Un'estorsione indelebile

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Mi ha accarezzato i capelli e il mio cuore
ha martellato così forte che ho pensato:
se mi bacia,
muoio.
(Stefano Benni)


Un leggero venticello sibilava serpeggiante tra le fronde irte dei pini nerboruti al limitare della Foresta Proibita, a parte quello, l'aria era abbastanza statica. Di gelo, ma statica. Nulla a che vedere col clima di silenzioso tremitìo tra i corridoi di Hogwarts, nulla a che vedere col fiato sospeso di ogni studente prima di un'interrogazione. Era più simile alla noia di una lezione del professor Rüf, di quelle interminabili, piene di ripetizioni, magari sulla vita centenaria di un Troll di montagna vissuto tra gli ammassi di legna della Finlandia. I primi compiti in classe di Gennaio spartivano l'inizio del secondo trimestre, un Accettabile iniziava a fare la differenza, un Oltre Ogni Previsione era un sogno lontano ed intoccabile. Gli studenti senza speranze iniziavano a pensarci due volte prima di marinare un compito, e quelli che zoppicanti rimanevano sulla sufficienza, tentavano disperatamente di non perdere l'equilibrio.
Il ticchettio dell'orologio, quel giorno, suonava stranamente rapido alle orecchie di Albus, che, le gambe svogliatamente incrociate, la bacchetta tra indice e medio mo' di sigaretta, aveva lo sguardo concentrato sui quattro simboli alla lavagna.
"Albus Potter sta prestando attenzione ad una lezione di Pozioni senza esser stato minacciato da qualcuno?", gli sussurrò un'Hilary divisa tra lo sgomento ed il divertimento, in quell'occasione sua compagna di banco. Un piccolo brivido percorse il ragazzo all'impatto del fiato caldo e carezzevole di lei, in netto contrasto con le sue povere membra ghiacciate dal clima umidiccio e tetro dei sotterranei. Avrebbe dovuto dare ascolto a Scorpius e mettersi quel maledetto maglione!, pensò. Le sue labbra si piegarono in un'espressione di disappunto. Ondeggiò verso la ragazza, per poter far scivolare le proprie parole in modo tale che solo lei potesse afferrarle.
"Nel caso non te ne fossi accorta, questa è particolarmente interessante". Poi, trattenendo tra i denti una risata, tornò in posizione retta, di nuovo parzialmente perso nell'interrogazione, o meglio, nella contemplazione dell'interrogata. A rinfrescare la memoria dei ragazzi, v'era infatti Jessica Stool, Grifondoro come prova dell'invecchiamento del Cappello Parlante, e famosa per il possesso di una media straordinariamente bassa e la dignità di un criceto ammuffito, concentrata nella descrizione completamente arrangiata di una pozione Occhiopallato[1]. Era veramente una bella ragazza, dall'alto del suo metro e settanta, i capelli castani [2] lunghi sino alle spalle, gli occhi verdi dal dolce taglio lievemente a mandorla, il corpo longilineo strizzato in un'uniforme particolarmente stretta. Non che non se lo potesse permettere, ovviamente.
Hilary ridusse gli occhi a due fessure, in un misto tra lo stizzito e il rassegnato. Poi, sbuffando come una pentola a pressione qualcosa di molto simile a "Che maiale", afferrò tra le mani il libro di testo e, portandoselo sulle gambe, prese a leggere un'interessante paragrafo a proposito delle pozioni contenenti lo starnuto di Pixie.
Il ragazzo non poté impedire che un sorrisetto malizioso gli solcasse le labbra, avrebbe quasi potuto abituarsi a quella gelosia celata. Erano un po' di giorni che si divertiva a lanciarle qualche frecciatina del genere, gustandosi ampiamente le piccole reazioni, apparentemente inesistenti: qualche smorfia di la, qualche parolina non troppo cordiale. Non che desse molto peso alla situazione generale, come al solito, Albus non era nato per essere Corvonero; lui prendeva ciascun episodio e lo isolava dagli altri, come se scattasse ogni volta una fotografia diversa, ma simile alla precedente, bella quanto quella. Era una bella sensazione dopotutto, essere importante. Era come... come uno scatto ad una persona sola durante una festa con molti amici: sfogliando l'album, la trovi; sei solo tu, sorridi o piangi, non importa, ma sei solo tu, tra tanti altri possibili scatti, quello è il tuo. Egoistico ma reale, uno di quei pensieri che ciascuna persona fa, ma che quasi nessuno a il coraggio di ammettere persino ha se stesso.
Schioccò la lingua sul palato, picchiettando un'estremità della bacchetta sul legno, distogliendo definitivamente anche quella parziale attenzione prestata.
Jessica, nel frattempo, aveva preso ad elencare gli elementi suggeriti dall'amica, a parere suo necessari per raggiungere un ottimo risultato, mentre la classe appuntava di tanto in tanto qualcosa, magari qualche parolina carpita in un barlume di attenzione, o nei casi più comuni, qualche disegnino storto e privo di senso, utilizzato più che altro per evitare di addormentarsi.
Ed era proprio quello che stava facendo Rose, seduta all'ultimo banco da sola, completamente addossata al muro gelido. La punta della penna d'oca, stretta mollemente nella mano destra, vagava liberamente sul bordo del rotolo di pergamena, vuoi qui, vuoi lì, serpeggiando tratti d'inchiostro così come questa desiderava. Il tratto era incerto, quasi ad intermittenza; spesso e volentieri, la penna sorvolava la carta per brevi attimi senza toccarla, per poi ripoggiarsi più in là, seguendo comunque lo stesso, curvo, ghirigoro. Rose lo fissava impassibile, persa nel nulla.
La lezione non le interessava, quel giorno, troppo presa nei propri pensieri, se ne stava lì, dove non avrebbe mai pensato di poter essere, pensando quello che non avrebbe mai pensato di poter pensare.
Il suo primo bacio. Quello che aveva sognato per tanto tempo, quello che al solo pensiero la faceva arrossire, ma che tuttavia non aveva timore d'immaginare. Chissà solo per quanto tempo aveva desiderato qualcuno in grado di poterlo condividere con lei. Qualcuno all'altezza. Qualcuno... Qualcuno che la facesse stare bene, battere il cuore, e i soliti cliché da romanzo. Troppa Jane Austen. Troppi libri. Troppi sogni. La verità era che si sentiva arrabbiata, si sentiva delusa, si sentiva... Non lo sapeva neppure lei. Aveva passato anni a pensarci, ed era sempre stata sicura del fatto che non avrebbe potuto sapere come sarebbe successo, e neppure voleva, ma era sicura del fatto che sarebbe stato meraviglioso, romantico. Era il suo desiderio, insomma, il solito cavaliere sul cavallo bianco probabilmente.
Sbuffò pesantemente. Manco per il cavolo invece. Se era arrabbiata? Nient'affatto, era incazzata nera, ecco cos'era. Non chiedeva molto, solo che quel bacio, quel dannato bacio sparisse dai suoi maledetti ricordi! Era forse troppo? Il fatto era che era stato tutto sbagliato! Non sarebbe dovuta andare così! Quello era il suo primo bacio, per la miseriaccia! E... E... sentiva come se quell'esperienza che aveva letto e riletto nel più svariato tipo di libro, quell'amore legatovi, sentiva come... Come se le fosse stato negato! E poi Scorpius Malfoy? Merlino solo sapeva quanto lo avrebbe volentieri appeso per le palle al candelabro macabro della sua inutile Sala Comune. Lui... Lui non ne aveva il diritto! Che glielo ridesse indietro ora! Subito! Quello... Quello era suo, lui... Come aveva osato!
La penna si fermò, appesa all'aria rarefatta e maleodorante dell'aula, sgocciolando al tempo del battito accelerato della ragazza piccole lacrime di pece. Una. Due. Tre. Rose inspirò a fondo, stringendo la presa su questa. Che razza di stronzo. Non riusciva a capacitarsene. Proprio non ce la faceva. Quattro. Cinque. Sei. Eppure non era solo quello: era che, lei, e solo lei, avrebbe saputo quanto, in fondo in fondo, erano due giorni che non poteva smettere di pensarci. Quel profumo, quel sorriso a fior di pelle, quel tocco. Era come se le fosse stato inciso nel cuore, quasi come quel profumo di menta leggero le fosse stato incollato nell'anima. E questo la faceva incazzare ancora di più. Come si era permesso di farlo? Come si era permesso di andarsene? Ok, forse il punto non era proprio quello, ma di certo il suo primo bacio non sarebbe dovuto essere così. Sarebbe dovuto essere diverso: giusto, legittimo. Non sbagliato, non sfuggente, non solo. E invece era stato così. E ora puff . Nemmeno aveva il coraggio di presentarsi a lezione. Tzè, un raffreddore, eh, però, bell'inventiva!
La lezione finì neppure dieci minuti dopo e Rose se ne accorse solamente quando una folla inferocita di alunni sorpassò la soglia della classe neppure dovessero evacuare la scuola. Si alzò dalla sedia e posizionò la borsa di patchwork al bordo del banco, per successivamente passare su di questo un avambraccio, che facesse scivolare tutto il materiale all'interno della tracolla. Poi, sotto lo sguardo sgomento di Albus, come se fosse una cosa nella norma, seguì i compagni di Casa, senza una parola.
"Rose!", la chiamò il cugino sempre più confuso, inseguendola assieme a Hilary. Rose si fermò in mezzo al corridoio, alzando gli occhi al cielo. "Che vuoi? Non hai seguito? Non m'interessa, ti arrangi". Lo freddò, per poi continuare a camminare impettita, senza che il poveraccio avesse l'opportunità di proferire qualcosa. Lui spalancò la bocca, voltandosi verso l'amica per chiedere spiegazioni, perché davvero non capiva il motivo di tutta quell'acidità. Merlino buono, nemmeno quando aveva il ciclo prima di un compito in classe reagiva così! Che le era preso? Lei, per tutta risposta, gli sussurrò un "Chiedilo alla Stool" disinteressato, e, facendo spallucce, lo superò, diretta alle serre per l'ora di Erbologia. Neville era buono, ma cinque ritardi di seguito non potevano che fare una decina di punti in meno alla Casa, e sopportare i rompi Pluffe nel Dormitorio non era l'aspirazione della sua vita.
Potter rimase immobile dov'era, gelato da quella frecciatina. Ma che...? Morgana santa, vai a capire le ragazze! E si avviò verso Difesa Contro Le Arti Oscure.

Quella mattina, Scorpius proprio non ce l'aveva fatta ad alzarsi, era stato più forte di lui. Aveva provato più volte a gettare anche una sola gamba fuori dal letto a baldacchino, con un mal di testa assurdo, di quelli più unici che rari, a dargli il buongiorno. Sentiva tutto quanto attorno a sé vorticare velocemente, troppo velocemente. Le tempie pulsavano, il respiro pesante. Freddo, terribilmente freddo. Ogni centimetro di pelle era pieno di brividi. Sulla fronte dolorante qualche gocciolina di sudore, anch'esso freddo. Vi portò la mano tremolante. Cazzo, stava letteralmente bollendo. Mugolò qualcosa d'incomprensibile. Dio, girava tutto. Doveva assolutamente andare in Infermeria. Alzò lentamente una palpebra dietro l'altra. Brucia. Fece leva sulle braccia e, alla velocità di una tartaruga in pensione, si tirò a sedere. Oddio, oddio, oddio.
"Uh", gemette febbricitante. Non sarebbe dovuto uscire sotto la pioggia. Mannaggia a lui, mannaggia alle calze di Grindelwald.
Era stata un'idea pazza, si sarebbe dovuto aspettare quella febbre, ma la sera prima non era riuscito a rimanere chiuso tra quelle quattro mura. Il cuore gli batteva forte, il fiato era mozzo e la testa gli esplodeva di pensieri molesti, sarebbe scoppiato se fosse rimasto ancora là dentro, quindi, vittima dall'ennesima saetta di follia, aveva preso in prestito il Mantello dell'Invisibilità del migliore amico ed era sgattaiolato fuori dalla Sala, dai sotterranei e dalla scuola, per sedersi sul prato del parco di Hogwarts. Quelle immagini erano troppo pesanti, troppo numerose, troppo rosse. Allora, aveva respirato a fondo, e aveva preso a contare le stelle una a una, lasciando che ciascuna goccia di pioggia gli scorresse lungo il viso e gli inumidisse i capelli biondi, come faceva sempre quando la mente era troppo piccola per contenere tutti i pensieri, quando non gli bastava più.
Lì per lì gli era sembrato tutto facile, quasi come se i problemi fossero scivolati via assieme all'acqua, ma, in quel momento, Scorpius capì quanto tutto quello non fosse stato un lampo di genio. Se non altro aveva trovato una soluzione. Ed era anche maledettamente semplice! Si domandava il perché di tutti quei problemi! Per uno stupido bacio poi! Neppure avesse fatto chissà cosa. A sedici anni era poi così tanto problematico aver dato un bacio senza pensarci su? Gli sembrava tutto così assurdo. Chissà da quanto tempo Carota non pomiciava con qualcuno, più che tenergli il muso avrebbe dovuto ringraziarlo!
Mugolò ancora qualcosa. In effetti il problema non era quella trescatina insignificante, il problema era che dopo aver passato ventiquattro ore a rivivere ogni singolo attimo di quel bacio con lo scopo di sminuirlo il più possibile, ancora quell'"insignificante", gli sembrava una bugia colossale. Il problema era che dopo ventiquattro ore, concentrandosi, ancora avvertiva quella pressione delicata sulle labbra, insieme ad un leggiero pizzicore d'insoddisfazione. Era quello il problema.
Quella non era febbre era pazzia. Il ragazzo la poté quasi sentire nelle vene, la follia pura. Si alzò dal letto, reggendosi con tutte le proprie forze al comodino. Afferrò la bacchetta e, cercando di racimolare più forza possibile, sussurrò: "Accio uniforme"[3]. Questa, al sussurro di Scorpius, schizzò via dalla sedia smeralda, finendo, sfortunatamente, in faccia al proprietario.
Si vestì, costantemente accompagnato dall'impressione che un tratano... trafano... tramano o come cavolo si chiamava quell'aggeggio babbano per bucare i muri, gli stesse perforando il cervello, poi si avviò in Infermeria, trascinando i passi e lievemente piegato in avanti per tenersi in equilibrio. Lentamente uscì dalla Sala Comune, poi, cercando di sembrare il più disinvolto possibile, percorse tutti i cunicoli dei sotterranei, fino alla prima scalinata per il primo piano. Merlino, troppa pioggia, aveva preso troppa pioggia. Continuò a camminare, sperando vivamente di non incontrare nessuno studente fuori posto, perché sarebbe davvero stata una figura di merda unica. Primo, secondo, terzo, quarto e quinto piano. Scorpius aveva il fiatone, l'aria circostante gli sembrava priva di ossigeno, i polmoni erano schiacciati da nemmeno lui sapeva cosa, e tutto quanto si muoveva, sfuggevole, quasi per fargli un dispetto. Maledì più volte il caprone che aveva asserito che dentro le mura della scuola non era possibile smaterializzarsi. Ok, calma, soltanto altri due piani. Altro passo. Nulla, non riusciva più a camminare, la testa gli faceva troppo male, e tutto attorno era troppo freddo, si avvicinò al muro, e vi ci si appoggiò, per poi sedersi a terra e far aderire il capo alla parete. Era stanco, troppo. La febbre non era scesa. Chiuse gli occhi e respirò forte, ascoltando attentamente l'eco dei suoi respiri nel corridoio vuoto. Il silenzio era quasi surreale, nuovo, non ricordava di essere mai stato fuori dall'aula durante le lezioni, era strano.
Il rumore di alcuni passi lo fece sobbalzare. Porco Voldemort, ci mancava solo essere visto da qualcuno. "Malfoy?!". Gli si fermò il cuore. In quel momento, non seppe mai neppure lui il perché, gli tornò in mente quella strana legge che spesso la signora Granger citava (e di quale non ricordava il nome) secondo la quale se una cosa può andare male, lo fa [4]. A camminare verso di lui, era infatti Rose, con tutta la sua ordinata aurea perfettina.
Non ci poteva credere, la ragazza era esterrefatta: che diamine ci faceva quel cretino spiaccicato a terra in quel modo, neppure lo avesse calpestato un tir? Si avvicinò ancora. Ogni passo che faceva la portava a sbarrare ancora di più gli occhi, man mano che questi carpivano sempre più dettagli. Come il viso pallido, come le occhiaie, come la fronte imperlata di sudore. Rose era ormai arrivata di fronte a lui.
"Malfoy, cos'hai? Perché diavolo stai qui?!"
Il ragazzo ribatté con un gemito di dolore. "Quanto cazzo sei rumorosa Carota" avrebbe voluto dirle, eppure, dalle sue labbra, non fuoriuscì nulla più di un sospiro. Rose sbuffò nervosa, poi si alzò in piedi ed estrasse la bacchetta. In quel momento Scorpius spalancò gli occhi spaventato: si aspettava che la ragazza non fosse molto ben disposta nei suoi confronti, ma non poteva schiantarlo in quella situazione!
"Levicorpus!" asserì in tono sicuro, puntando l'arma verso il ragazzo, che, neppure un secondo dopo, si trovava ondeggiante in aria. "Mannaggia a te, cretino! Dovrei farti volare giù dalla finestra ed invece mi tocca anche portarti in Infermeria!". Al suono di quelle parole, Scorpius si ritrovò a sorridere. Non esisteva persona meno adatta di Rose Weasley per dire bugie, e in ogni singola parola pronunciata, nulla in cielo e in terra avrebbe eliso l'acerba nota di preoccupazione.
"Non lo faresti mai", la provocò a fiato mozzo, mentre, fluttuando, si dedicava ad inspirare il dolce profumo di ciliegia che aveva invaso l'aria, discretamente, approfittandone di nascosto, di nascosto anche da se stesso.
"Scommettiamo?" Ribatté lei, alzando entrambe le sopracciglia, come ennesima minaccia della giornata. Il ragazzo inclinò lievemente le labbra verso l'alto, probabilmente grato ad un'altra fitta al capo, per avergli impedito di sorridere ancora. Gli era mancata questa cosa, gli erano mancati i battibecchi, la sua voce, il suo profumo... Ok, basta. Quella pazzia ci stava prendendo un po' troppo la mano. Aveva preso la sua decisione la sera prima, aveva trovato la soluzione: avrebbe chiesto scusa, le avrebbe detto chiaramente le cose come stavano: "Senti, Carota, scusami per l'altro giorno, avevo intenzione di farti uno scherzo, e non sapendo che fare è uscita quella cosa lì. Albus non saprà mai nulla e tranquilla, nessun altro. Non succederà mai più.". Poi sarebbe stato tutto come prima, odio reciproco, battute casuali di tanto in tanto, e un migliore amico in comune. Perfetto, no? Ed allora perché qualcosa gli sapeva di cazzata?
Rose, si morse il labbro inferiore. Quell'odore di muschio bianco, mannaggia a tutti gli Stregoni, quelle la... vatrici dei nonni non funzionano mai! Ma che cosa diamine andava a pensare?! Va bene, tutte quelle riflessioni stavano davvero facendo male alla sua povera mente, le stavano davvero facendo passare la voglia di pensare! Lei era furiosa e basta! Lei era incazzata! E così doveva essere. L'avrebbe accompagnato a destinazione, lo avrebbe minacciato di morte, gli avrebbe detto che l'avrebbe pagata cara, e che quello scherzo non le era piaciuto affatto, e una volta guarito lo avrebbe evitato e basta. Perfetto, no? Eppure, l'immagine di quel progetto le faceva male alla pancia, senza che lei sapesse il perché, il fatto di non averlo tra i piedi non la sollevava poi tanto, ma era la cosa giusta, le aveva mancata di rispetto, in un modo orribile ed ignobile!
Erano arrivati. Rose entrò nell'infermeria candida, arrivando ad uno dei letti, e vi ci poggiò il ragazzo. Il suono di una corsettina li avvisò dell'arrivo di una spaventata Madama Chips.
"Santo cielo! Che è successo?" Chiese, avvicinandosi velocemente al letto. La ragazza scosse la testa. "Non ne ho idea, l'ho trovato così nel corridoio durante un'ora di buco, stavo andando in Biblioteca e..." 'Chiuse gli occhi di riflesso, irrigidendo per un istante i muscoli delle braccia, per poi diventare una gelatina umana e spegnere il cervello, probabilmente per la prima volta in vita sua. Le labbra di Scorpius erano qualcosa di indescrivi...'. Rose scosse la testa con veemenza, inorridita dai suoi stessi ricordi, aveva semplicemente detto 'Biblioteca', e guarda il risultato, Merlino! "..e l'ho trovato in Biblio.. SUL PAVIMENTO! L'ho trovato sul pavimento." Le gote le diventarono rosse come un petalo di rosa, al solo pensiero. Stava impazzendo. Il ragazzo, sdraiato sul letto bianco, non si era perso nulla e, inspiegabilmente ed inconsciamente, si ritrovò a sorridere ancora, per un attimo felice, forse felice di quei rossi maturi, che sapeva caldi e morbidi, dei quali poteva ancora provare la delicatezza sotto il palmo della mano, o forse che non avesse dimenticato nulla. Dolce.
"Va bene, provvederò immediatamente a visitarlo, lei torni in classe". Fu la risposta della donna, prima che spostasse, tra lei e il ragazzo, uno dei numerosi separé metallici, impedendo loro un qualsivoglia contatto visivo. Così, le uniche parole che Scorpius sentì furono: "Okay, la ringrazio" e poi, dopo una piccola pausa, dettata da un sospiro: " Malfoy, nel pomeriggio verrà a trovarti Albus". Poi il rumore dei passi che si allontanavano rimbombò nella stanza.


[1] Ero alla ricerca di qualche idea che potesse essere relativamente verosimile, e.. questa pozione, che non conoscevo, ha fatto al caso mio! Non è stata inventata da me, e qui eccovi la fonte (sperando che l'idea vi possa essere piaciuta):

[2] Per firmare la petizione contro i pregiudizi nei confronti delle bionde contattare il numero 354726383637736364 (Okay, la smetto di dire sciocchezze xD)

[3] Ok, ammettiamolo, questa nota è inutile, serve solo a condividere con voi la mia depressione: quanto sarebbe bello poterlo fare ogni mattina? Dio santo, sarebbe la salvezza di ciascuno studente

[4] Ho voluto citare la Legge di Murphy, una ironica ed inquietante supposizione (con la quale mi ritrovo perfettamente d'accordo), nel caso siate interessati ecco il link con la spiegazione fatta bene :

Qualche Lentiggine Di TroppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora