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"Andò a scuola, quella mattina.
Entró in classe,fece un bel respiro e si disse che doveva smetterla, di sperare.
Di sperare in un suo sorriso, in una sua carezza, un suo cenno, una cosa qualunque.
Si disse che doveva, perché era giusto così.
Doveva farlo per se stessa, per la sua dignità, perché lui le aveva fatto male e non poteva perdonarlo.
Entrò in classe e lui era lì alla porta.
Lo sorpassó fingendo indifferenza, non lo guardó neppure, eppure era lì e il cuore le era finito in gola, a vederlo sorridere.
Si sedette, fece finta per tutto il giorno che non le importasse di lui.
Di lui che era stato per mesi il suo faro, di lui che era sempre stato presente, di lui che ora non c'era più e aveva lasciato un vuoto così grande che era come se avesse portato via tutta l'aria nella stanza.
La sua presenza alle spalle di lei era più opprimente di qualunque assenza.
E forse, sarebbe stato meglio se fossero stati lontani, se per lo meno fossero stato da due parti opposte della classe, o della scuola, e invece erano nella stessa stanza, lui praticamente attaccato alla sua schiena.
E scherzava e rideva e lei lo sentiva e le saliva una rabbia mista a malinconia, una cosa incomprensibile.
Una 'malincorabbia', se potessimo inventarla, niente renderebbe meglio quello che le succedeva dentro quando lo vedeva, quando capiva che lui non la cercava.
Non più.
Suonó la campana.
Prese le sue cose e corse giù per le scale.
La ragazza non sapeva quanto avrebbe resistito ancora.
Voleva ferirlo, voleva fargli del male, ma tanto male.
Voleva che lui soffrisse.
Voleva colpirlo con l'indifferenza, eppure credeva di non essere abbastanza forte per farlo.
Uscì da scuola, lui e il suo solito gruppetto erano all'uscita vicino ai cancelli.
Passó in mezzo a loro senza voltarsi, senza guardarsi indietro.
Una sua amica la chiamó, lei si giró un attimo, imprecando tra sè.
Quando distolse lo sguardo dall' amica, lo vide.
Non poté evitarlo.
I suoi occhi, due maledette calamite, incrociarono i suoi.
Per un solo secondo, fu tutto perfetto.
Lo aveva visto, la stava guardando, non lo aveva immaginato.
"Quello stronzo", pensó.
Allora fece una cosa.
Si stavano ancora fissando.
Lei sorrise, sorrise e fu come un dito medio, un sorriso che diceva tutto quello che lei avrebbe sempre voluto dirgli, ma che aveva tenuto per sè, più chiaro di un pugno allo stomaco, di una scenata, più diretto di quello.
Uno sguardo, uno solo ancora.
Poi si giró, e camminando come non aveva mai fatto e con una sicurezza che non aveva mai avuto e credeva di non avere, gli diede le spalle.
Sperava di avergli fatto male.
L'indifferenza è l'arma più potente che abbiamo.
E gli fece male."

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