Capitolo 5.

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La paracentesi è un qualcosa di orribile.
Mamma era stata portata in una saletta, al piano meno uno.
Chiamatelo piano, li non era desolato.
In questa stanza si sentivano solo dei piccoli Bip, provenienti dai macchinari sanitari presenti.
Uno di questi era necessario per effettuare in modo corretto un'ecografia, ma in quel caso una paracentesi.
Si trattava di una tecnica, molto comune soprattutto nelle donne incinte, per prelevare campioni di placenta.
In quel caso, invece, l'ago serviva per aspirare i litri di liquido che comprimevano gli organi di mamma.
E che ago.
Lunghissimo, attraversava i vari strati della pelle, arrivava al peritoneo e lo traforava per arrivare al dannato liquido.
Chi diceva fosse linfa, essendo stata mamma sottoposta ad una linfadenectomia bilaterale (asportazione dei linfonodi), chi diceva fosse stata la malattia oramai in uno stato troppo avanzato ad aver creato delle metastasi sul peritoneo, favorendo la proliferazione delle cellule cancerogene e la secrezione del liquido.
Che cazzo di guaio, pensavo.
Avevo giá letto su Internet di questo "stadio", e dei relativi passi successivi della malattia.
I miei pensieri furono interrotti da un urlo straziante.
Le stavano eseguendo una paracentesi a crudo, senza un minimo di anestesia locale.
Assurdo, pensavo. Mamma era già scheletrica, aveva già sofferto ore e ore di operazione e non accettavo il fatto che la facessero soffrire così, atrocemente.
Entrai di scatto nella stanza, e notai che accanto a colui che aveva appena "ucciso" mia mamma, c'era Conny.
<<Bel tirocinio che fate, eh. Questa è pura violenza su innocenti!>> gridai, basita.
Conny mi guardó, rimanendo in silenzio.
<<Signorina, mi scusi, rimanga fuori per cortesia>> disse il dottore, che tra le sue mani aveva ancora l'ago della paracentesi.
All'ago vi era collegata una busta, piena di liquido rosso e come quella ve ne erano almeno atre 5 completamente piene.
<<Dottore, è mia mamma, non mi dica cosa devo fare>>.
Mamma giró lentamente la testa e prese la mia mano tra le sue, ghiacciate e ossute , mentre Io ero impegnata a guardare Conny e la sua mascherina che gli copriva il volto.
<<È tutto finito, è tutto ok>> disse mamma, con le lacrime agli occhi <<Vieni,non aver paura. Ora mi portano sopra>>.
Penso che in quei determinati istanti, l'uomo perde la dignità.
Essere svestita da un uomo che, in quanto medico, resta sempre e comunque un uomo ed essere vista, nel medesimo stato, da altri colleghi , maschi o donne che siano è una delle situazioni più difficili, per un malato, da sopportare.
Si perde la dignità, e la sofferenza tante volte passa in secondo piano.
Completata l'operazione, il dottore invitó l'infermiera a riportare la barella in camera.
Con Lei, anche Conny si smosse dalla sua postazione per aiutarla.
<<Tranquillo, la aiuto Io>> dissi, spostando la sua mano dalla ringhiera del letto.
<<Martina da sola ce la faccio, tranquilla. Non servono due persone , tua mamma pesa quanto una piuma>> disse l'infermiera, sorridendomi.
Conny si spostó leggermente, facendomi spazio.
Nell'ascensore non c'era spazio per tutti, era stato creato appositamente ed esclusivamente per le barelle.
<<Aspettaci sopra Martina, sistemo tua mamma e vi lascio sole>>.
<<Grazie cara, arrivo subito>>.
Aspettai che le porte si chiudessero e mi diressi verso le scale , per lasciarmi alle spalle quella maledetta stanza.
<<Aspetta>> disse Conny avanzando verso me <<abbiamo due minuti per parlare>>.
Mi girai verso Lui <<Io non penso, non ho nulla da dirti>>.
Si avvicinó ancor di più a me, e mi sorrise <<Potrei offrirti un altro caffè, se vuoi.. Giusto due minuti>>.
Abbassai lo sguardo, sperando di evitare i suoi occhi chiari ed incantevoli .
<<Non voglio altri caffè, grazie. Penso di averne presi abbastanza>>.
Conny rise, e aggiustò i suoi riccioli biondi con la mano destra <<Il caffè era giusto una scusa. Ti offro ció che vuoi. Solo due minuti, mi accontento anche del tuo silenzio..
Immagino tu sia arrabbiata>>.
<<Immagini bene. E sono stanca. La notte non dormo, come puoi ben vedere>>.
Conny si avvicinó al mio viso per sistemarmi un ciuffo di capelli, spettinati e disordinati.
<<Non vedo nulla. Solo una ragazza che mi sta facendo perdere i due minuti che mi ha concesso>>. E sorrise, ancora.
Anche quel giorno, Conny risplendeva nella sua uniforme blu elettrico e il camice bianco, pulito e sistemato nonostante le tante ore di lavoro.
<<Andiamo. Ma accetto un caffè solo perchè non mi hai preso in giro per il mio aspetto.. Orrendo, ovviamente>>.
Ci voltammo insieme, diretti verso la macchinetta, l'unica che funzionava a piano terra.
<<Peró, ti concedo due minuti esatti. Devo correre da mamma, sarà distrutta>>.
<<Giuro, un caffè e ti lascio.. Ovviamente, offro Io>>.
Sorrisi, e non per circostanza ma perchè ero felice.
Conny era l'unica cosa bella di tutta quella situazione, e grazie a Lui dimenticavo per un attimo tutto ció che stava stravolgendo la mia vita.
Era bello, intelligente, gentile.. E studiava proprio nell'ospedale dove mamma era stata operata.
Non potevo desiderare di meglio.
<<Fa più schifo del solito questo caffè>> sbuffó Conny, gettando il suo bicchiere nel cestino.
<<Hai provato quello della macchinetta del terzo piano?. Credimi, saresti capace di riprendere il bicchiere dal cestino>>.
<<Non penso. È acqua sporca e puzzolente, questa>> disse Conny, girandosi verso il cestino pieno di quei bicchieri marroni e pieni di pseudo-caffeina.
<<Sarà. Ma senza caffè si muore. Sono sveglia da 3 giorni, no stop>>.
<< E tua zia? La vedo spesso qui.. Quando non vedo te>>.
Lo osservai, mentre con fare scherzoso premeva noncurante i tasti della macchinetta, che ad ogni tocco produceva un tic secco e profondo.
<<Facciamo a turno. Una notte Io e una zia. Stasera tocca a me. E Tu? Che ne sai di zia?>> chiesi, guardandolo sul volto.
<<Studio e lavoro qui, lo sai. So tutto>>.
Si, lo sapevo. Ma della mia vita sapeva troppe cose a parer mio.
<<Conny, i miei minuti sono terminati.. Scusami, ma mamma..>>.
<<Vai, vai>> disse Conny, annuendo con la testa. <<Mi bastavano due minuti, te l'ho detto. Ti ho offerto il caffè, è più di ciò che potessi desiderare>>.
Lo abbracciai, istintivamente.
Lo abbracciai.
Assurdo. Spontaneamente mi ero avvinghiata a Lui, e dopo un attimo me ne ero pentita.
Non sapevo nulla di Conny, e in quel momento non potevo permettermi nè una storia nè che qualcuno diverso da mamma occupasse la mia mente. Mamma era la priorità su tutto. Mamma, per me, avrebbe dato la vita e io dovevo fare altrettanto per Lei.
Mi allontanai dalla Hall, lasciando Conny alle mie spalle e mi affrettai nel raggiungere il terzo piano.
Entrando nella stanza, mamma era seduta nel letto e vedeva, distrattamente, la Tv.
<<Scusa se ho ritardato mà>>.
Lei mi osservó, e sorrise <<Tranquilla>> disse.
<<Passami l'acqua e stenditi accanto a me>>.
Mamma aveva capito nel mio sguardo che qualcosa era accaduto, che non ero la stessa di qualche minuto prima.
Le porsi l'acqua e mi stesi accanto a Lei, aspettando che si addormentasse.
Intanto ripensavo ad una frase che avevo letto da qualche parte, restando immobile affinché non si svegliasse; in quei precisi istanti la guardavo e mi chiedevo come facesse il cuore a stare così comodo.

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