Wildest Dream

294 20 12
                                    

I said "No one has to know what we do,"
His hands are in my hair, his clothes are in my room
And his voice is a familiar sound, nothing lasts forever.

But this is getting good now
-Wildest Dream, Taylor Swift

Il fruscio del vento solleticava carezzevolmente l'erba di quella mattinata ancora disperatamente invernale, considerando la rigida temperatura che si ostinava a far gelare le mura litiche del castello di Hogwarts. Eppure, quel giorno sembrava diverso dal precedente, e da quello prima e quello prima ancora. Sembrava come se la primavera stesse effettivamente facendo lentamente il suo ingresso maestoso, vuoi con una delicata margheritina rosea, vuoi con la luce d'un sole piuttosto timido. Non era bello, quel tempo, non era la sicurezza delle giornate d'Aprile, né però, la tristezza di quelle di Dicembre: era invece incerto, ma terribilmente pieno di speranza.
A Rose piaceva quel clima, la riempiva giorno per giorno della costante curiosità di sapere quando la prima coppia di rondini avrebbe solcato quel cielo azzurro per porre fine all'inverno e dare il ben venuto alla primavera. Ed era proprio per quella lieve brezza che, immancabile borsa di patchwork stracolma di libri e pergamene in spalla, e sorriso smagliante ad illuminarle il viso, stava attraversando a grandi falcate il cortile del castello. L'aria fresca le solleticava il viso fino alla pesante sciarpa rosso-oro, mollemente avvolta al collo lungo, le faceva svolazzare i ricci fulvi dietro le spalle, dando loro la parvenza d'essere piccole fiammelle a scoppiettare, rispettando la poca libertà concessa loro dal cappellino di lana d'un crema pallido poggiato sul capo. Camminava imperterrita, passando in mezzo alla moltitudine di ragazzi che chi qui, chi lì, se ne stavano spaparanzati sul prato, mani nelle tasche del cappotto beige, una meta precisa nella mente.
Aveva un terribile bisogno di stare in pace e tranquillità, aveva tanti pensieri per la testa, talmente tanti che le sembrava quasi che potesse esplodere da un momento all'altro. Scorpius. Quello stupido nome era il sunto di tutti quei pensieri. A stento riusciva a credere a quello che era successo in quel bagno, dopo il loro bacio, dopo quel bacio che le era sembrato eterno. Era un bacio che Rose non aveva mai immaginato di poter condividere con nessuno. Nessuno. Lei aveva sempre pensato ai baci con la visione romantica e dolce di un romanzo di Jane Austen, non aveva mai pensato che qualcosa di così carnale , le sarebbe potuto piacere così tanto. Perché si, le era piaciuto tanto. Così tanto che ancora al ricordo poteva avvertirne i brividi provati, che quasi avrebbe potuto avvertire la pressione quelle labbra sulle sue.

Si separarono all'unisono, probabilmente privi d'ossigeno. Il silenzio
governò la scena per una manciata di minuti,
che i ragazzi impiegarono a guardarsi come mai avevano fatto.
Non negli occhi, non i propri visi, bensì le proprie anime.
Quel giorno si lessero dentro per la prima volta da quando si conoscevano.

E seppero come tutto avrebbe trovato una soluzione, assieme.
"Nessuno lo saprà quanto ti odio, Carota" aveva asserito il ragazzo,
passando un pollice lungo la gota della ragazza,
distante da lei quel respiro che entrambi avevano mozzato.
"Nessuno lo saprà quanto ti odio, Barbie" aveva risposto Rose, poggiando la propria fonte a
quella di Scorpius, fino a quando anche i loro nasi non avevano combaciato perfettamente.
Poi, come se quelle parole avessero sigillato un patto indelebile, avevano ripreso ad odiarsi,
nella quiete di una passione scottante, ancora una volta labbra contro labbra.

Rose arrossì al ricordo di due settimane prima. Era più forte di lei, quelle immagini erano la sua condanna, le riviveva ogni volta nella sua mente, e ciascuna di queste terminava con un incessante calore alle guance ed alle orecchie, segno che il pallido colore della sua pelle era stato sostituito con una velocità sorprendente da uno squisito rosso scarlatto. Dannazione! Non lo faceva mica a posta! La cosa incredibile di quella situazione, era che, finalmente, le cose sembravano essere tornate esattamente com'erano prima che tutto iniziasse: solite battutine, solito sarcasmo pungente nei corridoi, dove essere Malfoy e Weasley non pesava più, dove le parole più erano crudeli e meglio erano, dove il miglior intrattenimento di tutta la popolazione della scuola era tornato; ma la sera, dentro quella classe buia, erano Rose e Scorpius, loro, il loro odio e la loro passione. Solamente Rose e Scorpius. Nessuno avrebbe saputo quanto si detestassero.
Ormai quel percorso era fisso nella sua mente, quindi, senza farci troppo caso, si ritrovò a scendere la scalinata di pietra che l'avrebbe condotta alla rimessa delle barche, oramai seminascosta dalla vegetazione. Poté percepire il proprio viso irrigidirsi sotto le forti ventate fredde, sentiva d'essere ghiacciata almeno quanto questo, ma non le importò più di tanto, quindi, senza rallentare la corsa tornò a concentrarsi sul tragitto, fino ad arrivare al porto in miniatura, ancora deserto.
Avanzò verso la punta del molo di legno, mangiucchiato in più punti dal mare e dal tempo, quasi sperando che non cedesse sotto il proprio peso, poi, appuratasi della sua stabilità, vi si sedette, gambe penzoloni giù da questo, piedi tanto vicini alla superficie spettrale del lago Nero da poterne sentire il bagnato.
Sospirò. Sapeva che sarebbe arrivato in ritardo. Tirò fuori dalla borsa di patchwork un libro dalla copertina scarlatta d'un velluto consumato e se lo poggiò sul grembo, aprendolo alla prima pagina. 'Il piccolo principe' [1]se ne stava intatto ed immobile, le pagine, visibilmente nuove, prive di qualsivoglia segno di una precedente lettura, non aspettavano altro che la ragazze se le passasse tra le dita affusolate, ed ogni carattere battuto a macchina attendeva fervente di essere inghiottito dai suoi voraci sguardi. Lo aveva trovato sul suo letto quella stessa mattina, accompagnato da null'altro che una piccola dedica dai caratteri d'un ordine serpeggiante: 'Nella speranza che l'adulta non divori mai la bambina che è in te'. Non servivano firme per capire di chi fosse questo dono, come non servivano altre parole per comprendere il significato di quella frase.
La ragazza se lo rigirò tra le mani. Non sapeva come avesse fatto a scoprirlo, davvero non lo sapeva, eppure non ne era turbata, era come se dentro di lei sapesse che il suo segreto era al sicuro con lui. Alla fine non era l'unico segreto che sarebbe stato custodito da entrambi.
"Beh, già finito?". A riscuoterla da quei pensieri fu una voce leggermente strascicata, tra il sarcastico ed il divertito, accompagnata dal suono dei passi di un paio di scarpe perfettamente lucide sul molo. La ragazza sbuffò un accenno di risata. "Dove lo hai preso?", gli chiese, invece, sinceramente curiosa, ed anche un po' perplessa. "Non si trovano libri così a Hogmeade, è babbano, e chiaramente non è della biblioteca" , continuò, poi, girandosi in modo tale da poter guardare negli occhi Scorpius. "L'ho preso. Ti basti, Lenticchia." Fu la risposta che ricevette, data assieme ad una scrollata di spalle.
Quella era stata una mattinata pessima per il ragazzo, nonostante si fosse svegliato di buon umore, quel giorno pareva impedirgli di potersi godere quella stramaledetta giornata assolata. Che poi, per le palle di Coda Liscia! Perché diamine faceva così freddo! Insomma c'era il sole! Il maledetto sole! Portò le mani alla sciarpa verde-argento per arrotolarla meglio attorno al collo, poi respirando apertamente una nuvoletta di condensa, si sedette accanto a lei, spostando bruscamente lo straccio che la ragazza si ostinava a definire borsa. "Ho accompagnato Al dalla McGranitt, sembrava abbastanza incazzata che probabilmente a cena Albus si addormenterà sullo stufato per la stanchezza. Hilary d'altro canto lo è ancora più di lei e sta studiando col Tassorosso che è uscito da poco dall'Infermeria, non so come lo tolleri". Aveva un tono abbastanza piatto e svogliato. Quella mattinata era senza dubbio una delle peggiori che avesse avuto da un anno a quella parte. "Non glielo ha detto un medimago di aggiungere un'altra fiala di Essenza di belladonna[2] nella pozione di quel poverello"aveva quindi detto Rose, scuotendo il capo con quanta disapprovazione era in grado di rendere con il gesto.
"È una giornata di merda" la informò, il ragazzo, sdraiandosi sul legno umidiccio e muffo, il capo rivolto al cielo luminoso, gli occhi chiusi, il corpo a bearsi del tepore del sole, giovandosi del fatto che, schiacciato sulla superficie ruvida, il vento non lo raggiungesse.
Rose scoppiò a ridere. "Svegliato dalla parte sbagliata del letto?". Nel frattempo aveva ritirato le gambe al seno, approfittando dei jeans a zampa di elefante che quella mattinata libera le permetteva di sfoggiare, prima di riporre nuovamente il libro nella tracolla. Scorpius corrucciò lo sguardo. Oltre al danno, la beffa. "Era abbastanza sopportabile, la giornata, poi ti ho incontrata ed il suo livello di sopportabilità si è decisamente incrinato" ribatté, il viso piegato in un'espressione irritata, le braccia incrociate al petto. Rose parve come accesa da una fiammata d'orgoglio. Come si permetteva di trattarla così? Imbecille. "Nessuno ha richiesto la tua presenza qui, mi pare. Quindi semmai era la tua a non essere gradita". Si voltò dall'altro lato, in un'infantile dimostrazione di stizza, mettendosi a frugare nella borsa alla ricerca di un libro che non fosse quello che le aveva regalato lui[3].
Scorpius sbuffò pesantemente –immediatamente imitato dalla ragazza-, poi, mollando un pugno sul molo, si alzò da terra ed ancorò la propria mano attorno al braccio di Rose, facendola voltare. Si osservarono per qualche minuto, i volti di entrambi piegati in smorfie d'un capriccio poco adatto a due sedicenni. Le lentiggini che brillavano sul nasino piccolo di lei erano messe un evidenza dal sole, e gli occhi azzurri quel giorno sembravo d'un celeste tanto chiaro da essere somigliante alla superficie increspata all'acqua d'un mare Caraibico, e le labbra imbronciate risaltavano la propria morbidezza. Bella.
"Fanculo, Carota". Un respiro affannato. "Fottiti, idiota". Un altro respiro ansante. La ragazza non attese altro: afferrò saldamente il colletto del cappotto nero di Scorpius, stringendo nel pugnetto minuto tutta la stoffa che le fu possibile e lo trasse a sé, come fosse una punizione, fino a quando i loro corpi non combaciarono completamente. Una volta appuratasi di ciò, corse le dita tra i capelli biondi, stringendoli così che il ragazzo liberasse un piccolo gemito di dolore, pronta a soffocarlo con un bacio. Scorpius portò le proprie mani ad ancorarsi alla vita sottile della ragazza, poi sui fianchi morbidi, fino a che non ebbe l'impressione di esservi diventato parte. Prese tra le sue labbra quello inferiore della ragazza, senza delicatezza, come fosse un diritto da esercitare, e vi affondò lievemente i denti. Rose si lasciò sfuggire un sospiro. Dannazione. Era una lotta la loro, più che un bacio sembrava una battaglia combattuta con i gesti, combattuta con le proprie labbra. Una guerra senza tattiche, senza strategie o schemi, ma pur sempre una guerra. E maledetto, stava vincendo. O almeno era quello che suggeriva la mente completamente inebriata della rossa, inebriata e vuota, finalmente priva di pensieri, solamente piena di lui.
Lei slacciò la presa sul crine baciato dal sole, per portare le mani sul suo petto e farvi abbastanza pressione da far in modo che Scorpius si ritraesse fino a toccare nuovamente terra. Lui parve scosso da un brivido, così, portandola giù con sé, portò le dita a carezzarle le gote arrossate dalla passione del momento.
Ed allora Rose sfuggì al contatto, così, ponendo fine al momento idilliaco senza che neppure il bacio fosse terminato. Semplicemente si alzò dal corpo del ragazzo, che, tra il confuso e l'insoddisfatto, la fissava, ancora sdraiato, l'evidente prova del suo gradimento a premere attraverso la stoffa dei pantaloni.
"Ci vediamo a cena, Malfoy" furono le uniche parole che gli rivolse, un sorriso malandrino dipinto sul viso, prima di raccogliere la tracolla da terra e dargli le spalle allontanandosi.
"Ti odio!" le urlò Scorpius, una volta realizzato quello che era accaduto, al limite dello scazzato. "Ti odio anche io", riuscì a rispondergli, prima di filare via, sparendo dalla sua vista. Aveva vinto lei.

Ma Scorpius non era l'unico ad avere avuto una mattinata orribile su tutti i fronti: a fargli compagnia, v'era, infatti, James Potter, in sella al suo manico di scopa, che, da quando si era svegliato, precisamente dalle sette e quaranta di quella mattina, non era riuscito a far andare bene qualcosa. Il campo era vuoto, non c'erano avversari che se stesso, il boccino era libero –e disperso, tra l'altro-, ma lui se ne stava al centro dell'ovale, appeso a mezz'aria, senza dare alcun cenno di volerlo afferrare –o anche cercare, più semplicemente-.
Tre mesi e mezzo. Mancavano solamente tre mesi e mezzo. Quanto velocemente sarebbe soffiato via quel tempo? Quanti battiti di ciglia sarebbe durato? Le scommesse erano aperte, e James sapeva benissimo che avrebbe vinto il numero minore tirato in ballo. Tre mesi e mezzo e la sua vita sarebbe completamente cambiata. Era consapevole del fatto che le selezioni sarebbero andate bene, era uno dei migliori giocatori che Hogwarts avesse mai visto, più bravo di suo padre e di suo nonno, più rapido di sua madre, con migliori riflessi rispetto a suo zio, la Preside stessa aveva provveduto a mettere buona voce con il capo squadra dei Fuochi Azzurri[4], che d'altro canto aveva una squadra così piena di fannulloni che buttarne uno fuori a calci nel sedere non sarebbe stato un problema. Non era proprio la miglior scelta lavorativa di sempre, ma di certo meglio che buttare tempo per imparare l'origine di un Bubotubero. La carriera sarebbe venuta dopo.
James decise che non era la giornata adatta agli allenamenti, così, incrinando il manico di scopa affinché gli permettesse un atterraggio abbastanza rapido. Non appena toccato il suolo, portò la scopa sulla propria spalla, poggiandovela, poi, si diresse negli spogliatoi, senza curarsi troppo del boccino ancora sfrecciante nell'aria, chissà dove. S'infilò subito sotto l'acqua bollente della doccia, immergendovi prima il capo poi il resto del corpo allenato. Non appena la sua pelle fu a contatto con l'acqua, gli parve quasi di poter sentire le proprie membra sciogliersi nel modo più dolce possibile, l'acque gli rilassò i nervi tesi, lo trascinò in un tepore così allettante che per un attimo desiderò di passare la vita dentro quella doccia, libero da pensieri molesti, libero da lei, che era ormai diventata una prigionia.
Ormai era diventata una rassegnazione mesta. Ma non poteva farci nulla, era stata una sua scelta, era stata la scelta migliore, e non poteva tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, nonostante fosse uno dei sogni più ricorrenti, non poteva semplicemente pentirsi e far cambiare cose. L'aveva persa, l'aveva voluta perdere, le cose stavano così. Non sarebbe stato quel dolore che gli gravava nel petto a riportargliela. Non sarebbe stato il tempo a sanare le cose rotte. Perché le cose rotte non si aggiustano da sole, serve la magia, ma ci sono cose che nemmeno la magia può fare. E quelle cose comprendono anche un cuore spezzato ed un'anima ferita.
Si era pentito? Non lo sapeva nemmeno lui. Si, era certo che era stata la scelta giusta, eppure non immaginava che la scelta giusta avrebbe fatto così tanto male. Ora tutto quello che gli era dato fare era aspettare, andare via e dimenticare. Ma si può dimenticare l'impeto di una nottata nelle braccia di un'altra persona? Si poteva dimenticare la passione di un bacio scambiato anche con l'anima, oltre che con le labbra? Si poteva dimenticare il tumulto di un cuore impazzito? Sperava di si, sperava che prima o poi quel dolore sarebbe passato. Sperava che guardandosi negli occhi, all'età di trenta o quarant'anni, magari durante un pranzo di Natale, avrebbe riscoperto l'affetto fraterno che due amici come loro avevano condiviso, e non più l'amore cocente ed impossibile di due cugini; sperava che quando si sarebbe sposata avrebbe potuto guardarla negli occhi, carezzare con lo sguardo di una felicità quasi paterna quei lineamenti tondi che aveva studiato già un milione di volte, e non di posarle uno sguardo addosso colmo del risentimento di una felicità perduta. Sperava, perché solo quello gli restava.
Uscì dalla doccia, mosso dalla stessa stressata apatia di sempre. Una volta nello spogliatoio, recuperò, dalla sacca sportiva, la divisa sgualcita che aveva tolto prima degli allenamenti, e, dopo essersi passato addosso un asciugamano in fretta ed in furia, se la infilò. Poi, raccattata anche la sacca, se ne andò alla volta del castello di Hogwarts. Com'era possibile che un anno sembrasse un secolo? Poteva benissimo ricordare la gioia che risuonava tra le mura della scuola, l'anno precedente, quasi stentava a riconoscerla ora, arroccata alla solita montagnetta, più simile ad una rovina storica che al maestoso castello che era. O forse non era cambiata la scuola, forse era lui a vederla diversamente. Forse erano solamente le circostanze ad esserlo. Forse.
Tanto preso dai propri pensieri si accorse di una voce che urlava il suo nome, solamente quando il padrone non gli si parò praticamente davanti. "Potter! Dannata Morgana!Vieni! Sbrigati! Corri!" ad urlare come un ossesso, era un ragazzo castano che non ricordava neppure di conoscere, forse dell'ultimo anno come lui, o forse più piccolo di uno, non importava in quel momento, James sapeva solo che si era ritrovato la sua presa arpionata addosso e lo stava letteralmente trascinando verso il castello con tutta la forza che aveva in corpo, senza riferire nient'altro che qualche sussulto preoccupato.
James si fermò di botto, costringendo il ragazzo a togliere la sua presa all'avambraccio del moro. "Sei impazzito? Sbrigati!" lo rimbeccò quello, gli occhi fuori dalle orbite, come se avesse a che fare con un matto, poi tornò a trascinarlo via, esattamente come aveva fatto prima. "Fermati, idiota! Ma chi sei? Che vuoi da me? Venire dove?", gli urlò allora il moro, visibilmente irritato, bloccando ancora una volta la stretta disperata del povero ragazzo. Questi sembrò spaesato. "Non lo sai?" gli chiese, incerto ed intimorito, come se stesse parlando ad una pentola a pressione in via di esplodere. James sbuffò rumorosamente, scrollandosi bruscamente di dosso la mano del castano. "Cosa dovrei sapere? Quanto stai fuori di testa?" asserì, per poi superarlo.
Il ragazzo iniziò a balbettare dapprima parole sconnesse, poi, finalmente parve tranquillizzarsi e, più chiaramente possibile rispose: "È importante! Si tratta della Weasley bionda. Non so molto, mi hanno detto di chiamarti, mi hanno detto che avresti capito! Non so altro tranne che ora sta in infermeria, in attesa di essere portata d'urgenza al San Mungo".
James si fermò di scatto, inorridito dalle parole appena sentite, la testa a girargli vorticosamente, le gambe tremanti. "Non dire cazzate", ammonì l'altro, voltandosi quanto basta per vederlo tremare come una foglia giurando la veridicità delle proprie parole.
Allora corse. Lasciò lì il povero messaggero e corse via. Al castello. Era una bugia. Non poteva essere vero, insomma, non poteva. No. Corse ancora. Aveva la mente annebbiata, vedeva solo quel minimo che gli serviva per correre senza cadere a terra, sentiva solo il cuore battere a mille, sapeva solo che non doveva andare così, qualunque cosa fosse successa non poteva essere successa.
Sembrava che l'ingresso litico si allontanasse ad ogni suo passo, che.. stava impazzendo, non poteva essere.
"No, no, no".
Poi, l'infermeria. Vi entrò, il respiro ansante, il corpo scosso dal tremito perpetuo, lo stesso che gli percuoteva l'anima. Dominique. Eccola lì, la sua stella. Era immobile e pallida come la morte, la sua Dominique, tanto da potersi confondere con le candide coperte del letto, il viso angelico tumefatto dalle lacrime, gli occhi chiusi. Eccola lì, Dominique. Immobile, statica, il crine chiaro ed incorniciarle il viso in un meraviglioso quadro funebre. Meraviglioso quanto lei, ma funebre.
"No.." . James si ritrovò incapace di muovere anche un solo passo, eppure voleva raggiungerla, piegarsi su quel lettino e svegliarla, far vedere a tutti che quello era uno stupido scherzo, prenderle il viso tra le mani e baciarle le labbra con così tant'amore da far inorridire il diavolo maledetto che l'aveva spinta lì.
Attorno al letto c'erano tutti i cugini e Scorpius Malfoy. Louis era seduto accanto alla ragazza, le stringeva cautamente la mano ed aveva il viso affondato nelle coperte, in un pianto silenzioso; Lily se ne stava in disparte sul letto di fronte a lei, il capo nascosto tra le mani; Albus stava era vicino a Rose e Scorpius, che e cingeva le spalle di lei, mentre questi, incredula, continuava a ripetere che era tutta una farsa quella faccenda, alternando ogni parola ad un pianto così disperato che pareva completamente folle; i gemelli erano seduti l'uno accanto all'altra e si stringevano la mano così forte che le nocche erano sbiancate, i volti impalliditi rigati dalle lacrime; Hugo era dietro la sorella, sovrastandola con la sua statura, le carezzava i capelli di tanto in tanto, pallido in viso; Molly e Lucy stavano in piedi davanti al letto, troppo sconvolte per poter persino piangere.
In pochi si girarono alla sua presenza e fu solo Rose che, alzando il capo dalla spalla di Malfoy, gli andò incontro e lo abbracciò. James ricambiò l'abbraccio, stringendola forte, affondando il viso nell'incavo della sua spalla. "Ha.. Ha provato a f-fa-are un in-incantesimo a se stessa, ma..", Rose parve scossa da un sussulto così forte che James dovette sorreggerla per evitare che scivolasse a terra. "..q-qualcosa è a..nd..ato storto". Altro singhiozzo. Il ragazzo sentiva di non voler arrivare alla fine del discorso, sentiva di non riuscire a farcela. "È entrata in coma", finì in un rantolo. Gli sussurrò all'orecchio, ancora singhiozzando, il viso arrossato dalle lacrime, il corpo ancora scosso dai sussulti. "Perché? Perché lo ha fatto?"chiese solamente lui, iniziando finalmente a piangere tra le braccia della cugina. Non lo capiva,non lo capiva proprio, il perché, non ce la faceva. Rose si staccò da lui, per inchiodarlo con lo sguardo, le labbra le tremarono.



[1]Ovviamente non è un titolo inventato da me (anche immagino lo abbiate capito da voi), bensì quello

[2] L'Essenza di Belladonna un ingrediente per le pozioni, in particolare per i rimedi omeopatici, utilizzata più che altro dagli studenti del quinto anno :).

[3] Ho messo questa nota perché.. mah, mi andava. Viva le incazzature random! Okay, la smetto.

[4] Squadra inventata da me :)

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: May 09, 2016 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Qualche Lentiggine Di TroppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora