"Pulcino, ti decidi a scendere o no?"
Il display del cellulare, appoggiato su uno scatolone già chiuso con lo scotch da pacchi, s'illumina all'arrivo del messaggio di Isaac.
Lo prendo al volo, sorridendo, e poi infilo la giacca, stando ben attenta a non far scricchiolare le assi del corridoio.
In punta di piedi, aggrappata al corrimano, faccio le scale più silenziosamente possibile: se i miei genitori scoprissero queste passeggiate notturne al parco mi legherebbero al letto.
Una volta fuori, mi getto fra le sue braccia già aperte e gli chiedo scusa per il ritardo con un sorriso.
« Ti fai sempre aspettare. » Isaac mi pizzica il naso in modo giocoso, brontolando quel rimprovero fra i miei capelli corti.
« Come ogni donna che si rispetti. » replico, alzandomi sulle punte per arrivare alla sua bocca.
« Fa' piano. » mi avverte in un sussurro, indicando il taglio fresco a metà del labbro inferiore.
« Un bacino e passa tutto. » gli faccio l'occhiolino e lo sfioro appena, incamminandomi poi, mano nella mano con lui.
Isaac tira su il cappuccio della felpa e quasi si fa trascinare; sul suo viso galleggia l'aria assente di chi sta pensando ad altro e nei suoi occhi vedo passare le immagini sbiadite dello scontro cui è sfuggito per un soffio.
Ci sono state sere in cui quell'impresa non gli è riuscita; sere in cui non è venuto sotto casa mia e che io ho speso alla finestra a guardare la luce spenta nella sua stanza.
Immaginavo di poter fare irruzione nel sottoscala e liberarlo dalla sua prigione, ma lui mi ha sempre impedito un qualunque coinvolgimento.
« Non deve succederti nulla. Non per colpa mia. Se qualcuno intervenisse, non cambierebbe nulla. Lui non smetterebbe. » continuava a ripetermi come fosse una filastrocca imparata a memoria all'asilo.
Non smetterebbe. Non smetterà mai.
Alzo gli occhi in alto, verso il cielo sgombro in cui le stelle non si distinguono a causa della luce artificiale dei lampioni, e lascio che sia lui a guidarmi nella giusta direzione.
Non piove.
Oggi no.
Veramente da un bel po', ormai.
Niente pioggia d'acqua, niente pioggia di vetro.
Eppure l'albero sotto cui, infine, ci sediamo è lo stesso, tanto che quasi m'illudo che questa sia ancora la sera in cui Isaac mi ha baciato per la prima volta.
Invece a quel bacio ne sono seguiti altri e altri ancora, fino a non poterli più contare sulle dita, tanti erano.
Troppi. Sempre troppo pochi.
Mi rannicchio al suo fianco e resto in quella posizione fino a quando il calore del suo abbraccio non mi penetra sottocute, infondendomi il coraggio necessario a schiudere la bocca.
C'è un qualcosa che da giorni mi porto dentro e che non posso più tacere.
Il suo peso aumenta in modo proporzionale al tempo che scorre, sottraendolo a quello che mi resta.
Per quanto male faccia -a lui, a me, a noi- ha il diritto di sapere in anticipo quel che sta succedendo, senza doverlo poi apprendere a giochi fatti.
« Devo dirti una cosa, Isaac. » sussurro e alzo gli occhi nei suoi, che sembrano universi infiniti colorati di stelle e nuvole celesti.
Lui mi sorride e poi fa una smorfia per la ferita sul labbro inferiore che si è riaperta.
Il suo mostro è instancabile e lui, nonostante venga ferito e maltrattato fin da quando ha memoria, non si ribella perché in fondo suo padre è tutto quello che ha.
Credo che a modo suo gli voglia bene, anche se poi le conseguenze di quell'amore malato si palesano sotto forma di ecchimosi, abrasioni e contusioni un po' ovunque sul suo corpo asciutto.
« Tutto quello che vuoi, pulcino. » posa le labbra calde sulla mia tempia ed io accarezzo le sue nocche sbucciate con dolcezza.
Sospiro, bevo le mie stesse lacrime e tento di parlare.
« Io... come faccio? Non ci riesco. Ci provo, ma le parole non mi escono dalla bocca. »
Lui si scosta da me con uno sguardo palesemente preoccupato ed io mi torturo le dita, cercando di non far venire a galla i segni del pianto che sta sfociando nella mia gola.
Mi ero riempita le braccia di pizzichi, quando i miei genitori mi avevano comunicato la notizia, ma non mi ero svegliata.
Non ero nel mio letto, non dormivo.
Ero in cucina e stavo ascoltando la peggiore prospettiva di realtà mai udita in vita mia.
A nulla erano servite le mie proteste, le porte sbattute, l'isteria e i rifiuti di mangiare: la loro decisione era irrevocabile.
Per giorni avevo cercato di convincermi di essere finita in un incubo da cui era solo più complesso svegliarsi: credevo fosse tutta una questione del trovare il giusto innesco del risveglio e nel frattempo fingere che tutto scorresse in modo normale.
La mia vita sarebbe continuata senza deviazioni improvvise o sterzate dell'ultimo minuto, mi ripetevo in una specie di litania instancabile... poi avevo visto scatoloni, riempiti di pezzi della mia vita, ammassarsi all'ingresso e mi ero dovuta arrendere.
« Mi stai spaventando, Violet. Che succede? » le sue mani mi contornano il viso, scostando i capelli dalle guance.
Mi fissa smarrito ed io non riesco a reggere quella disperazione nelle sue iridi troppo a lungo.
Abbasso lo sguardo e mi mordo l'interno della guancia con ferocia.
« Domani sera parto. »
Isaac abbozza un sorriso, uno di quelli forzati che per anni gli avevo visto rivolgere ai compagni di classe quando provavano a coinvolgerlo nelle loro battute scadenti e nei loro scherzi idioti.
Lui non era mai stato parte della massa. Non aveva voglia di recitare la parte dello studente qualunque, senza un solo problema al mondo: era troppo impegnato a cercare di non essere mangiato vivo dai suoi stessi demoni.
« Vai a trovare qualche parente fuori? Quando torni? » chiede con un filo di voce così sottile che non servirebbero forbici per spezzarlo.
Si trancia da solo sul finale.
Tace, trattenendo il respiro.
Scuoto la testa e un paio di gocce cadono sulle mani, che tengo annodate in grembo fino a non sentire più le punte delle dita. Fino a farmi male, perché vorrei che un dolore fisico coprisse quel che mi sta dilaniando dentro, graffiando le pareti della cassa toracica con artigli affilati.
Piove?
Non lo so. E' acqua quella sul mio vestito e sulle mie nocche. E anche sulle mie guance. Acqua salata.
Piove, adesso lo so. Piovono lacrime.
Le mie.
« Non torno. Non torno più. »
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Pioggia di vetro || Isaac Lahey
FanfictionPremessa: LA STORIA NON È MIA, ma di questa ragazza di S T R A N G E G I R L, un'autrice di EFP. Alla fine della intro troverete il link alla storia su EFP e anche il profilo dell'autrice. (Ambientata durante la seconda stagione del telefilm) Tutti...