Wentworth Park è colmo di famigliole felici, bambini urlanti con tate disperate e dolcissime coppiette che si tengono per mano; gli uccellini cinguettano e una dolce brezza accarezza le cime degli alberi.
Ho sbagliato a venire qui: dopotutto, una nuvola nera in mezzo a una giornata di sole non può passare inosservata.
Tutti la fissano, la indicano e bisbigliano.
Le madri spingono via i loro figli, per farli allontanare dalla panchina su cui sono seduta da quelle che mi sembrano ore.
Di solito questi comportamenti non riescono a scalfirmi, ma, stranamente, sento una leggera fitta al cuore che si propaga in tutto il corpo.
Al diavolo, no.
Da quando sono così sentimentale?
La solitudine mi ha fatto bene in questi anni, perché almeno ho potuto tentare di ricostruire le fondamenta della mia vita, senza intoppi o distrazioni.
Non sono ancora soddisfatta di quello che ne è uscito, ma è pur sempre un inizio.
Con questi pensieri, riesco finalmente ad acquisire il controllo della mia mente e tornare verso la stazione.
Mamma e Nicky mi staranno aspettando.Il treno è deserto e non posso essere più felice.
Il paesaggio fuori dal finestrino si fa sempre più insignificante man mano che ci dirigiamo verso la periferia, verso Redfern.
I grattacieli lasciano posto a palazzine di cemento armato e tutto diventa grigio.
Gli alberi, le persone, nulla mantiene il suo colore originale.
Mi impongo di chiudere gli occhi e concentrarmi sul brano che mi rimbomba nelle orecchie: la batteria urla e le chitarre elettriche strepitano senza vergogna. Il cantante parla di come una donna ricca e dal carattere buono, certamente troppo per lui, gli abbia spezzato il cuore.
Mi viene da ridere, una risata che mi lascia l'amaro in bocca.
Sempre, sia nelle canzoni che nei romanzi, la sofferenza ha due facce, come quelle di una medaglia: da un lato, ovviamente, il buio ma dall'altro, i soldi. Basta trasformare l'angoscia in tanta ispirazione, poi, se qualcuno ha pure talento, bam! ecco che il successo è assicurato.
Che cosa stupida.
«Tutto bene?»
Una voce sconosciuta mi fa trasalire.
Alzo lo sguardo e, sorpresa sorpresa, un paio di occhi color nocciola incontrano i miei.
Il cuore mi batte forte e sento l'agitazione salirmi alla gola per la seconda volta in un giorno.
Le persone non si siedono mai vicino a me, figuriamoci se provano a parlarmi.
Sento il bisogno di cambiare posto, ma non riesco proprio a muovermi.
Ho il sedere completamente incollato al rigido sedile, il quale sembra sul punto di risucchiarmi in una voragine.
... o, forse, è il viso incuriosito del ragazzo a farmi questo effetto.
«Ho qualcosa tra i denti?» mi chiede ridendo, mostrando un largo sorriso che gli fa apparire due fossette sulle guance.
Continuo a fissarlo nervosa, ma sento che la sensazione di malessere se ne sta andando piano piano.
Strano.
«Sai, continui a guardarmi, a questo punto non so più cosa pensare.» continua lui, sempre con quell'espressione da bimbo felice.
«Non... non hai niente tra i denti, tranquillo.»
Quasi mi tappo la bocca dalla sorpresa.
Perché cavolo gli ho risposto? Poi che idiota devo essergli sembrata...
Perché?!
«Mi chiamo Ashton, comunque.»
Mi tende la mano, ma io non gliela stringo: mi è bastato rivolgergli la parola una volta.
Con un tempismo perfetto, il treno si ferma e io mi fiondo fuori.
Non mi giro nemmeno una volta per controllare se ho dimenticato qualcosa, o se il ragazzo con il sorriso da Stregatto mi stia guardando.
Cammino senza fermarmi verso il Buco e, quando lo vedo in lontananza, faccio un sospiro di sollievo.
«Ciao Kat.» mi saluta la mamma.
«Ciao.» ricambio.
La raggiungo e la abbraccio con delicatezza, invece lei mi stringe forte : è magra e delicata come un fiore lasciato seccare nella pagina di un libro, ma ha una tenacia invidiabile.
È nata a Madrid trentatré anni fa ed è cresciuta in una famiglia composta da un padre violento e una misteriosa "zia", rivelatasi poi l'amante del papà.
A sedici anni, si è resa conto di essere incinta e così, con mio padre, è scappata in Australia, dove aveva alcuni amici che l'avrebbero potuta ospitare.
Per un periodo di tempo, è stata bene. Non era ancora felice, ma perlomeno aveva una casa, me e qualcuno accanto che l'amava.
Purtroppo quella situazione, non è durata a lungo.
Di mio padre non so nemmeno che faccia avesse: è scomparso qualche mese prima che nascessi.
A mamma, quando parla di lui, si inumidiscono gli occhi e trema la voce: so che le manca molto.
«Sembri stanca, è successo qualcosa?»
Sento le spalle irrigidirsi ma cerco di non darlo a vedere.
Lei mi conosce come le sue tasche e, dal Giorno, so che tenta di proteggermi con tutta sé stessa.
«Tutto normale mamma, non preoccuparti» la rassicuro, cercando di sorridere.
«Dov'è Nicky?» domando, sperando che, cambiando argomento, si dimentichi per un attimo di me.
Mamma si stringe nelle spalle e non risponde, ma mi lancia un'occhiata colma di sottintesi.
«Ancora?!» grido, sentendomi le guance avvampare.
«Kat, stai calma, sa quello che fa.»
«Non è di Nicky che mi preoccupo, ma di lui.» preciso con tono rabbioso.
Mamma non sa più che dire, così mi gira le spalle e continua a rigirare quella che sembra una frittata.
Il suo profumo invitante mi penetra nelle narici, facendomi brontolare lo stomaco.
Anche se è da ieri che non mangio, non mi fermo a pensare troppo al cibo.
Devo trovare Nicky.
Esco dal Buco per la seconda volta in giornata e mi lancio per strada.
Sento mamma che mi urla qualcosa, ma non ci faccio troppo caso.
Corro verso Il Vicolo, il posto preferito dei ragazzi dell'età di Nicky; di sicuro sarà lì.
Il Vicolo è una specie di spiazzo circondato da qualche cespuglio rinsecchito, ma abbastanza grande da nascondere quello che succede all'interno di quel posto.
Eccola lì, appartata in un angolino con il suo ragazzo diciannovenne.
Li raggiungo a passo di marcia.
Dei ragazzi più fumati di una ciminiera, mi vedono e iniziano a ridacchiare.
Non ci faccio caso e strattono Nicky per una spalla, la quale si è finalmente accorta di me.
«Kat, ma cosa fai!» strilla parecchio adirata.
«Vieni via.» le sibilo nell'orecchio.
«No! Non puoi costringermi.» mi dice con aria di sfida.
Ha le guance rosse: la sto mettendo in imbarazzo.
Un pochino mi dispiace, ma non posso farci proprio niente.
Luke non mi piace e, probabilmente, non mi piacerà mai.
Vedo che si alza in piedi e si avvicina a noi con passi lenti, quasi come se stesse calcolando apposta la velocità.
Ci sovrasta con il suo metro e novanta e ci fissa con i suoi occhi azzurri ghiaccio.
Non dice niente, nemmeno un soffio.
Continua a guardarci.
«Luke...» sussurra Nicky.
Lui le rivolge uno sguardo assolutamente imperturbabile e continua a starsene zitto.
Agguanto di nuovo Nicky e la spingo via con forza.
Quando usciamo dal Vicolo, mi lancia un'occhiata di puro odio e squittisce:
«Grazie, grazie tante!» e scappa via.
Tento di rincorrerla, ma non ne ho più le forze.
Tutta l'adrenalina che avevo in corpo, è sparita come se fosse stata trasportata via dal vento.
Mi siedo per terra e mi stringo la testa tra le mani.
Oggi è stata proprio una gran giornata di merda.// Ciao! Ho scritto questo capitolo tutto in un fiato: sentivo quasi le dita che formicolavano talmente avevo voglia di continuare la storia😬😂. Scusatemi per eventuali errori (li correggerò in seguito) e se avete qualche suggerimento, non abbiate paura.
Volevo spendere solo qualche altra parola sul titolo del capitolo, poi vi lascio in pace haha... nella canzone "Safety Pin" dei 5sos (😍😍) appare questa frase: broken boy meets broken girl.
All'inizio avevo pensato di riportarla esattamente com'è, ma poi ho deciso di metterla al plurale perché, come avrete notato, ci sono tanti "ragazzi rotti" che incontrano "ragazze rotte".
Sì, ok😂.
Scusate per questo romanzo e al prossimo capitolo! //
STAI LEGGENDO
My last tear
FanfictionVivere in uno dei quartieri più pregiudicati di Sydney è complicato, soprattutto se sei una diciassettenne come Katherine. Con la necessità di crescere più in fretta dei coetanei, si è ripromessa di non perdere tempo con futilità e inutili distrazio...