5. Bugie al vento

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In giorni come questo avverto sempre un profondo smarrimento. C'è come uno scollamento fra il mio essere e il mio agire. Meglio di così non saprei spiegarmi. Perciò, non chiedermi ulteriori spiegazioni.

Quel giorno sentivo le gambe procedere contro la mia volontà. La mia mano afferrò una sedia, la spostò all'indietro, sedette sul cuscino sottile e fissò il ragazzo. Lui guardò me.

- Ciao.

Dissi. La mia voce tremava. Se n'era accorto, il ragazzo? Lui sorrise educatamente. Aveva gli occhi color nocciola, di un nocciola intenso. Nella mia tasca, il sassolino che avevo raccolto era diventato bollente. Io lo strinsi e sentii che scottava tra le mie dita. Ma non ritrassi la mano.

Il cappotto che tira contro la schiena. 

- Ciao.

Ripeté.

- Ci conosciamo?

-Ci siamo visti qualche sera fa al locale.

Mentii. Non sapevo di essere capace di mentire. Non sapevo neanche di quale locale stessi blaterando. Ce n'era uno all'inizio del Viale, pieno di cartelli, l'avevo intravvisto passando. Come si chiamava?

- Il Lukas.

Di male in peggio, inorridii. Ora ti smaschererà. Ora capirà che sei stupida, penserà che non sai neanche cosa stai facendo e questo, in fondo, è vero. Il sassolino dentro la mia tasca scottava più che mai.

- Ah, sì.

Disse invece. Sì?, pensai. Con chi mi aveva confuso?

- Perdonami, c'è sempre un gran casino in quel locale e io... non ricordo il tuo nome.

- Sono Lara.

- Lara. Piacere, Lara. 

Dopo quella rivelazione non riuscii più a dire nulla e guardai davanti a me, lasciando lo sguardo galleggiare nel vuoto. Anche sul mio nome avevo mentito. Mi sentivo un'idiota.

-  Vieni spesso al Lukas?

Annuii perché non riuscivo a dire altro.

- Allora, forse, ti rivedrò stasera.

Staccai lo sguardo dal vuoto e lo posai su di lui. Stava davvero parlando con me? I tavolini sembravano muoversi attorno a noi, la calma del pomeriggio si stava raffreddando, c'era un vento in arrivo, alcuni passanti si affrettavano intorno a noi, entravano nei negozi, la bottega del panettiere chiuse. C'era un'aria diversa nel Viale, un'aria che aveva un sapore  amaro e agrodolce. Uno spazzino spostò i sacchi delle immondizie su un camioncino. Il camioncino sgommò sul pavè del Viale e se ne andò. Non può passare per di qua, il camioncino, mi dissi, questa è una zona pedonale. Poi mi sgridai: dovevo sempre distrarmi nei momenti più intensi.

Il ragazzo stava aspettando una mia risposta. Ora avrei dovuto dire qualcosa. Mi avrebbe rivisto quella sera al Lukas? Sapevo dov'era il locale, conoscevo il viso del ragazzo, avrebbe dovuto essere semplice. Bastava dire di sì. Bastava aprire la bocca, rovistare nella mia volontà per capire se avessi avuto davvero voglia di rivederlo.

Per la prima volta, dopo tanto, qualcuno mi guardava con attenzione e non solo con pena. Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi interessava la voce di un'altra persona e non solo quella frusciante delle cose, il fiato sottile degli oggetti che tanto potere avevano su di me.

Tastai il sassolino cercando la forza per rispondere, ma il sassolino bucò la  tasca e cadde dai jeans. La mia pelle gridò. 

Contemporaneamente, il vento si sollevò in refoli stizzosi che mi agitarono i miei, le foglie si spruzzarono dappertutto, sugli occhi e sulla via, appiccicandosi alle insegne dei negozi e alle facce stupite della gente. Un freddo velocissimo mi gelava le ossa e la giacca tirò così violentemente sulla schiena che sembrava volesse strapparla. Mi alzai di scatto e dissi:

- Sì. Stasera al Lukas.

Poi corsi via, fra le cose che ululavano intorno a me.





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