Capitolo 20

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20.


Quando riaprii gli occhi, scorsi la tela color cannella del sedile dell'aereo dinanzi a me.

Le luci del corridoio centrale erano soffuse e una hostess, professionale e compita, stava chiedendo ai passeggeri se avessero bisogno di un cuscino.

Fuori dal finestrino, la notte.

Stavamo sorvolando il mare cupo e scuro per tornare a casa ma, prima di rimettere piede sull'amena terra inglese, avremmo dovuto fare scalo a Oslo.

Lì, avremmo atteso la coincidenza con Londra e, finalmente, avremmo potuto dire di essere giunti a destinazione.

Purtroppo, essere portate ai confini estremi dell'emisfero boreale comportava dei problemi logistici non da poco.

Uno di questi, erano gli spostamenti aerei.

Solo poche compagnie facevano scalo alle Svalbard, e trovare abbastanza biglietti per imbarcare tutti in un'unica tornata, era già stata un'impresa titanica di per sé.

Fortunatamente, di tutto l'aspetto logistico si era occupata Beverly che, nel giro di mezza giornata, aveva risolto ogni cavillo e trovato abbastanza posti per tutti sulla compagnia di bandiera norvegese.

Come avesse fatto, non mi era dato sapere, ma tant'era.

Al mio prossimo viaggio, le avrei chiesto lumi. Sperando fosse una gita di piacere, e non un incontro con l'Apocalisse.

Apocalisse che, a dirla tutta, non avevamo ancora sventato del tutto.

I berserkir avrebbero impiegato poco tempo a scoprire quel che era successo a Lot e gli altri e, di tutto, saremmo stati incolpati noi lupi.

Da lì a uno scontro diretto, sarebbe occorso pochissimo.

Duncan, seduto accanto a me e apparentemente sopito, si piegò quel tanto per sussurrarmi: "Non pensare così forte."

Sobbalzai leggermente prima di sorridergli e dire per contro: "Scusa, Duncan."

"Di nulla, principessa. So quanto tutto questo ti metta in ansia, ma vedremo di risolvere anche questo problema."

"Sembra crescano come funghi, da quando stiamo insieme. L'hai notato?" brontolai, appoggiandomi alla sua spalla e avvolgendo un mio braccio attorno al suo.

Lui annuì, sempre tenendo gli occhi chiusi e, pacato, dichiarò: "Vuol dire che il premio finale sarà maggiore."

Sgranai gli occhi per un momento, basita, prima di esalare a bassa voce: "Premio? E di che premio si tratta?"

"Tu" replicò, aprendo un occhio per guardarmi ironico prima di aggiungere: "Mi sembra un ottimo motivo per continuare a giocare."

"Per te è un gioco?" bofonchiai, incredula.

"Affatto. Ma comincio a pensare che, per altre entità più grandi di noi, lo sia. Io, comunque, farò in modo da render loro la vita il più difficile possibile. Saremo anche pedoni su una scacchiera, ma anch'io so giocare bene" asserì il mio Fenrir, tornando mortalmente serio.

Anche Loki aveva parlato di una scacchiera, e ci aveva paragonati a tanti pedoni da muovere a suo piacimento.

L'abbinamento non mi era piaciuto, ma sapevo che in parte era veritiero.

Per mantenere l'equilibrio cosmico, qualche mossa doveva necessariamente essere governata da coloro che avevano una visione d'insieme più ampia di noi mortali.

L'eredità di Fenrir - Trilogia Werewolves Volume 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora