Capitolo 1

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  Ho letto il mio destino e ho cambiato la trama 

Perché ho avuto fame prima della fama 

E voglio sempre quello che non ho

Sapere quello che non sò

Salgo sul prossimo volo giuro ti penserò.


E scovando una cartella persa tra le miriadi cartelle del computer, trovo una cartella, anzi, la cartella, quella cartella per eccezione che riempie la mia vita, quella cartella piena di foto, piena di lui, di me, di noi. Ormai sono passati anni dall'ultima volta che l'ho visto, dall'ultimo addio. Mi manca, la sera non riesco neanche a chiudere occhio a causa del vuoto che mi attanaglia i polmoni, ho soffocato un miliardo di urla in quel cuscino e quasi mi ci sono affezionata così tanto da non riuscire a comprarne uno nuovo nonostante sia vecchio vent'anni.

Mi sembra ieri quando mi ha salutato con un futile bacio sulla guancia, abbandonandomi a questa terra perché lui doveva seguire i suoi amici, i suoi fratelli, in giro per il mondo, lasciandomi qua, da sola, sì, da sola perché la mia migliore amica ha ricevuto una borsa di studio e pure lei mi ha lasciato qua, ma in realtà sono stata io a spingerla ad andare a Londra per inseguire i suoi sogni, per farle continuare a vivere, sarebbe stato da egoista tenerla qua e tenere anche lui qua. Ognuno deve farsi la sua vita e il fatto che io, il massimo che sia riuscita a fare è stato trasferirmi da sola e trovare un lavoro,mi rende solo una stupida. Ho paura, ho paura di affrontare le cose, ma penso proprio di dover iniziare la mia vita, per me, per far capire a tutti che la mia vita non è finita quando lui è andato via, lasciandomi da sola, anche se è così, però devo reagire e sarà quello che farò da ora in poi.
Ho messo da parte tantissimi soldi da quando ho iniziato a lavorare due anni fa, quindi penso proprio che iniziare a fare un piccolo viaggio di pochi giorni sarà il minimo che io possa fare per me stessa, per iniziare una nuova vita e cambiare completamente libro.

Devo preparare la valigia, metterò le solite cose, alla fine, sai cosa importa degli abiti eleganti e dei tacchi. Vago su tutto ciò che potrebbe essermi utile quando cerco qualcosa sullo scaffale nel muro della mia stanza. Il Carillon che mi regalò lui quando, quella notte a casa sua, non riuscì a prendere sonno. Lui lo sapeva, lui lo sapeva che io prendevo dei sonniferi per riuscire a dormire, lo sapeva che prendevo i calmanti quando avevo degli attacchi di panico e mi trovavo da sola, lo sapeva che era l'unico a riempire il mio vuoto, lo sapeva che andandosene via avrebbe lasciato un vuoto dentro di me che nessun altro sarebbe riuscito a colmare, lo sapeva perché eravamo stati in grado di conoscerci a fondo in pochi mesi. Allora prendo il carillon e so che lo porterò con me, sennò non riuscirei a dormire neanche in quel letto sconosciuto e l'ansia sarà triplicata.

Non mi sento pronta, ma devo farlo.

Passo il check-in, fanno i controlli che spetta a loro fare e poi mi lasciano andare, afferro la valigia e mi incammino verso l'aereo. Sto lasciando davvero tutti, senza avvisare nessuno, senza voler nessuno qui a salutarmi, perché vedere gente in lacrime è l'ultima cosa che proprio voglio vedere. Gente che non mi ha mai dato niente, gente che è rimasta lì a far parte della mia vita solo per vedermi crollare, per farmi crollare, per godere loro a spese mie. Mi farà benissimo allontanarmi da qua, lo so. Passano le ore e io non riesco neanche a chiudere occhio su questo sedile scomodo e una donna affianco che non smette di fare domande. Ormai sono arrivata a destinazione, mi riprenderò le ore di sonno una volta arrivata in hotel.

Cammino per l'aeroporto cercando la mia valigia grigio scuro e quando la trovo emetto un sospiro poco consono, mi avvio verso essa, la afferro e inizio a camminare fuori da quell'ammasso di gente in lacrime.

L'hotel è carino, mi guardo attorno e vedo che è tutto meraviglioso, sono a Londra, la città dei miei sogni e ancora non riesco a crederci, ma sento ancora un vuoto dentro, è da stupidi, lo so, sapevo già che non mi sarei sentita bene, che non avrei riempito il vuoto in poco tempo, ma ci speravo, ci speravo davvero tanto. Lascio la valigia dentro la stanza e mi affretto a scendere con lo zaino alle spalle come una quindicenne, nonostante io abbia ventidue anni, la cartina in mano ed esco dall'hotel guardandomi un po attorno. Cerco di ambientarmi ma fallisco miseramente quindi proseguo a piedi, come se fossi attirata da qualcosa, ma davvero non c'è nulla che mi tiene ferma, non c'è un posto in particolare che voglio visitare, voglio girarmi tutta la città, voglio ricordarmi di questo clima non molto diverso da quello di Bradford.

Arrivo ad un parco enorme e guardando la cartina capisco che è ciò che pensavo fosse: Hide park.

Inizio a camminarci attorno dove trovo bambini che rincorrono altri bambini, gente che si allena, mamme che parlano tra loro, ragazze che ridono spensierate, la vita ecco.

Mi siedo sul prato fortunatamente non bagnato e inizio a guardarmi attorno. Cosa voglio fare della mia vita? Voglio vivere ancora a Bradford? Voglio ancora stare ancorata in quel posto come ho fatto fin ad ora? Cambiare aria mi sta facendo bene, almeno fino ad ora, in più ci sarà lei in giro, la sua borsa di studio è qua quindi sarà da qualche parte, basterà solo chiamarla, ma non ora, forse tra poco, non ho voglia di cercare la gente, ma lei capirà perché mi conosce e sa che non mi piace fare le cose di fretta.

Il sole inizia a calare e si fa più freddo e il parka non mi basta più per stare bene, mi alzo da terra e inizio a focalizzare la strada del ritorno. Non so cosa farò stasera, ma sono così stanca a causa del volo..forse una chiamata ad Alisia la farò, forse però.

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