«Non pensavo che saresti tornata.»
Michael stava sistemano delle bustine con all'interno gli aghi quando sono arrivata.
Si è accorto benissimo di non essere più solo, ma non ha battuto ciglio.
Di solito, sembra sopportare i miei comportamenti, ma a quanto pare la fuga di ieri lo deve avere offeso in qualche modo, perché ha qualcosa di insolito nello sguardo.
Non mi piace.
«Ora sono qui.» rispondo con voce tremante.
Lui annuisce: pare soddisfatto dalla risposta, così lascia perdere i sacchetti, afferra un blocco da disegno e me lo lancia.
«Devi scaldarti la mano.» mi comunica «e non pensare di aver finito tra qualche minuto.» termina seccamente.
Anche se muoio dalla volta di chiedergli che ha, me ne resto zitta e apro il quaderno lentamente.
Mi ritrovo davanti il disegno di ieri, quello che Michael ha creato apposta per me.
Sento le dita fremere dal desiderio di strapparlo in mille pezzi, ma resisto.
Giro pagina e c'è sempre la stessa cosa: il fiore di loto con le fiamme.
Una goccia di sudore mi scorre sulla schiena.
Che cazzo vuol dire?
Inizio a scorrere freneticamente i fogli e, magia magia, ecco di nuovo quello stupido schizzo.
Senza pensare a quello che sto facendo, mi ritrovo a due centimetri dalla faccia di Michael.
Ha un ghigno disegnato sulle labbra e un sopracciglio alzato in segno di scherno.
«Michael, perché?» gli domando.
«Lasciatelo disegnare.»
Immagino l'ago che entra ed esce dalla mia pelle e rabbrividisco.
«Consideralo un modo per cambiare.»
«Sono già cambiata... non ti ricordi?»
Michael si avvicina ancora di più al mio viso.
Riesco a sentire il suo respiro sulla mia pelle. Dovrebbe darmi fastidio, però, stranamente, non mi scosto.
«Non dirmi che sei soddisfatta di quello che sei diventata.» sussurra al mio orecchio.
Improvvisamente, avverto una strana sensazione farsi spazio dentro di me.
Credo sia consapevolezza, la consapevolezza che Michael ha perfettamente ragione.
Non ho fatto altro che nascondermi e crearmi un recinto di filo spinato tra me e tutti gli altri. Mi sono annullata, ho negato ciò che provo realmente e mi sono logorata il cuore senza saperlo.
Credevo che dal Giorno, niente avrebbe potuto distruggermi di più, ma mi sbagliavo: gli occhi chiari di Michael e il riflesso di una ragazza che non conosco più in essi, sta facendo cadere ogni cosa.
Mi allontano di scatto dal suo corpo e urlo:
«Tatuami questo cavolo di fiore!»
Michael non fa una piega e inizia a preparare tutto l'occorrente.
«Lo voglio qui.» dico, indicandomi un punto sulle costole, sotto al seno sinistro.
«Farà male.»
Non mi importa: questo tatuaggio dovrà ricordarmi per sempre cosa non voglio più essere.
Deve fare male.
«Fallo e basta.»
Le iridi di Michael incontrano le mie e lo vedo sorridere leggermente.
Inizia a dettarmi cosa fare e io, come una scolaretta diligente, seguo tutte le sue indicazioni.
Il bruciore c'è ed è terribile, ma ho già sopportato di peggio.
Verso il tardo pomeriggio il lavoro è finalmente terminato: Michael ci mette delicatamente una garza e si asciuga la fronte con un panno.
«Ecco, qui. Poi questa deve essere tolta e, in seguito, il tatuaggio deve essere coperto con una benda. Fai attenzione: la pelle è parecchio delicata.»
So che dovrei dirgli qualcosa, qualcosa di importante che gli faccia capire quanto io gli sia grata, ma mi esce solo un semplice "grazie".
Michael si limita a fissarmi, con quel suo sorriso misterioso e mi pone un nuovo blocco da disegno.
«Ora puoi iniziare, iniziare davvero.»
Non poteva scegliere una frase più azzeccata.
Mi lascio trasportare dai miei pensieri e comincio a tracciare linee sul foglio.
Disegno come se non ci fosse un domani, trasferisco quello che ho in testa sulla carta. Butto fuori tutto.
Alzo la testa solo quando mi sento la mano troppo indolenzita per continuare: la luce del tramonto sta filtrando tra le finestre e illumina tutto lo studio.
Michael mi raggiunge e dice:
«Hai lavorato abbastanza, per oggi. Vai pure a casa.»
Lui sta per andarsene, quando un coraggio mai avvertito prima, si impossessa di me:
abbraccio Michael fortissimo. Dopo un momento di esitazione, sento le sue mani cingermi la vita e il suo mento appoggiarsi sopra la mia nuca.
Restiamo così per un po', senza proferire parola.
«Dai, ora vai, o tua mamma mi uccide.» sussurra ridendo, staccandosi piano dal mio corpo.
Gli lancio un'occhiata e poi sorrido: immagino la mia mamma, così gracile e innocua, che tenta di strozzare un gigante come Michael.
«A domani.»
Mentre mi dirigo verso la stazione, mi sembra di fluttuare nell'aria talmente sono serena.
Era da troppo tempo che non mi sentivo così tranquilla e pacifica con me stessa: in questo momento, niente e nessuno può farmi arrabbiare.
Nemmeno quel gruppo di ragazzi rumorosi che scorgo salire sul treno.
Si vede lontano un km che sono di Redfern: basta notare le camminate sciolte e i toni di voce alti, che vogliono mostrare spavalderia.
Vedo quello più alto, il biondo, buttare una sigaretta per terra e stringere a sé la ragazza da parte a lui. Lei alza la testa e gli sorride, prima di alzarsi sulle punte per baciarlo.
Distolgo lo sguardo, scelgo un vagone diverso rispetto al loro e apro il mio vecchio zaino alla ricerca dell'iPod. Una volta trovato, mi infilo nelle orecchie le cuffiette e parto verso il mio mondo.
Questa volta però, diversamente dall'ultimo periodo, il viaggio non mi sembra così malvagio, anzi, tra tutto quel grigio, riesco persino a notare alcune sfumature.
Forse è solo la mia immaginazione, forse ci sono per davvero, non lo so.
Tuttavia, sono delle piccole cose che riescono a farmi sorridere di nuovo.
Improvvisamente, mi ritrovo a pensare al ragazzo di ieri, quello che si era seduto davanti a me.
Come aveva detto di chiamarsi? Ah già, Ashton.
Un nome dal suono particolare che, dopo averlo assaporato per un momento, decido che è adatto a lui.
Dopo qualche minuto, arrivo a destinazione.
Scendo dal treno con ancora la musica che mi rimbomba dentro, ma non posso fare a meno di notare i ragazzi di prima.
Ora che li ho più vicini, riesco a capire di chi si trattano: ci sono i Gemelli (i fornitori di erba più giovani di Redfern), un vecchio amico di Michael di cui non ricordo il nome e...
Merda.
Megan Lee mi rivolge uno sguardo strano, che non riesco a decifrare e, quasi come se avesse preso la scossa, si blocca in mezzo alla strada.
«Che cosa ti prende?» le chiede il tipo magro a cui è abbracciata.
Riconosco quella voce.
La mia migliore amica, o meglio, quella che una volta lo era, è appiccicata a Luke Hemmings, il ragazzo di Nicky.
Sento il sangue ribollirmi nelle vene.
Se fossi stata ancora la stessa di ieri me ne sarei andata di corsa, ma ora, dato che non lo sono più, mi dirigo verso di loro.
Luke è l'unico a rimanere fermo nella sua posizione, mentre gli altri, compresa Megan, si allontanano di corsa.
«Non so proprio cosa ci veda Nicky in te, brutto stronzo.» gli sibilo con voce spezzata dalla rabbia.
Lui mi fissa con un'espressione glaciale, poi salta fuori dal nulla con:
«Sai che ieri ho visto Calum? Sembrava parecchio preso da...»
Il rumore della mia mano sulla sua guancia emette un suono potente.
Luke si mette a ridere, massaggiandosi il punto dove l'ho colpito: la pelle inizia a colorarsi di un rosso acceso.
«Non credevo fossi capace di farlo, Kat.» dice il mio nome con un tono di scherno.
Gli scocco l'occhiata più lampeggiante che sono capace di fare e mi allontano da quel corpo che sprizza veleno da tutti i pori.// Ciao, eccomi tornata con questo terzo capitolo, estremamente importante per la protagonista. Non so bene perché ho voluto per lei questo cambiamento improvviso così presto, tuttavia vi assicuro che qualche mistero verrà presto svelato.
Spero che vi piaccia quello che ho scritto e alla prossima! 😌 //
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My last tear
FanfictionVivere in uno dei quartieri più pregiudicati di Sydney è complicato, soprattutto se sei una diciassettenne come Katherine. Con la necessità di crescere più in fretta dei coetanei, si è ripromessa di non perdere tempo con futilità e inutili distrazio...