Capitolo 3. Il grande giorno.

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Era arrivato 'IL GIORNO'.

Mamma oggi si operava, e io dovevo sbrigarmi.

Era tutta sola in quella stanza d'ospedale e Io ero a casa, con il pigiama, spettinata e con due occhi gonfi di lacrime.

Avevo pianto tutta la notte a causa non solo della paura per ciò che sarebbe successo nelle ore successive, ma anche per ciò che era accaduto la sera prima.

Io e zia Olimpia eravamo rimaste con mamma tutto il pomeriggio. Era stremata, aveva paura per ciò che le aspettava e i calmanti che le avevano prescritto non erano serviti a nulla.

Mi avevano cacciato dalla stanza quella sera, ma a zia olimpia avevano permesso di restare qualche ora in più, giusto per farla calmare e aspettare che si addormentasse.

Scesa dall'ospedale, zia era costernata.

Il panico si leggeva nei suoi occhi, e non sapeva, come me, cosa pensare.

Mi vestii in fretta, preparai qualcosa da mangiare e corsi in macchina.

Alle 7 meno 20 anche zia Olimpia ci raggiunse in macchina, prionti per partire verso il patibolo.

Per me questo era, un patibolo. Non sapevo cosa aspettarmi, e non sapevo cosa mi sarebbe accaduto dopo, nei giorni successivi.

Io e zia avevamo stabilito dei turni; una notte io e una notte Lei, e insieme avremmo portato mamma a casa una volta finito tutto.

Arrivammo in ospedale prima che mamma entrasse in sala operatoria.

Ero terrorizzata. Indossava un pigiama rosa e una vestaglia abbinata, e anche da malata, era stupenda.

Quella notte aveva risposato solo un ora grazie ai tranquillanti, ma il loro effetto era finito appena il chirurgo era entrato nella stanza. Senza pudore e sinceramente (il che non so a quanto fosse servito e quanto fosse stato giusto), il suo medico gli elencò tutti i possibili rischi, tutto ciò che avrebbe eliminato oltre la malattia dal suo corpo e quanto, potenzialmente, sarebbe potuta durare l'operazione. Almeno 7 ore.

Insomma, dai. Dillo ad un malato del genere che resterà immobile per 7 ore inconsciamente lottando tra la vita e la morte. Che fa, il problema mica è tuo.

Mamma scoppiò in lacrime. La zia si fece avanti chiedendo al primario se Io avessi potuto salutarla, prima che la portassero via in sala operatoria.

<<Certo tesoro, la tua mamma è nella stanza in fondo al corridoio>>. Disse.

So dov'è la stanza di mia mamma, babbeo.

Questo ripetevo dentro me, mentre camminavo in quel corridoio rosa/rosso e irritante agli occhi.

Appena entrata, mamma era già mezza nuda.

Indossava solo il camice da sala operatoria verde e la cuffietta per coprire i capelli.

Le infermiere la aiutarono a salire sul lettino, mentre le sue lacrime bagnavano quel piccolo, sottile e scomodo materasso su cui il suo esile corpo poggiava.

La guardai, anche io in un mare di lacrime.

<<Ti aspetto qui fuori, fai presto>>, dissi con la voce tremante.

<<Ciao vita mia>>. Poi, mamma si rivolse a zia Olimpia.

<<Oly, qualsiasi cosa accada, stai attenta a Martina. Ha bisogno di qualcuno accanto a Lei. La affido a te.>>.

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