You looked just like an angel in disguise

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«Ehi amore, che ci fai qui tutta sola? Dov'è Megan?» furono queste le parole di Calum quando mi vide, dopo le lezioni, fuori dalla porta della mia aula.
Avrei voluto tanto spiegargli quanto successo poco fa, ma non ci riuscii: non c'è la facevo a confessare, nemmeno a me stessa, che stavo trascurando la mia migliore amica per lui.
Invece di dirgli la verità, provai a sorridere e, così su due piedi, inventai:
«È dovuta andare via prima oggi: stava male.»
Cal si avvicinò, intrecciò le dita alle mie e mi diede un bacio dolcissimo.
Il senso di colpa mi investì come un treno: mi meritavo davvero tutto quell'amore?
Dovevo aver tremato un pochino, perché Calum si staccò dalle mie labbra e mi puntò i suoi occhi preoccupati addosso e chiese:
«Ho fatto qualcosa di...sbagliato?»
«Oh no, assolutamente. Tu sei perfetto.» lo rassicurai, accarezzandogli un braccio.
«Spiritosa, lo dici solo per farmi piacere!» esclamò ridendo.
Ma io non lo dissi tanto per dare aria alla bocca, dato che lo pensavo sul serio.
Calum Hood era entrato nella mia vita circa un anno fa: aveva sedici anni, misteriosi occhi scuri, folti capelli corvini e una camminata sicura che mi aveva subito incantata. Secondo Meg, era "un asiatico estremamente hot".
Dopo un' accurata ricerca (che comprendeva anche starlo a guardare mentre giocava a calcio con i suoi amici), scoprimmo che aveva origini scozzesi e neozelandesi, seguiva tutti i corsi avanzati delle materie scientifiche e se la cavava anche piuttosto bene nelle lingue.
Durante le ore buche aiutava la signora Johnson, la bibliotecaria: catalogava i libri nuovi, metteva in ordine quelli vecchi e lucidava le mensole impolverate.
Fu proprio in biblioteca che ci parlai per la prima volta, grazie soprattutto a Meg, la quale mi aveva praticamente buttata tra le sue braccia.
Io, ovviamente, ero morta di imbarazzo e non avevo quasi spiccicato parola, mentre lui era stato davvero carino e aveva cercato di mettermi a mio agio. Dopo circa una settimana dallo "scontro", lui mi venne a cercare e mi chiese di uscire. Dato che il mio guardaroba era costituito principalmente da vecchi jeans e maglie sformate, Meg mi prestò degli shorts e una canottiera rossa. Insistette anche per raccogliere i miei lunghi capelli neri in una treccia. Tuttavia, nonostante il nuovo look molto femminile, non mi sentivo ancora all'altezza di Calum: se lui era il principe azzurro, io ero la serva che lavorava in cucina.
Non gli confessai questa mia vergogna, ma lui la lesse ugualmente sul mio volto agitato, così mise subito in chiaro che io gli piacevo molto e che non dovevo assolutamente preoccuparmi di dargli chissà che buona impressione.
"Ci hai già pensato quel giorno in biblioteca." confessò sorridendo.
Il mio primo bacio, lo diedi con le labbra impiastricciate di gelato alla vaniglia a quel ragazzo intelligente e gentile che mi aveva completamente rapita.
Era la prima volta che mi capitava di provare una sentimento così forte per qualcuno che non facesse parte della mia famiglia, quindi all'inizio mi sembrò strano aprirmi con Calum, ma poi imparai a fidarmi sempre più.
Gli confessai tutti i miei sogni, i miei progetti per il futuro, gli mostrai i miei demoni più nascosti e gli donai il mio lato più intimo. Tuttavia, non gli avevo mai rivelato quale fosse la mia paura più grande.
«Cal?»
«Dimmi tutto.»
Prima di rispondergli, sospirai profondamente e incollai i miei occhi ai suoi.
«Promettimi di esserci sempre. Promettimi che non mi spezzerai il cuore. Promettimi che qualunque cosa succeda, tu non mi lascerai mai, perché io, senza te, non valgo niente.»
Lui indugiò parecchio con lo sguardo su di me, poi mi rispose, con voce seria e controllata:
«Lo prometto, Kat. Ti amo.»

Graffiti e cassonetti della spazzatura fanno da cornice a un vicolo che non conosco: ci troviamo lì da circa una decina di minuti.
Sono appoggiata a un muro lurido, però non ci faccio troppo caso. Una bruttissima sensazione mi opprime ancora lo stomaco e, a quanto sembra, non se ne vuole proprio andare.
Il ragazzo del treno è fermo accanto a me e si sta fumando una sigaretta.
Il fumo acre e denso mi entra nelle narici, facendomi venire un mal di testa tremendo: odio quelle cose maledette.
«Tranquilla, ora la spengo.» è la sua risposta all'espressione di disgusto che mi si è dipinta sulla faccia.
Butta la paglia per terra e la pesta con la suola di un'enorme Vans nera.
«Allora, ti senti meglio?» chiede.
«Sì, infatti ora te ne puoi anche andare: non mi piacciono gli sconosciuti.» rispondo aspramente.
Meglio tenere lontani gli amici di Luke, anche se lui si è dimostrato... gentile.
«Non sono uno sconosciuto. Mi chiamo Ashton, ricordi? E ti ho portato via da Luke. Non sembravi avere una bella cera... Katherine, giusto?» si gratta la testa pensieroso, spostando leggermente la fascia rossa che tiene sul capo.
«Preferisco Kat.» borbotto, incrociando le braccia al petto.
Questo qui non mi sembra del tutto normale: prima mi vede durante una delle mie crisi e ora si comportando come se fossimo amici da sempre.
In quel momento, Ashton fa un sorriso sghembo e mi si avvicina leggermente.
Lo guardo sospettosa e gli domando:
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so ancora. Inizierò con l'accompagnarti a casa, immagino.»
Detto questo, mi prende in braccio (in braccio!) e mi trascina fuori dal vicolo.
Le sue grandi mani calde mi stanno marchiando a fuoco i fianchi, tuttavia non mi dispiace troppo come credevo: è una stretta rassicurante e... nuova.
La strada è gremita di gente che cammina spedita e Ashton inizia a schivare quel via vai piuttosto agilmente, considerando che sta portando un peso non proprio leggero.
«Mettimi giù, riesco a camminare!» esclamo agitata, tirandogli dei colpi sulle spalle possenti, sperando che mi appoggi a terra. Contrariamente a quello che desidero, lui comincia a ridere come un bimbo e inizia a correre. Mi trovo costretta ad aggrapparmi a quel ragazzo (che nemmeno conosco bene) per evitare di spaccarmi qualcosa cadendo sulla strada. Nonostante i contraccolpi e il batticuore, evito di strillare: sarebbe solo ancora più imbarazzante.
A un certo punto, quando la stazione sbuca in lontananza, lui mi adagia a terra con delicatezza e mi sorride, mostrando ancora quelle fossette che avevo già notato l'altro giorno. Fa per dire qualcosa, ma lo interrompo:
«Non capisco perché hai fatto tutto questo. Dopotutto sei amico di Luke, no?»
Nonostante il mio tono acido, il suo sorriso non vacilla: è ancora lì, come un arcobaleno dopo un devastante uragano.
«Sei troppo sospettosa, rilassati Kat!» esclama, mentre riprende a camminare.
Lo osservo attentamente: è alto e possiede un bel fisico statuario, ma la cosa che mi colpisce maggiormente sono i lunghi capelli ricci che, quando il sole li colpisce, si tingono di calde sfumature dorate, come se fossero una specie di aureola.
«Vieni o no?» domanda, dopo essersi accorto che sono rimasta indietro.
Mi riscuoto da quella sorta di trance e lo raggiungo come un cucciolo ubbidiente.
Arriviamo al binario due e aspettiamo, con un silenzio assordante che ci inonda le orecchie.
Il treno giunge con un fischio qualche minuto dopo.
Perché mai mi sto fidando? mi chiedo, intanto che saliamo sul mezzo. Ci sediamo uno di fronte all'altra e lui torna a sorridermi.
Deve avere qualche disfunzione alla mascella: è l'unica spiegazione plausibile alla curva perenne disegnata sulle sue labbra.
Sotto sotto, però, mi piace.

My last tearDove le storie prendono vita. Scoprilo ora