Due Scorridori e un Carceriere

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Scendemmo e scendemmo, per chissà quanto tempo, per rampe di scale sempre più strette e ripide.

Persi ben presto il conto dei piani, e iniziavo a temere di dover arrivare al centro della Terra, quando finalmente i gradini finirono, in una stretta sala circolare. C'era una sola apertura, un passaggio buio come l'Inferno, abbastanza grande per poter essere anche un tunnel, o un corridoio.

Mitru si fermò di colpo, e si voltò verso di me. Il suo sguardo si fermò sull'ornamento che portavo al collo, appeso ad una sottile catena d'argento.

–Lo indossava Lucrezia. Lo chiamava Simbolo di Castità. – disse, allungando una mano a sfiorare il ciondolo di un azzurro vetroso, grosso come una noce. Aveva la forma e i solchi tipici di un cervello umano. Si trattava sul serio di un organo, rimpicciolito e cristallizzato con tecniche ormai dimenticate.

Annuii. - Me l'ha messo al collo prima di partire. –

Afferrò il ciondolo, e lo strappò via, rompendo la catenina. Rimasi a fissarlo allibito mentre lo faceva sparire nella manica dell'ampia veste.

- Anche la fede.- disse, indicando la mia mano sinistra.

- Cosa?-

- La riavrete assieme al ciondolo, se e quando finirete l'addestramento.- disse, tendendomi la mano destra, col palmo rivolto verso l'alto. – Considerateli un pegno.-

Sfilai a malincuore il sottile cerchietto d'oro antico dal mio anulare sinistro, e lo feci cadere in mano al Voivoda. Non me ne ero mai separato volontariamente, prima di allora.

Lo prese fra le dita, e lo avvicinò al viso per leggere l'incisione all'interno.

- "Veronica".- con la sua pronuncia slava, quelle sillabe che erano delizia e tormento della mia anima da cinque secoli suonavano alle mie orecchie come una bestemmia. – Non ti può aiutare.- sentenziò, facendo prendere all'anello la stessa via del Simbolo. Finalmente soddisfatto, mi mostrò con un ampio gesto l'imboccatura del corridoio.

- Portatemi quello che c'è nell'ultima cella. – disse. Mi rivolse di nuovo le spalle, tornando sui nostri passi. Feci per chiedere altro, ma si fermò prima che avessi il tempo di aprire bocca.

- Non mi aspetto che ce la facciate entro questa nottata. Prendetevi tutto il tempo necessario.- aggiunse, per poi lasciarmi di nuovo solo.

Mi avvicinai al passaggio con la massima circospezione. Inalai una boccata d'aria fetida, e mi venne voglia di vomitare. Non era solo umidità e muffa. C'erano tracce del familiare lezzo dei sepolcri, e di altri odori che non riuscii ad individuare, ma mi convinsero che era meglio smettere di respirare, per un po'. Il corridoio aveva pareti di pietre rozzamente sgrossate, coperte da una strana mucillagine biancastra, e una bassa volta a botte. Non si riusciva a vedere il fondo, e l'unico suono che si udiva era il ritmico infrangersi al suolo di gocce d'acqua.

Avanzai lentamente, mettendo tutti i miei sensi in allerta.

Una goccia, due gocce...non sentivo altro. Proseguendo la muffa sulle pareti si fece più rada, fino a scomparire del tutto laddove il tunnel sembrava scavato direttamente nella roccia viva.

Tre gocce,quattro gocce, cinque gocce...dei passi? Mi bloccai, e, senza esitare, spinsi le mie percezioni al limite. Le pareti collassarono, lo spazio smise di esistere.

Dettagli isolati. Una mano guantata stretta sull'impugnatura di un'arma. Mascelle dischiuse, irte di denti, da cui colavano gocce di saliva nerastra. Dita sudice che facevano capolino dalla punta di uno stivale incredibilmente logoro. Arti muscolosi che s'inerpicavano su una superficie verticale.

Dovevo tornare indietro, mi serviva una visione d'insieme. Di colpo, tornarono le pareti attorno a me. Ecco, troppo indietro.

Cercai di rimettere rapidamente a fuoco quei dettagli, quando qualcosa di gelido mi sfiorò il viso, distraendomi.

Neve. L'aria si era riempita di cristalli di ghiaccio. Cadevano al suolo, danzando pigramente, in mucchietti che rapidamente assunsero forme umanoidi. Mi morsi le labbra, stizzito. Succedeva spesso, quando potenziavo al massimo le mie percezioni. Iniziavo a vedere spettri dappertutto.

I mucchi di neve si alzarono sulle gambette paffute, e mi si accalcarono attorno, incuriositi. Mi sentii ancora peggio. Erano spettri di bambini. Mi affrettai a riportare i miei sensi alla norma, prima di sentirli parlare, e si volatilizzarono, lasciandomi di nuovo solo.

Non sapevo più che fare. A pochi passi da me, il corridoio curvava, e probabilmente non avrei potuto più fare affidamento sulla già scarsissima luce che proveniva dall'imboccatura. Non si può vedere con il buio più totale, anche potenziando al massimo i propri occhi. Avrei dovuto fare affidamento su altri sensi, ma attivandoli avrei rischiato di trovarmi di nuovo assediato e confuso dagli spiriti dei morti.

Tlinc. Tlinc. Tlinc. Tlinc. Non era più acqua. Qualunque cosa ci fosse nel tunnel, ora era vicina. Mi schiacciai contro la parete, e addensai le ombre attorno a me, a coprirmi come un soffice mantello di tenebre.

Eccoli. Il primo che vidi sfiorava con la testa, coperta da un cappuccio nero senza fori, la volta del tunnel. Sul petto villoso s'incrociavano pesanti catene di metallo annerito, tintinnando sinistramente ad ogni passo, urtando sulla cintura borchiata che stringeva in vita le luride braghe di cuoio. Appartenevano a lui gli stivali logori e le dita guantate, stretta ognuna sull'impugnatura di un'accetta. Gli altri arrivarono strisciando sulle pareti, come gechi. Avevano le stesse carni trasparenti e rosate, ma le loro mascelle gocciolanti e le dita artigliate non promettevano niente di buono. L'incappucciato si fermò, ed assieme a lui i rettili rosati. Ero nei guai.

Nessuno di loro aveva gli occhi. Il mio manto di tenebre non serviva a nulla, visto che ingannava solamente la vista. Per quanto restassi immobile, senza respirare, fermando i battiti del mio cuore, avrebbero potuto tastarmi o annusarmi. La lingua biforcuta di un rettile sfiorò il mio orecchio. Mi spostai, appena in tempo per evitare un colpo d'accetta. Corsi, bruciando tutto il sangue rimasto nel mio stomaco per accelerare più che potevo i miei movimenti, eppure, l'ingresso sembrava ancora così lontano...l'arcata cresceva lentamente, ce la potevo fare, ce la potevo fare...una lama si conficcò nella mia schiena, ma percepii a stento l'impatto. Mi lanciai oltre l'ingresso, e rotolai sotto la grata che andava rapidamente scendendo a chiudere l'arcata.

- Che ve ne pare degli scorridori di mio padre?- chiese Radu, lasciando la leva.

Mi rialzai, spolverandomi i vestiti. Avevo ancora un'accetta conficcata fra le scapole. – Scorridori?- chiesi, mentre Radu afferrava l'impugnatura dell'arma. – Quelle bestie rosa piene di zanne. Il carceriere, invece, è una mia creazione. E a quanto vedo, la sua mira continua a migliorare. – diede uno strattone all'arma, ma non riuscì a toglierla. – ma che...?-

- Lasciate stare, ci penso io.- raggiunsi a tentoni l'arma, e la ressi mentre le mie carni si ritiravano, lasciando libera la lama. La restituii a Radu.

- Tieni.- disse, facendo scivolare l'accetta sotto la grata. Vidi una mano guantata affrettarsi a riprenderla, e scomparire di nuovo nell'oscurità.

- Creature deliziose, non trovate? Mio padre vi è molto affezionato. Sarebbe veramente dispiaciuto se succedesse loro qualcosa. –

- Ne terrò conto.- replicai, seccamente. Passato lo spavento, era rimasta la stizza. Sapevo di non poter stordire contemporaneamente tutti i secondini. Avevo già riservato la possibilità di eliminarli uno ad uno ad ultima spiaggia, ma così venivo privato anche di essa. Dovevo escogitare qualcosa. Mi congedai frettolosamente da Radu, e mi ritirai nella mia stanza ad elaborare un piano. Il Voivoda aveva ragione, non potevo riuscirci in una sola notte.

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