My love 5

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GWEN

Inutile dire che quella sera piansi e che quella notte non dormì in nessun senso, il mio cuore piangeva la mia mente piangeva. Possibile che anche se avessi conosciuto Alex qualche settimana prima, mi fossi innamorata di lui? Possibile che fosse lui ciò che aspettavo da più di 10 anni, ciò che doveva completare la mia vita? Non riuscivo a pensare. Mi alzai e impostai la sveglia. La mia anima sarebbe appartenuta a lui. <La mia anima appartiene a lui!> lo gridai, strillai. La notte era ancora lunga.

La ragazza non si rese conto che la sua richiesta stava venendo esaudita, un’aria fredda discese su di lei e si impadronì della sua anima, il moto che permetteva alla cantante di comporre musica fu diminuito vertiginosamente, l’unica parte che rimase fu quella capace di incantare ed ammaliare le persone. La parte che aveva ereditato da quel lontano parente irlandese di cui lei conosceva l’esistenza ma non la storia. Lei non credeva nelle fate.

ALEX

Mi fermai sotto casa sua e per più di mezz’ora la immaginai dormire beatamente nel suo letto, una sensazione di perdita e di acquisto mi aveva detto di venire qui e salutarla. Si affacciò alla finestra, l’aspetto trasandato e disperato. Dopo qualche secondo era sul ciglio della porta. I suoi occhi avevano perso colore e il suo cuore batteva con il mio. Cos’era successo?  Al suo fianco aveva una custodia, si avvicinò e me la porse. <Cambio la tua anima con la mia> cercò di sorridermi ma le uscì una smorfia. Quando toccai la tastiera non provai la sensazione di rinascita, abbassai la testa <Canta per me Gwen> lei  turbata fece un passo indietro poi contrasse le sopracciglia chiuse gli occhi e cominciò a cantare. La vibrazione che avvertì all’inizio diventò una scossa che si propagò nelle mie ossa, ecco dove risiedeva la sua anima. L’intensità della scossa mi spaventò. Era troppo, aveva venduto la sua anima! L’aveva venduta a me. Di questo passo non le sarebbe stato più possibile parlare. Mi precipitai su di lei e la baciai, la melodia cessò e quella piccola parte di anima rimanente ritornò in lei. Io credevo nelle ninfee e mi spaventavano, sapevo della loro esistenza e del lavoro che svolgevano. Ammaliare le persone con il solo potere della voce. Gwen non era una di loro, non lo sarebbe mai stata. Quando si scostò da me rimase sorpresa <Grazie> mi disse, le porsi la lettera lei la fissò e poi mi abbracciò, <Alex,ti amo> rimasi con la bocca semi aperta poi sorrisi quelle parole non avevano mai avuto un significato effettivo per me ma in quel momento mi riempirono di felicità <Anch’io ti amo, Gwen. Troppo. Mi dispiace doverti lasciare> la guardai per l’ultima volta poi mi diressi verso l’auto, <Non dimenticarmi, ti scongiuro! Qualunque cosa accada> lo gridò, mi si strinse il cuore volevo girare i tacchi e correrle incontro ,ma mi trattenni. Il destino ci stava dividendo, per il momento.

Dopo quello che sembrò un’eternità di attesa all’aeroporto di Gatewick  la voce chiamò il “on boarding” del mio volo mi voltai verso il mio manager e con uno sguardo triste gli sorrisi, mi fissò per qualche secondo poi si avvicinò <Cosa c’è?> aprii bocca ma nessun suono uscì da quella lo guardai <Jack, ho una brutta sensazione..> scoppiò a ridere <Dai, Alex non spaventarmi così! Pensavo fosse successo qualcosa di grave!> in un certo senso era SUCCESSO qualcosa di grave; stavo perdendo il mio amore, stavo perdendo la sua anima.. Lo sentivo crescere dentro di me, sentivo crescere quella sensazione passo dopo passo, quando mi fui posizionato nella mia poltrona accanto a Jack ebbi l’urgenza di scendere da quell’aereo, quel pensiero mi stava distruggendo. Stavo impazzendo?

Qualche ora dopo stavamo sorvolando qualche isolotto disperso nel mare pacifico. Non stava succedendo niente, non stava succedendo un diavolo di niente.

Le hostess correvano attraverso il corridoio verso le loro postazioni, le loro espressioni pietrificate.

<Motore in avaria, motore in avaria. Qui il volo AG8954, alla torre di comando. Emergenza> la mia testa sembrò come volteggiare per qualche secondo poi il vuoto e lo schianto. Il buio.

GWEN

Era notte, ero riuscita a chiudere gli occhi da poco. Mi mancava già enormemente.. all’improvviso un fitta al cuore mi fece gridare di dolore puro, i miei occhi incominciarono a riempirsi di lacrime. Mi alzai e andai verso il violino, lo tenni stretto al mio petto ma quella pulsazione che avevo avvertito il mattino non c’era più. Rimasi a contemplare il legno pregiato, la forma dello strumento..  Cercai di dire qualcosa  ma la voce non uscì, riprovai ma fu la stessa cosa. Una luce all’angolo della stanza sbirluccicò, tirai un sospiro di sorpresa poi mi strofinai gli occhi.

<mbaineann tú chugainn, Midnight> una voce nella mia testa sussurrò, non capivo la lingua, non comprendevo il significato. Chiusi gli occhi per qualche momento poi li riaprii. <Is féidir le duine ar bith a fháil ar do Soul> ancora una volta chiusi gli occhi e poi li riaprii. Niente non comprendevo una parola, voi direte perché non riuscivo ad essere spaventata da quelle improvvise voci nella mia testa, in realtà lo ero spaventata, spaventata a morte ma la morte non era niente in confronto alla rivelazione che ne sopraggiunse. Il cellulare suonò, lo presi. <Gwen, accendi la televisione!> feci come mi disse lei, con lei intendo il mio manager, Courtney. La sentivo respirare al di la del telefono, voleva una risposta, una affermazione ma sembrava cose se non potessi tirar fuori nessun suono, nessuna stramaledetta parola!

Accesi la TV nel mentre e alzai il volume del notiziario. Una giornalista dalla faccia triste e disperata era di fianco a quello che sembrava un aereo in fiamme, mi portai una mano alle labbra. Alzai ulteriormente il volume.

<Il volo AG8954,diretto a Seattle ha avuto un problema al motore oggi alle 8 della sera ora londinese. L’avaria al motore ha portato alla collisione del velivolo con la terra. Tutti piangono la scomparsa delle 150 persone a bordo di quello, purtroppo …> si era bloccata mentre un suo collega si avvicinava e le diceva qualcosa all’orecchio <Aspettate mi è appena arrivata la notizia che il musicista Alex Mckey era sopra quell’aero, mio dio un così giovane ragazzo!> avevo preso il telecomando e spento lo schermo poi ero rimasta sul letto a gambe incrociate, la bocca spalancata come gli occhi , le braccia lungo i fianchi. Alex era morto? Alex … No non era possibile, non era possibile. Aveva detto che sarebbe tornato, lui aveva detto che sarebbe andato tutto per il meglio! Rimasi immobile per ore fissando il muro bianco davanti a me lo fissavo e rifissavo senza mai battere gli occhi. Era morto. Niente era più importante per me, niente e nessuno.   Mi alzai in piedi e mi sporsi dalla finestra, sarebbe stata quella la mia fine, lo avrei seguito. Avrei seguito la mia anima. Un improvviso rumore alla porta mi fece sussultare, <Tesoro, apri, sono Courtney!> quando non lo feci lei bussò più forte e alla fine cercò di sfondare la porta per trovare me sul ciglio del davanzale che mi sporgevo verso il vuoto,  rimase scossa nel vedermi poi corse verso di me e mi chiamò <Ou, ou, ou che cosa stai cercando di fare Gwen? Tu non ti butterai da quella finestra. Non in questa vita. Scendi di li per l’amor del cielo! Voltati. Guardami, tu non vuoi morire lui non vorrebbe che tu morissi> la fissai intensamente poi feci per parlare ma mentre le mie labbra si muovevano il suono non usciva. <O mio dio, dov’è la tua voce?> cercai di risponderle, ma niente usciva, non usciva niente! La frustrazione prese il sopravvento mi sbilanciai verso la camera da letto e Courtney mi prese tra le sue braccia. <Va tutto bene, va tutto bene> mi accarezzò i capelli con una gentilezza materna. Se non ci fosse stata lei sarei morta. In un certo senso ero morta.

I giorni si susseguirono per più di qualche anno, Gwen non era più la stessa. Neanche il suo nome era più quello, i suoi capelli tinti di di colori sgargianti tonalità del fuoco, il tatuaggio sull’ anca di una piuma e una A di fianco a quella, la gente che frequentava, il corpo scolpito che si era fatta partecipando al reclutamento. Oh il reclutamento, l’agenzia di assassini professionisti che l’avevano accolta quando aveva incominciato a dimostrare al mondo chi era in realtà. Grace era il suo nome. Nessuno la riconosceva più perché lei non era più lei. Il piercing sul suo labbro e quello sull’ombelico lo dimostravano fin troppo. Era come se il suo passato fosse stato rinchiuso in una scatola e sepolta infondo alla sua mente (insieme a quello strumento che racchiudeva il suo vero lei), una mente offuscata dalla volontà di andare avanti, di fare le cose come doveva, com’era giusto.

My loveWhere stories live. Discover now