Capitolo 3

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3.


Camminammo per un bel po', svoltando così tante volte che, alla fine, difficilmente avrei saputo dire in che parte di Londra mi trovavo.

Il traffico era caotico come sempre, i rumori infinitamente più fastidiosi dell'odore pungente dei combustibili bruciati e dell'olezzo proveniente dalle fogne.

Ancora un po', e avrei cominciato ad urlare così forte da distruggere i timpani delle povere vittime sacrificali che mi stavano accanto, vale a dire Duncan e Gwen.

Quando però raggiungemmo un bellissimo locale nei pressi di Fitzrovia, dimenticai il mio malumore e sospirai.

Quel luogo era davvero bellissimo.

Lasciai che lo sguardo vagasse in lungo e in largo per il meraviglioso ristorante in cui stavamo entrando e che, in tutta onestà, non mi sarei aspetta di visitare proprio in quel momento.

Crazy Bear.

Non avevo idea del perché del nome, visto che non mi sembrava vi fossero degli orsi impazziti in giro per il locale, tutt'altro.

L'ambiente era più che elegante, di quella raffinatezza quasi esagerata che mette inizialmente a disagio.

Le pannellature ai muri, in lucido metallo di diverse tonalità, davano a quel luogo un'aria vagamente liberty, e solo un pizzico decadente.

Accostati alle vetrate dell'ingresso, come addossati alle lucide pannellature, bei divanetti di velluto scuro si intervallavano a piccoli tavolini rotondi, su cui splendevano soffusi abat-jour.

Deglutii a fatica, sentendomi un'anatra in uno stagno di splendidi cigni – jeans e maglietta dei Red Socs non erano il massimo per un posto del genere.

Volgendo uno sguardo disperato in direzione di Duncan, sussurrai: "Ma sei sicuro che non ci cacceranno fuori a pedate?"

Lui rise sommessamente e Gwen, ammiccando al mio indirizzo, mi informò a bassa voce: "Stai tranquilla. Siamo amici dei proprietari. Non avranno nulla da ridire sul nostro abbigliamento."

Sperai non stesse raccontando una fandonia solo per farmi stare calma, ma non percepii alcuna menzogna, in lei.

Non che il mio radar funzionasse granché, con gli umani.

Dopo aver dato un'ultima occhiata all'ingresso del locale da cui eravamo appena passati, mi accodai a loro cercando di diventare trasparente.

Un cameriere dalla livrea scura e il passo tranquillo ci diede il benvenuto, scortandoci a un tavolo prenotato per quattro persone.

Curiosa, mi accomodai nascondendo la sacca sotto i piedi e, rivolta ai miei compagni, chiesi a bassa voce: "Chi aspettiamo?"

"Il mio Fenrir, wic... Brianna" mi disse Gwen, ammiccando per quell'ennesimo quasi errore.

Sapevo che stava facendo una fatica tremenda per accontentarmi perciò sorrisi e asserii: "Gwen, chiamami pure come vuoi. Risponderò in ogni caso."

"Grazie. Mi sembra quasi di mancarti di rispetto, cancellando a piè pari i tuoi titoli, anche se hai chiarito benissimo che non è così" ridacchiò lei, prima di alzare lo sguardo e mormorare: "Eccolo."

A onor del vero, pur se lo avevo sentito un paio di volte al telefono, non avevo ancora visto Fenrir di Londra.

L'aura di Joshua Ridley, capoclan di uno dei più numerosi branchi di tutta la Gran Bretagna, era completamente azzerata, chiaro indice del fatto che giungeva da noi in pace.

L'eredità di Fenrir - Trilogia Werewolves Volume 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora