuparsi di faccende simili; mi ordinò di parlarne al suo avvocato e infine acconsentì a farmi andare. Il suo avvocato era stato anche avvocato di Hindley: mi recai quindi al villaggio e lo pregai di accompagnarmi. Scosse il capo negativamente, e mi consigliò di non immischiarmi negli affari di Heathcliff, affermando che se si fosse saputa la verità, Hareton sarebbe risultato solo uno straccione.
«Suo padre ha lasciato dei debiti,» disse; «l'intera proprietà è confiscata, e la sola possibilità che rimanga all'erede naturale è saper destare qualche simpatia nel cuore del suo creditore per indurlo a trattarlo con generosità.»
Alle Heights dissi di essere andata per vedere che le cose fossero fatte a modo, e Joseph che sembrava abbastanza afflitto, fu contento della mia presenza. Al signor Heathcliff non parve affatto necessaria, tuttavia disse che potevo rimanere, e che pensassi io a dare disposizioni per il funerale, se proprio volevo.
«Bisognerebbe seppellire il corpo di quello stolto al crocicchio senza cerimonie di nessun genere,» disse. «Ieri nel pomeriggio l'ho lasciato solo dieci minuti: ha chiuso a catenaccio le due porte di casa per impedirmi di entrare, e ha passato la notte ad ubriacarsi a morte! siamo entrati a forza stamani, sentendolo ansimare come un cavallo; stava là disteso, non si sarebbe svegliato a farlo a pezzi nè a perforargli il cranio. Ho mandato a chiamare Kenneth, ma, quando è arrivato, la bestia era già una carogna: era morto, freddo, rigido; così, ne converrai, sarebbe stato inutile darsi da fare per lui.»
Il vecchio servo confermò questa dichiarazione, ma brontolò: «Sarebbe stato meglio che fosse andato lui a chiamare il medico! Avrei avuto più cura di lui del padrone; quando l'ho lasciato non era morto, neanche per sogno!» Insistetti perché il funerale fosse decoroso. Il signor Heathcliff mi disse di fare pure a modo mio, ma di ricordarmi che il denaro lo tirava fuori lui. Mantenne un contegno freddo, indifferente, che non esprimeva gioia, nè dolore; tutt'al più soddisfazione, come per un'opera difficile ben riuscita.
Una volta, per dire la verità, notai nel suo aspetto una specie di esultanza: fu quando la bara passò la soglia. Ebbe l'ipocrisia di intervenire in veste di congiunto. Poco prima di seguire il funerale, mise Hareton a sedere su un tavolo e gli mormorò, con intenzione: «Ora, caro ragazzo, sei mio. Vedremo se un albero non crescerà storto come un altro con lo stesso vento che lo piega!» Il bambino fu contento di queste parole, si trastullò con le basette di Heathcliff e gli accarezzò il viso; ma io che ne avevo indovinato il significato, dissi duramente: «Quel ragazzo, signore, deve tornare con me a Thrushcross Grange. Nulla al mondo è meno vostro di lui.» «L'ha detto Linton?» chiese.
«Certamente, e mi ha ordinato di prenderlo,» risposi.
«Bene, non staremo a discutere ora,» rispose quel furfante «ma ho voglia di provare ad allevare un ragazzo; quindi di' al tuo padrone che, se tenta di toglierlo di qua, dovrò prendermi il mio. Non che io sia in tal caso disposto a cedere Hareton senza discussioni ma quel che è certo è che reclamerò l'altro. Ricordati di dirglielo.»
Questo avvertimento bastò a legarci le mani. Al mio ritorno riferii l'ingiunzione ad Edgar Linton che, poco interessato già da principio, non accennò più a voler intervenire. Non credo che, se anche avesse voluto sarebbe riuscito a qualche cosa.
L'ospite era ora il padrone di Wuthering Heights: provò all'avvocato, che a sua volta convinse Linton, che Hindley aveva ipotecato ogni palmo di terra che possedeva in cambio di denaro per alimentare la sua mania del gioco; e che lui, Heathcliff: era il proprietario. Così Hareton che dovrebbe essere il primo signore dei dintorni è ridotto a dipendere dall'acerrimo nemico di suo padre e vive in casa propria come un servo, privo persino del vantaggio dello stipendio, del tutto incapace di farsi giustizia da sè per mancanza d'amici e perché ignaro del male che gli è stato fatto.

CIME TEMPESTOSE~ EMILY BRONTËDove le storie prendono vita. Scoprilo ora