Ogni mattina, da quando mi avevano portato di nuovo alla casa del branco, Nate passava verso le otto ad aprire le tende della finestra e mi toglieva la coperta; all'inizio era difficile abituarsi al risveglio e le prime volte urlavo a squarcia gola per paura che fosse Lakus. Successivamente mi abituai alla sua costante presenza e invece di urlare, imprecavo e mettevo la testa sotto il cuscino cercando di scacciarlo. Mi tirava via la coperta e mi faceva solletico ai piedi scalzi, facendomi alzare di scatto. Quella mattina spalancò le tende, lasciando che la luce calda del sole mi inondasse il viso. Da sotto le palpebre intravedevo la luce. Bofonchiai un'imprecazione e lo guardai ancora assonnata. - io ti ammazzo prima o poi. - sbadigliai stiracchiandomi.
- ma certo principessa. Dai muoviti, fatti una doccia che puzzi. - mi tirò una cuscinata sulla pancia facendomi sorridere. Nate mi dava una quiete che adoravo, mi sentivo al sicuro e libera da tutte le mie ansie e paura. Mi faceva ridere spesso e si prendeva cura di me quando io me ne dimenticavo. Quando cadevo nei ricordi, lui mi alzava con gentilezza e pazienza. Era il primo ad arrivare quando avevo degli incubi ed era l'ultimo ad andarsene quando mi riaddormentavo. Insomma era la mia ancora di salvezza e poco a poco me ne accorgevo sempre di più, ma la cosa brutta è che iniziavo a sentirmi persa senza di lui; dipendevo totalmente e perdutamente da lui. Stavo iniziando a innamorarmi anche se ancora non distinguevo quel sentimento, quello descritto nei libri, cantato nelle canzoni. La malattia e la cura,il bene e il male, la luce e il buio. Sentivo solo il cuore agitarsi quando lui mi era vicino, lo stomaco contorcersi e il senso di mancanza quando lui era lontano da me. Per il mio lupo, invece, era tutto diverso. Lui moriva quando il lupo di Nate era lontano e una forza mi spingeva verso di lui, anche se non potevo seguirla ed era abbastanza frustrante. Ora ero lì a fissarlo, a fissare quello splendido sorriso che gli era nato; le delicate fossette agli angoli lo rendevano irresistibile e dolce. Mi passò una mano davanti alla faccia per riportarmi alla realtà e imbarazzata abbassai lo sguardo. - mi hai capito? - mi chiese d'un tratto, alzai di scatto il viso fissandolo interrogativa. - ti ho chiesto se dopo colazione, ti andava di passeggiare. - iniziò a raccogliere i miei vestiti da terra, era una scena quasi comica, un ragazzone di un metro e novanta; tutto muscoloso e tatuato che raccoglieva dei vestiti, che data la sua stazza, sembravano quelli di una bambina. Sorrisi e mi sistemai alcune ciocche dietro l'orecchio. - non devi raccogliere la mia roba, Nate. - iniziai a muovermi verso il bordo del letto, posando poi i piedi sul pavimento freddo. Gli alzai di scatto ma subito dopo gli rimisi atterra. - mi piace, così posso prendermi cura di te. - scossi la testa e ridacchiai, colpita dalla sua affermazione.
- guarda che non devi prenderti cura di me, posso farcela. Sto meglio, sono passate ormai tre settimane. Sono quella di prima. - alzai le spalle andando verso il cassetto della biancheria.
- giusto, quindi l'urlo di sta notte è una cosa normale. Eddai Roxy, chi vuoi prendere per il culo; certo non me. Non puoi. - appoggiò gli indumenti dentro un cesto bianco, per poi sollevarlo sulla spalla. - fatti una doccia, porto a lavare questi e poi andiamo a fare colazione. Va bene? - mi ero abbassata all'altezza del cassetto, lo guardai in faccia e sorrisi senza dire una parola ma sapevo che aveva capito che era un "si". Appena uscì mi lasciai cadere sul pavimento, stesa, a fissare il soffitto bianco. Sapevo che Lakus era vivo e sapevo che prima o poi avrei dovuto vederlo, affrontarlo ed ero terrorizzata. La sua faccia mi faceva ancora molta paura, se chiudevo gli occhi potevo sentire le sue mani viscide su di me e nelle orecchie potevo udire le sue parole e imprecazioni contro di me. Alcune sere, Lakus si divertiva a picchiare una lupa a caso e violentarla; la trovavo una cosa ripugnante anche perché io sentivo tutto le urla e altre cose. Mi si accapponava la pelle e le lacrime di frustrazione miste a disgusto, scendevano lungo i lati degli occhi finendomi nelle orecchie. Mi alzai di scatto cercando di cancellare tutte le immagini di quel ragazzo, mi mossi piano; come se avessi dei macigni legati alle gambe. Arrivata in bagno apri l'acqua e mi spogliai, il mio corpo stava tornando quello di prima. Nate mi costringeva a mangiare regolarmente, pasti abbondanti e soprattuto grassi. A volte la cuoca mi faceva un'insalata, si lamentava sempre con Nate e alla fine litigavano per il mio modo di mangiare, alcune volte quell'apprensione mi dava fastidio e se c'era una cosa che dava sui nervi era il fatto di non poter decidere cosa mangiare. Dopo tre volte di litigate, Nate cedette e finalmente incominciai a decidere il mio pasto, sempre sotto la supervisione del mio Lyn. Entrai in doccia e l'acqua calda mi sciolse i muscoli tesi, lavò via il sudore e i pensieri. Mi lavai la faccia e un sorriso mi spuntò quando sentì il fischiettio di Nate, che significava che era entrato di nuovo senza permesso e che mi stava aspettando. - Nate? - urlai per sovrastare l'acqua.
- dimmi Roxy. - entrò in bagno di slancio e per poco non strillai, appena vide che era trasparenti il vetro che evitava all'acqua di bagnare qualunque cosa. Si coprì gli occhi scuri che adoravo.
- volevo solo assicurarmi che fossi tu, non dovresti entrare nella mia stanza quando ti pare. - sbuffai iniziando a darmi il bagno schiuma al melograno.
- scusa ma ormai è abitudine. Adesso ti metto un po' in ordine la stanza. - indicò dietro di se sorridendo, tenendo ancora la mano davanti agli occhi.
- no non farlo, lo faccio poi io. Mi tiene impegnata la testa, mettere in ordine. - mi sciacquai per bene, lui annuì e sentì il rumore del mio letto quando qualcuno ci saliva sopra. Chiusi la doccia e mi avvolsi in un asciugamano che mi arrivava alle ginocchia.
- ti muovi ho fame! - sbuffai alzando gli occhi al cielo.
- senti vai da solo se hai fame. - ribattei asciugandomi le gambe per poi infilarmi la biancheria intima.
- no, voglio aspettarti. Dopo non ho nessuno da infastidire. - il suo tono divertito mi fece sorridere ma tornai subito seria, non potevo sempre sorridere come un'idiota ad ogni sua parola; sembrano cretina. Scossi la testa mi guardai allo specchio, dentro di me il mio lupo mi derideva e scherniva. Sbuffai chiudendo gli occhi. Coperta sempre dal l'asciugamano tornai in camera a prendere una tuta pulita. Ormai non mi andava neanche più di vestirmi decentemente o sembrare carina, me ne fregavo di tutto e di tutti. Corsi in bagno e mi vestì senza mai rivolgere lo sguardo allo specchio, temevo che guardandomi potessi cadere; vedermi voleva dire ricordare. Ricordare il dolore, il male sia fisico che psicologico, le mani di una persona non gradita, le labbra e la voce. Tutto mi dava il volta stomaco. Sul lavandino c'era un cerchietto, lo presi sistemandolo in modo che i capelli rimanessero all'indietro e così facendo sollevai il cappuccio per nascondermi, proteggermi. Uscì che Nate stava steso sul mio letto, sorrisi appoggiandomi alla porta e incrociando le braccia al petto. - no ma prego, fai come se fosse camera tua. - esordì facendolo, alzare dal letto imbarazzato. Scossi la testa avviandomi poi alla porta. Sentì la sua presenza dietro di me, spalancai la porta e uscendo nel corridoio respirai profondamente. Ero pronta ad affrontare tutti gli sguardi e i sussurri ma non ero pronta allo sguardo carico di preoccupazione di Helen. In quelle settimane era apprensiva pure lei, quando mi vedeva sola correva letteralmente da me; non è che non apprezzassi la sua compagnia anzi, ma qualche volta avrei preferito rimanere sola, in silenzio a godermi l'aria che un tempo mi era stata negata. L'unico che capiva la mia necessità di silenzio e di tranquillità era il mio amico fidato, Athos. Lui era la mia ombra, mi accompagnava in giro rimanendo al mio fianco ma senza mai parlare oppure si limitava ad ascoltarmi quando magari dicevo qualcosa riguardo al panorama. Avevamo un posto solo nostro, prima era solo suo e un giorno con mia grande sorpresa aveva deciso di renderlo anche mio. Era una quercia antica di secoli, con tantissimi rami, stava proprio al centro del bosco a nord della casa. Un posto dove regnava solo il silenzio e gli animali del bosco, le persone ci passavano di rado ed era il bello di quel posto. Mi appoggiavo al tronco tirandomi il cappuccio e chiudevo gli occhi, ascoltando ciò che mi circondava e rilassandomi.
- Ehi ci sei? - la voce di Nate mi ripescò dai pensieri riportandomi alla realtà. Voltai lo sguardo su di lui e sorrisi annuendo piano. Sospirai di nuovo e mi strinsi nella felpa, avvertendo la voglia di solitudine.
- ti dispiace se vado a passeggiare da sola? - si passò una mano tra i capelli lunghi ormai quasi alle spalle e lisciandosi la barba ispida che si era fatto tre giorni prima. Annuì e mi sorrise rassicurante.
- cosa ti va di mangiare? - chiese d'un tratto mentre camminavamo in silenzio, mi sentivo un po' in colpa ma sapevo che lui non era ancora riuscito a capirmi nel profondo e un po' mi rendeva triste anche se non potevo pretendere troppo da un licantropo alpha. Alzai le spalle non sapendo cosa dire, non avevo molta fame ma non volli ammetterlo, si sarebbe preoccupato e avrebbe iniziato il discorso "il cibo è importante". - i Pancakes ti vanno bene? Quelli al cioccolato oppure quelli semplici con lo sciroppo? - gesticolava cercando di farmi sorridere.
- quelli normali vanno bene, il cioccolato la mattina non riesco a digerirlo e poi li fa troppo pesanti; il mio stomaco non regge. - ridacchiai e mi accorsi la luce nei suoi occhi.
Arrivammo in cucina, la cuoca si muoveva avanti e indietro dando ordini. Il fratellino di Nate sostava sulla sedia facendo ciondolare le piccole gambe. Indossava dei pantaloncini militari e una maglia rossa. Era così tenero con i capelli arruffati da appena sveglio. - due pancakes normali con succo d'arancia e sciroppo in abbondanza, grazie! - strillò allegro Nate appoggiando la sua mano calda al centro della mia schiena. Dopo pochi minuti il cibo arrivò, mangiai con la mia solita lentezza ed arrivata a due ero già piena. Così bevvi il succo e mi alzai ringraziando la cuoca e salutando Nate che mi sorrise con la bocca piena. Il fratello non aveva aperto bocca ma appena voltai l'angolo iniziò a conversare. Non me la presi, ci ero abituata. Uscì all'aria e mi sentì meglio, mi immisi nel bosco stando attenta a non cadere e a non beccarmi rami in faccia. Arrivata alla quercia mi sedetti alla base, appoggiando la schiena al tronco morbido ma robusto iniziando poi a giocare con i fili d'erba; senza pensare solo stando in silenzio. Sapevo che Nate era vicino, potevo sentirlo ma ero certa che non si sarebbe avvicinato, anzi mi avrebbe osservato come faceva sempre; tenendomi d'occhio con i suoi occhi da lupo e i suoi sensi acuti. C'erano anche altri lupi, della squadra di Nate, che facevano il controllo del territorio mattutino. Nessuno mi si avvicinava, non so perché ma per il momento ero felice che non lo facessero; non avevo voglia di iniziare una conversazione con nessuno, anche perché non avrei saputo cosa dire.
Appoggiai la testa dietro di me e osservai la luce filtrare tra i rami, già piccola avevo iniziato ad apprezzare la solitudine; unica compagna fedele e saggia. Molto spesso giocavo da sola, oppure curavo il giardino faticando così tanto che alla fine del lavoro, dormivo per il restante tempo della giornata. Il sole, nel giardino, mi batteva addosso ma non mi dava problemi anche se preferivo la notte. Di notte molto spesso scendevo dalla mia camera, che condividevo con mia cugina, per salire su un'albero e parlare con luna aspettando una risposta; le raccontavo delle mie passione e di ciò che mi succedeva in casa. Molti cugini mi reputavano strana ma non mi era mai importato.
Amavo me stessa, perché ero perfetta così com'ero.
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Dynasty. (revisione)
Loup-garouNata da un padre licantropo e la madre umana. Ribelle, cocciuta, malinconica, solitaria e scorbutica. Tutti comportamenti di una lupa giovane, serve qualcosa che la calmi. Il suo contrario. Dopo un incidente sua madre la costringe ad andare dal pa...