Pioggia di parole

543 30 0
                                    

« Violet! Violet, non correre! »

Mery annaspa alle mie spalle, il respiro così pesante che risulta spezzato.

Io corro fra i corridoi, incurante delle occhiatacce che ricevo dagli infermieri, il cuore in ansia che non si disturba neppure a battere: una sua pulsazione equivarrebbe ad una timida speranza e non posso concedermene.

Lo scenario dipinto da Mery al telefono -condito poi di dettagli nel tragitto dall'aeroporto all'ospedale di Beacon Hills- ha solo suscitato terrore e panico in me, che ora scorrono prepotenti nelle mie vene mischiati col sangue.

Devo trovarlo, devo assicurarmi che stia bene.

E' l'unico pensiero che mi rimbomba in testa e nelle orecchie e in gola e nella cassa toracica.

Sposto malamente una signora in carrozzella e sguscio fra due dottori, che indossano un camice da sala operatoria, dirigendomi verso la reception con gli occhi che bruciano e le labbra che a stento trattengono il suo nome.

Isaac.

Mery mi raggiunge, incespicando sui lacci sciolti delle scarpe, e mi blocca per una spalla, spingendomi contro un muro.

E' senza fiato e ha il viso scavato e pallido, occhiaie rossastre sotto gli occhi e sudore fra i capelli. A fatica la riconosco. E, di sicuro, a fatica lei riconosce me.

Io non so chi sono, senza di lui.

« Mi spieghi perchè hai voluto precipitarti qui non appena atterrata? Credi che un... » si guarda attorno con circospezione e deglutisce sonoramente prima di proseguire, abbassando ulteriormente il tono di voce « ... un licantropo abbia bisogno di un'iniezione per rimettersi in sesto? Non so neppure se l'ago riuscirebbe a bucare la sua pelle! » strepita in un sibilo strozzato, gesticolando e scuotendomi per un braccio.

Atona, mi sento risponderle:

« Ti stai confondendo con Clark Kent. »

Poi mi libero della sua stretta e mi sporgo oltre il bancone dell'atrio, dove diverse infermiere parlano in modo concitato al telefono o battono frettolosamente sulle tastiere dei computer.

Nessuna mi presta attenzione e, in breve tempo, vengo spintonata via da pazienti lamentosi, che gemono di dolore con fasciature improvvisate, e medici agitati, che rispondono al cercapersone.

« Violet, maledizione! Dimmi che cosa facciamo qui! » Mery mi ghermisce per un gomito e mi fa voltare, gli occhi accesi d'irritazione.

« Io... io non lo so bene, ok? E' l'unico posto che mi è venuto in mente. L'unico dove una persona dovrebbe essere se viene portata via in barella. L'unico dove possono aver portato Jackson Whittermore, anche se non ho idea di come sia invischiato in tutta questa... Aspetta! » esclamo di colpo, indicando una porticina sulla destra che si è appena chiusa.

Muovo qualche passo in quella direzione, ma lei mi blocca ancora.

« Cosa? Che hai visto? Oddio, non so se lo voglio sapere. La tua faccia non è affatto rassicurante. »

« Vieni con me, devo controllare una cosa. » l'afferro per un polso e me la trascino dietro, incurante delle sue proteste e dei suoi tentativi di frenarmi.

Nella confusione generale nessuno bada a noi, così riusciamo ad intrufolarci indisturbate dentro la stanzetta che reca il cartello "Obitorio".

« Perchè siamo qui? Non mi piace, non mi piace per nie... » Mery scuote energicamente la testa e la treccia, con cui ha legato i lunghi capelli, le frusta le guance.

La sua lamentela viene interrotta da una voce femminile, tesa e sorpresa al contempo.

« Ragazze! Cosa pensate di fare? » Melissa McCall compare davanti a noi, tirando una tenda per coprire un sacco nero adagiato su un tavolo operatorio d'alluminio.

Pioggia di vetro || Isaac LaheyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora