Capitolo 6 Il tempo di una sigaretta.

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Le settimane successive a mamma furono effettuate altre 6 paracentesi.
Il suo addome si riempiva ogni 3 giorni, e questo procedimento le fu effettuato fino a metà Agosto.
Improvvisamente la fuoriuscita di liquido si era fermata, il che fece ipotizzare fosse davvero linfa e non la malattia che aveva oramai raggiunto il peritoneo.
Mamma, peró, contunuava a non mangiare e le notti aumentavano sempre più.
Io e zia eravamo distrutte; la mattina alle 5 eravamo già in piedi visto che le infermiere iniziavano il loro giro di visite, alle 8 arrivavano i medici. Alle 12 si pranzava e alle 19 si ceneva. Mamma era sempre e continuamente nel letto, e arrivata la sera mi guardava distrutta e mortificata per poi dirmi:
<<Accendi la Tv, non mi da fastidio>>.
Ma Lei , in fondo, non sopportava nè le luci nè i colori di quell aggeggio ma, l'effetto degli antidolorifici dopo un po' funzionava e Lei crollava stremata del troppo dolore sopportato.
Ogni sei ore, infatti, l'infermiera veniva da Noi ed era diventata così un'abitudine che spesso si tratteneva in stanza e parlavamo per ore intere.
Dunque, la vita d'ospedale era abbastanza straziante , ma per me il dolore più grande era quello di vedere mia mamma dimagrire, così tanto che non si reggeva più in piedi.
In tutto ció, il suo medico, ovvero colui che l aveva operata qualche settimana prima, era in vacanza da giorni e di Lui non avevamo avuto più notizie.
<<Siamo rimasti in balia delle onde in pratica>> disse mia zia rivolgendosi all'infermiera di turno. Lei, indossando un uniforme verde con il nome della clinica, aveva tra le sua mani un deflussore e una piccola bottiglia, dalla quale con l'ago del deflussore faceva fuoriuscire l'aria per iniziare la terapia del giorno.
<<Signora, qua in clinica è un macello. Molti dottori sono in ferie, altri sono stati licenziati. Insomma, qua bisogna cercare altrove lavoro!>> disse, posizionando l'ago del deflussore nel cateterino ovvero un piccolo pezzetto di metallo che permetteva di immettere questi liquidi, o semi soldi direttamente in vena.
Il tempo passava e la discussione continuava.
Scavando nella borsa trovai un'ultima sigaretta, risalente probabilmente a qualche mese prima.
I miei, e in generale in famiglia, nessuno sapeva del mio vizio del fumo peró, dormendo oramai in ospedale da settimane non avevo avuto nemmeno il tempo di pensarci a quel piccolo svago che mi faceva sentire meglio.
<<Mamma, zia.. >> dissi, chiudendo la borsa e portandola sulle mie spalle <<Vado alle macchinette, ci vediamo dopo>>.
In realtà, la tentazione di quella sigaretta era alta.
In fondo al corridoio vi era una scala collegata al terrazzino dell'ultimo piano. Li stavano facendo dei lavori , ma vi era un discreto movimento. Da lissù si respirava un'aria fresca e non di ospedale, inoltre questo piccolo spazio dava sulla strada e il rumore lontano delle auto, le luci e il traffico a tratti medio/intenso mi rilassava.
Salii le scale e notai un piccolo gazebo, con tre tavolini bianchi di plastica e delle sedie sparse.
Ne presi una e poggiai la sedia, prima di prendere l'ultima sigaretta dal pacchetto e accenderla.
Mentre bruciava, notavo il fumo che si disperdeva nel vento e la cicca che pian piano si illuminava di rosso e si confondeva con le luci delle auto che sfrecciavano in strada.
Non sentivo nulla, se non il vento che accarezzava la mia pallida pelle facendola rabbrividire.
Ero tanto stanca e anche se la sedia era proprio li, dietro di me ... Sentivo che non era quella la stanchezza che mi colpiva.
<<Dovresti sentire freddo qui..>>.
Era una voce distinta , e rimbombava in quel silenzio pacifico quasi notturno.
Mi girai per cercare di capire chi fosse, e dal tramonto lontano notai i suoi riccioli al vento biondi. Conny era li.
<<Non ho nulla con me.. Se vuoi ti presto il mio camice bianco. Non è molto caldo.. Ma qui fa freschetto>>.
Sorrisi. Era Conny ed era li, nuovamente di fronte a me.
<<Ciao Conny..! Ehmm, no grazie sto bene>>.
Conny si avvicinó a me, si tolse il camice e lo appoggió sulle mie spalle.
<<Vorrei sapessi una cosa. Qualsiasi cosa succeda, saró qui. Inoltre ora sei nello stesso complesso in cui studio.. Se ti dovesse servire una mano, chiedi pure. >>
Conny sorrise e spostó il ciuffo con la sua mano destra, perchè la sinistra era ancora sulla mia spalla.
<<Grazie Conny.. Vorrei solo che tutto questo finisse. Sono stanca, mamma ha perso venti chili, non la riconosco più e ho paura che..>>
Conny mi strinse a se e improvvisamente avvicinó le sue labbra alle mie, così da non farmi più parlare . Santo cielo.
La mia voce sparì nel silenzio, così come quei piccoli brividi di freddo, colmati dal calore del suo corpo e dalla morbidezza delle sue labbra.
Si allontanó lentamente da me, guardandomi negli occhi che si perdevano nel blu del cielo e strinse, nuovamente, le sue braccia intorno al mio corpo.
<<Non dire altro>> disse , restando con me.
Ma nei colori del tardo pomeriggio, notavo la sua bellezza, la sua complessità spaventosamente bella che migliorava e rinvigoriva ogni volta che lo vedevo; ogni volta sembrava la prima volta.
La sua pelle si era scurita, i suoi capelli erano cresciuti un po' rispetto alla prima volta che lo avevo incontrato e i riccioli sembravano quasi essere usciti da un telefilm. Perfetti .
Per non parlare dei suoi occhi, sempre più blu e profondi.. Quasi magici.
Da vicino era ancora più bello, e il suo profumo era indelebile.. Se non sulla mia pelle, nella mia mente.
<<Usciremo da qui presto, vero?>>.
Conny prese la mia mano, e la strinse <<Prima di quanto tu possa immaginare. >>
Fissai la sua mano per un po' e la accarezzai, scherzando con le sue dita esili e perfette.
<< E Noi? Cosa faremo Noi?>>
<<Hai detto usciremo, plurale. Ci sono anche Io . Io non ti lascio.>>
Ed era così. Conny c'era, il suo pensiero mi tormentava in ogni momento come mi tormentava l'idea che un giorno il destino avesse potuto dividerci.
Spensi la sigaretta con il piede e lasciai che le ultime scie di fumo inondassero il mio viso.
<<Penso sia ora di entrare, mamma si chiederà dove Io sia>> dissi, volgendomi verso Conny e stringendo più forte la sua mano.
<<Mi accompagni?>> dissi.
<<Certo, andiamo>>.
<<Potrei presentarti a mia mamma, sarebbe felice di sapere che ho conosciuto un bel fusto qui dentro>> puntualizzai alzandomi dalla sedia e trascinando Conny con me.
<<Beh, io propongo di lasciarla riposare..>>.
<<Andiamo.. Mica hai paura che ti mangi?>> dissi, aggrottando le sopracciglia .
<<No, assolutamente. Se ti rende felice, andiamo>>.
Sorrisi, in fondo era un medico. Poteva visitarla e magari mettere in pratica ció che aveva studiato in tanti anni.
Arrivai alla stanza 234, quella di mamma e bussai.
<<Mamma, zia, Lui è.. >>
Ma non bastó il tempo di aprire la porta della stanza e di pronunciare quelle poche parole che Conny era scomparso.
E non si sapeva dove fosse andato.
E non si sapeva quanto, il mio cuore, la mia anima e il mio spirito si fossero ammalati.
Erano malati.
Malati di Lui.
Conny.

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