Capitolo 8

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Tornata a casa andai dritta in camera della mia coinquilina.
Jo si stava infilando un paio di jeans neri con degli strappi sulle ginocchia e indossava solo il reggiseno: era un'immagine a cui mi ero abituata, gli effetti della convivenza. Avevo visto più cose di quante desiderassi vederne, e udite più di quante volessi udirne.

«Vengo con te», annunciai, buttandomi di schiena sul letto disfatto.

«Lo sapevo! Lo sapevo!», gioì lei, saltellando sul posto come una bambina. «Sapevo che avresti cambiato idea.»

Mi tirai su, appoggiando i gomiti sul materasso in modo da poterla guardare. «Ma non mi cambio.»

Jocelyn studiò la mia figura per intero, esaminandomi come avrebbe fatto Chanel se si fosse trovata al suo posto, e scrollò le spalle. «Sostituisci almeno le scarpe.»

Mi misi a sedere e osservai i miei piedi fasciati in quelle scomodissime scarpe, che tanto odiavo.

«Va bene», accettai.

Jo mi lanciò un paio di anfibi neri e io li studiai, confusa, ma non dissi nulla. Sfilai le scarpe e indossai quelle che mi aveva dato. Le allacciai fino a in cima e mi alzai in piedi per provarle: erano decisamente più comode di quelle che usavo di solito, e c'era molto più spazio per le dita.

«Ti stanno bene», mi comunicò Jo, aveva finito di vestirti e stava applicando il rossetto sulle labbra.

Presi in considerazione l'idea di ritoccare il mio trucco, ma avrebbe richiesto impegno e voglia, cose di cui mancavo in quel momento. E poi, volevo uscire per non rimanere in casa a pensare a mia madre e al suo imminente trasloco, non per fare colpo su Brent. O su Jared.

No, perché pensavo di nuovo a lui? Scacciai quell'idea dalla mia testa.

«Andiamo», mi spronò Jocelyn dalla soglia della camera.

Annuii e la raggiunsi.

Un taxi ci stava aspettando davanti al portone, mi guardai intorno: Chanel non era da nessuna parte. Ovviamente, non c'era nemmeno Kacey.

«Sono già lì», mi riferì la mia migliore amica, seguendo la linea dei miei pensieri.

Ero troppo trasparente, le persone riuscivano sempre a capire a che cosa stessi pensando con una sola occhiata, era snervante.

«Peccato.»

Salimmo sul sedile posteriore e Jo fornì all'autista l'indirizzo del locale, la macchina partì e lei tornò a rivolgersi a me. Voleva sapere della cena, di che cosa mi aveva detto mia madre e soprattutto che cosa mi aveva fatto cambiare idea. Le ragguagliai sui recenti sviluppi della vita di mia madre: il matrimonio, il suo trasferimento, Dick.

Non risposi alla sua ultima domanda. Nemmeno io sapevo che cosa mi avesse spinto a cambiare idea.
Forse, era solo per il piacere di sfuggire al controllo di mia madre.
Il FREEDOM era libertà. E io desideravo solo essere libera.

La macchina si fermò davanti al locale, pagai l'uomo alla guida e scesi seguita dalla mia migliore amica.

C'era meno gente in coda rispetto alla settimana prima, forse, dipendeva dal fatto che quella sera non si sarebbe esibito alcun gruppo. Come la volta precedente, Jocelyn ignorò la gente in fila e andò da Bill. Lo salutò con una pacca sulla spalla e lui si spostò per lasciarci entrare, ma non prima di avermi esaminata. Il mio capotto era aperto e si poteva scorgere il vestito bianco che portavo sotto. «Assurdo», mormorò quando lo superai.

Raggiunsi la mia amica e la tirai per un braccio. «Non credo che a Bill piaccia il mio vestito.»

«Tesoro, io ti voglio bene», Jo si girò, e mi sorrise da sopra una spalla «ma nemmeno a me piace il tuo vestito.»

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