Capitolo 35.

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Dopo quella giornata, la vita accelerò. Il tempo prese a scorrere più velocemente, i giorni si susseguirono freneticamente, tutti uguali e senza eventi degni di nota. Mi alzavo presto ogni mattina per andare a correre, dopodiché tornavo a casa per fare una doccia e indossare qualcosa di pulito, per poi uscire di nuovo.

Quello della mia tradizionale corsa mattutina era il solo momento della giornata che riuscivo ancora a ritagliare per me stessa, l'unico in cui potevo restare da sola e mettere ordine tra i miei pensieri. Quando correvo il tempo scorreva diversamente, ero io a dettarne il ritmo, a scandirlo ed adattarlo al suono prodotto dai piedi che calpestavano l'asfalto. Al battito del mio cuore, che si dilatava e si contraeva, pompando il sangue in tutto il corpo.

Durante la settimana dividevo il resto delle mie giornate tra le lezioni, lo studio e Jennifer. Nei weekend mi dedicavo al volontariato. Sporadicamente, Jared o Jocelyn riuscivano a convincermi ad uscire con uno di loro, finendo immancabilmente di scatenare la gelosia dell'altro.

Quando la stanchezza si faceva sentire, il ritmo era troppo veloce e sentivo il bisogno di fermarmi e riposare, sapevo di poter fare affidamento su i miei amici. In quell'ultimo mese il mio piccolo nucleo famigliare si era esteso, vecchie e nuove conoscenze erano entrate a farne parte. Vicine, o lontane, mi davano il loro supporto e mi infondevano il coraggio e la forza di cui avevo bisogno per affrontare le giornate difficili.

Quelle, purtroppo, non mancavano mai. I medici erano stati chiari, la situazione di Jennifer non sarebbe migliorata, il trattamento attraverso la chemioterapia serviva solo per cercare di limitare che il glioblastoma si espandesse.

Una settimana prima Jennifer si era sottoposta al secondo ciclo di chemioterapia, e gli effetti collaterali non avevano tardato a presentarsi.

C'erano giorni in cui era la Jennifer che avevo sempre conosciuto, quella che mi aveva cresciuta. In quei giorni, quasi riuscivo a dimenticare che era afflitta da un male incurabile. Quel male, però, non si dimenticava di lei, gli piaceva ricordarle che era lì e che non poteva fare nulla per liberarsi di lui. In quelle giornate, era quasi irriconoscibile. Era stanca e debole, i suoi movimenti erano lenti e appesantiti. Ogni azione, persino la più semplice sembrava essere troppo faticosa per lei. Non accettava l'aiuto di nessuno, però. Non importava quanto tutti noi insistessimo o ci offrissimo di aiutarla ad alzarsi dal letto, o di accompagnarla in cucina, lei era irremovibile: non voleva il nostro aiuto.

«Posso farcela» rispondeva imperterrita, quando uno dei ragazzi le proponeva di portarla a letto in braccio.

«Posso farcela» ripeteva quando mi sedevo accanto a lei sul pavimento del bagno, e aspettavo che trovasse la forza di alzarsi.

"Posso farcela" era diventato il suo mantra. Era doloroso guardarla mentre lottava contro il suo stesso corpo con la consapevolezza di non potere fare nulla per allievare la sua pena. Un corpo che si stava ribellando a lei e alla chemioterapia, un corpo sul quale stava lentamente e progressivamente perdendo il controllo. All'inizio mi fu difficile comprendere le reali motivazioni che si celavano dietro la sua testardaggine, non capivo perché non ci permettesse di aiutarla a sostenere quel peso e ad alleggerire la sua sofferenza. Credevo che si stesse facendo del male, che stesse affaticando il suo corpo più del necessario, e non riuscivo a sopportare l'idea di guardarla soffrire senza poter fare niente. Cominciai a preoccuparmi per la sua salute psicologica, mi chiesi se non avesse bisogno di parlare con uno specialista di come si sentisse e di ciò che stava provando, di aprirsi con qualcuno e rivelargli le sue ansie e i suoi timori. O, più semplicemente, di parlare con una persona della sua età del tumore.

Fu così che – in seguito ad una lunga e accurata ricerca su Google- decisi di chiedere un parere a Red, la sola persona che conoscessi in grado di capire che cosa stava affrontando Jen, l'unica a possedere la capacità di darmi un parere oggettivo sulla questione. Una sera, dopo aver aspettato a lungo che rientrasse a casa da lavoro, avevo preso la cartellina contenente l'elenco di psicologi specializzati nel trattamento dei malati di oncologia che avevo stilato dopo la mia estenuante sessione di ricerca, ed ero letteralmente corsa da lei, al piano di sopra.

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