Capitolo 4

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Era mattina.
Questa notte mamma aveva dormito, mi raccontava zia per telefono.
Lei peró era molto stanca. Non aveva chiuso occhio perchè aveva paura che si svegliasse e urlasse.
Mentre Lei parlava per telefono, Io ero intenta a fare i servizi per casa.
Ogni volta che ci ritornavo, infatti, ci tenevo a tenere tutto in ordine essendo mia mamma fissata con le pulizie.
Non volevo che, tornando a casa, dovesse sforzarsi per rimettere in ordine ció che Io e papà avevamo distrattamente distrutto o rovinato in casa.
Per questo, mi svegliavo molto presto e , dopo aver pulito tutto da cima a fondo, mi preparavo e andavo da Lei. Pronta per un'altra nottata.
Li erano davvero nottate. Mamma non stava bene e sembrava non migliorare.
I giorni seguenti, pur riuscendo a mettere i piedi a terra e a camminare molto lentamente, era stanca, aveva perso peso ed era psicologicamente a terra.
Quando io ero con Lei, per ore e ore passeggiavamo nel corridoio. Non volevo che si sedesse, amavo vederla camminare pur portando con se i famosi sacchetti con i relativi tubicini che le traforavano l'addome. Zia Olimpia le aveva portato una busta rossa e per comodità i sacchetti li mettevamo li dentro, così per mamma era più comodo e meno stancante camminare.
<<Mi sento stanca, sediamoci>>.
Accompagnai mamma sul letto, e la aiutai a stendersi.
<<Mamma, mangia qualcosa. Se vuoi te lo preparo a casa e domani ti porto quello che vuoi. So che il mangiare dell'ospedale non è il massimo, ma non puoi rimanere a stomaco vuoto>>.
Mamma si stese, coprendosi con il lenzuolo bianco.
<<Ora non mi va, dopo>>.
<<Mamma, sono 7 giorni che dici dopo. Devi mangiare qualcosa, se no non ci faranno mai andare via da qua dentro>>.
Ed era così. La degenza che le avevano dato era di circa 10 giorni, ma i medici avevano notato la sua perdita di peso e se non avesse preso il principio di mangiare, non ci avrebbero mai permesso di tornare alle nostre vite.
<<Ascoltami. Vado al ristorante e ti porto un bel piatto caldo. Che ne dici?>>.
Mamma non rispondeva.
<<Mà, sono seria.. Devi mangiare qualcosa, o qui resteremo per mesi. Fallo per me.>>.
<<Ora no, tra un'oretta>> disse mamma, e nemmeno il tempo di parlare che già dormiva profondamente.
Le giornate in ospedale non passavano mai. Oramai avevo stretto amicizia con tutte le infermiere del reparto, difatti spesso la mattina passavano a salutare prima mamma e me e poi cominciavano il loro giro di visite.
Ció accadde soprattutto perchè le settimane trascorse in quella stanza divennero presto due, e di uscire non se ne parlava.
Mamma non mangiava, continuava a sostenere che la fame non le veniva, ma nessuno si spiegava perchè.
Le sue analisi erano nella norma e la ferita, una grandissima cicatrice che le divideva a metà tutto il ventre, non era infetta.
Cosa non andava?
Mamma nella stanza dormiva , e io decisi di lasciarla per un secondo e cercare il suo medico.
Aveva appena finito di operare e si era recato nel suo studio per parlare con la famiglia del paziente.
Anche mamma era una paziente, e io dovevo capire cosa le stava accadendo .
Aspettai pazientemente per mezz'ora, e da lontano Lui vide che lo stavo fissando.
Noncurante, finì di parlare e chiuse la porta della stanza, facendo finta di non vedermi ma Io, che ero rimasta li per molto tempo, feci in tempo a fermarlo. Evidentemente, l'educazione non era il suo forte.
<<Dottore, mi scusi>> dissi a voce alta, correndo dietro al suo lungo camice bianco che copriva la tuta blu della sala operatoria.
Lui si giró verso me, quasi con fare stupito.
Non era solo, ma circondato dalla sua equipe di belle donne chirurgo, magari anche ricche e famose.
<<Mi dica>>.
<<Senta dottore, mi avete detto che l'operazione di mamma è andata bene.. Ma voglio capire, perchè non mangia? Continua a ripetere che ha lo stomaco pienissimo, ma sono due settimane che non tocca cibo>>.
Prese la cartella di mamma, e diede un'occhiata agli ultimi risultati.
<<Le programmo un'ecografia a breve, vengo a controllare stasera>>.
Chiuse la cartella e andò via.
Nella stanza mamma dormiva ancora.
Quel giorno ero particolarmente stanca, forse perché mamma aveva scambiato il giorno per la notte e quindi la sera, spenta la Tv, I miei occhi si chiudevano mentre i suoi si aprivano.
La notte , però, era per me un incubo.
I dolori di mamma, dovuti all'operazione o alla malattia, si arcuavano e le sue strilla si sentivano per tutto il corridoio. Tante volte trascorrevo le ore notturne a leggere i miei romanzi di letteratura inglese, o a contare le gocce di antidolorifico che dalla boccettina scendevano nelle vene di mamma.
I secondi, così, trascorrevano più velocemente e potevo controllare se qualcosa poi andava storto.
I miei pensieri peró furono ben presto interrotti dal bip dell'ecografo.
Un dottore alto, abbronzato e magro entró portando con se questo enorme aggeggio, e chiuse dietro di se la porta della stanza.
<<Buonasera, sono il dottor. Andrea Franzese. L'equipe del dottor. Masoni mi ha detto di venire qui per effettuare un'ecografia>>.
Mi avvicinai a Lui per stringergli la mano: <<Buonasera dottore. Si, è per mamma>> dissi sorridendo.
Lui rise, e mi indicó la porta socchiusa <<Lo avevo immaginato.. Se puoi aspettare fuori peró, sarebbe meglio.>>.
Bene, pensai. Avevo il tempo di prendermi un caffè che sicuramente mi avrebbe fatto bene. Avevo delle occhiaie micidiali, e un po' di caffeina mi avrebbe salvato almeno per un oretta.
Attraversai il corridoio rosa, e poi passai nelle stanze blu.
Tutto l'ospedale era blu e bianco, e la macchinetta più decente si trovava al piano terra. Scesi per le scale, e notai con piacere che non c'era fila.
Presi i miei ultimi 50 centesimi per inserirli nella fessura, ma qualche secondo dopo notai che si era bloccata.
<<Dannazione! >> urlai, pur essendo sola nella Hall.
Calciai la macchinetta, ma tutto ció che facevo era completamente inutile.
<<Andiamo! Andiamo! Solo un caffè volevo!>> gridavo, continuando a strattonare l'aggeggio.
Ero nella disperazione totale, e avevo sonno. E fame. Ed ero stanca. E non ci stavo a capire più nulla di tutto ció che mi accadeva intorno. Volevo scomparire, una volta e per sempre.
<<Posso aiutarti?>> .
Sentii questa voce, forte e chiara provenire dalla stanza dietro di me.
<<Calciandola non risolverai nulla, è bloccata>>. Mi girai , anche abbastanza irritata , ma improvvisamente mi bloccai.
Era Conny.
Conny era in un ospedale, di notte.. E indossava pantaloni e maglia blu, da sala operatoria.
Non ci credevo, non poteva essere.. Un medico.
<<Cosa ci fai qui?>> dissi, stupita e meravigliata allo stesso tempo.
<<Sono un tirocinante, questo posto è la mia seconda casa>>. E sorrise. Dio, il suo sorriso bianchissimo spiccava ancor di più con quel completo blu elettrico.
<<Non sapevo che i tirocinanti lavorassero a quest ora>>.
In effetti, era così. I tirocinanti non lavoravano di sera tardi, e non da solo.. Almeno.
<<Lavoriamo. Studiamo. Ci diamo da fare. Ti accompagno in stanza, se vuoi. Ho appena terminato il mio turno>>.
Mi porse il suo braccio, prima di sorridermi.
<<Scusami Conny.. Non penso sia il caso. Mia mamma è ricoverata al terzo piano, e non penso sia il caso di farle vedere altri medici per stasera.. E poi, che ne sai che dormo qui?>>.
Ancora una volta, Conny sorrise e si appoggiò alla prima sedia presente nella stanza.
<<Sono un tirocinante, so chi c'è qui . Inoltre, siete in reparto da più di due settimane.. Tra Noi medici si parla molto di Voi. So tutto.>>.
Questa cosa mi irritó abbastanza. Insomma, i medici dovevano fare i medici e non del gossip da quattro soldi, ma comunque in un modo o nell'altro ero anche consapevole che le tante ore in sala operatoria dovevano pur trascorrere in qualche modo.
<<Facciamo così, io ora salgo sopra. Se lavori, studi o quel che sia, ancora in questi giorni.. Beh, ci vediamo ok?>>.
Lui mi prese la mano, e la strinse nella sua <<Buonanotte, Martina.. Qualsiasi cosa, chiamami e qui ci sono 50 centesimi, prenditi il caffè>>.
Lasció la mia mano, e si avvió verso lo stanzino di servizio.
Altro che caffè. La sua sola presenza aveva trasformato una giornata orribile in una giornata bellissima.
Dopo altri 5 minuti, finalmente, il caffè era tra le mie mani .
Con quell'odore, mi avviai verso il terzo piano, sperando che il dottore avesse terminato la sua visita.
La stanza, effettivamente, era vuota.
Neanche mamma era li, il che mi spaventava abbastanza.
Accanto al suo letto, c'era un dispositivo bianco con due tastini. Premendone uno, accorrevano le infermiere. In quel caso era abbastanza scorretto, ma era ormai sera e i corridoi erano quasi completamente vuoti, non sapevo a chi rivolgermi.
Qualche minuto dopo, Maria, l'infermiera che aveva seguito mamma sin dal primo giorno accorse velocemente in camera.
<<Cosa succede Marty?>> mi chiese guardandosi intorno.
<<Maria dov'è mamma?>>.
Maria mi guardó, stringendo una cartella tra le sua mani: forse quella di mamma.
<<Martina.. >> inizió parlando, con voce tremante <<tua mamma ha del liquido nell'addome. La malattia è arrivata al peritoneo, il dottore sta eseguendo una paracentesi d'urgenza prima che il liquido arrivi a comprimere i polmoni e non le permetta di respirare>>.
Non era possibile.
Assurdo.
Mamma, dopo ore e ore di operazione, era nuovamente in pericolo di vita.
Ma questa volta anche io mi sentivo in pericolo, e avrei dato la mia vita per salvare la sua.

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