Uno, due, tre, quattro...quella era l'ultima. Fluttuai attraverso il legno e il metallo, ed affondai nella stanza in una sospensione di particelle dorate. Sentii il mio corpo riacquistare consistenza mentre il pulviscolo si depositava lentamente a terra e svaniva per lasciare posto alla cupa e soffocante penombra di una piccola stanza quadrangolare foderata di scaffali. "Portatemi quello che c'è nell'ultima stanza" a parte la polvere, sui ripiani non mi pareva di vedere niente. Dovevo caricarmi quei mobili marci in spalla? Mi voltai verso la porta, per assicurarmi che fosse effettivamente più solida di quella della cella di Hatun. Non volevo trovarmi di nuovo addosso il Carceriere. I cardini erano lucidi, robusti, e la lastra metallica non mostrava segni di corrosione. Messo il cuore in pace, avanzai di un paio di passi, fino al centro della stanza, e quasi inciampai su una sconnessione del pavimento che non avevo notato. Imprecai fra i denti, e mi chinai a guardare cosa fosse. Non era una pietra malmessa, ma un basso cofanetto metallico.
Lo aprii senza difficoltà. - Eh...?-
Questa non me l'aspettavo. Dentro c'era una mano mozzata, pallida e scheletrita. Le dita avevano due o tre falangi in più e terminavano con unghie giallastre ed acuminate. Più la guardavo, più avevo l'impressione di aver già visto qualcosa del genere, ma non riuscivo a ricordare dove. Beh, ci avrei pensato dopo. Richiusi il cofanetto.
Non ero sicuro di potercela fare con un altro balzo sul Piano Astrale, ma per fortuna, come mi aveva detto Hatun, c'era un'altra porta che probabilmente sbucava all'esterno. Mi preparai a mettere in pratica i miei fondamenti di Furto con Scasso, ma con mia somma sorpresa, il battente si schiuse al mio tocco senza alcuna difficoltà, e mi trovai di fronte il Voivoda. Dovevo avere un'espressione parecchio perplessa, visto che mi disse:
- Allora?-
- Ecco qui. - gli mostrai la mano. Mi aspettavo di vederlo prenderla, ma non lo fece. - E' vostra - disse.
- Scusatemi, ma...che dovrei farci?- mi rivolse uno sguardo gelido.
- Mangiatela – disse, secco, ed era chiaro che non stesse scherzando. Guardai di nuovo quel moncone. Non riuscivo ad inghiottire nulla che non fosse sangue od acqua. Come avrei fatto? Il Voivoda attendeva.
Il procedimento risultò perfino più penoso del previsto. Mi sentii più volte sul punto di rigettare, e dovetti inghiottire il pezzo praticamente intero, perché non riuscivo ad intaccarlo coi denti.
Scivolò con esasperante lentezza lungo l'esofago, e non appena raggiunse lo stomaco iniziò il peggio. Sentii il sangue già presente ribollire, diffondendo fitte atroci in tutto il corpo. Caddi in ginocchio, mentre una schiuma sanguigna risaliva alla bocca, filtrando fra i denti. Il Voivoda mi costrinse a rialzarmi, afferrandomi alla gola, e la sua destra scheletrita, dalle unghie giallastre e acuminate, fu l'immagine su cui si chiusero i miei occhi.
Cannibalismo rituale. Ne avevo già sentito parlare, ma speravo di non essere mai coinvolto in qualcosa del genere. La maggior parte di noi Immortali riteneva una simile usanza semplicemente un'altra manifestazione della perversa crudeltà tipica della linea di sangue del mio ospite, ma ora che ci riflettevo, ed ora che la carne degli esseri viventi iniziava a piegarsi docilmente al mio comando, avevo un'altra teoria. Probabilmente, non bastava il sangue a diffondere le loro capacità, e per passarle alla nuova Progenie, dovevano far inghiottire loro anche ossa e tessuti.
Non so quanto tempo dopo ripresi conoscenza, nel mio letto, fra lenzuola fradice di sudore sanguigno. Qualcuno aveva provveduto a togliermi i vestiti, e le coltri si erano incollate alla mia pelle come un sudario. Faticai non poco a liberarmene, mentre mi sentivo sempre più sporco e disgustato. Avevo le ciglia, le unghie e i capelli incrostati di sangue coagulato, i palmi feriti, e sentivo in bocca un gusto marcio, di malattia, che assieme allo stomaco in subbuglio mi rendeva rivoltante la sola idea di nutrirmi.
Devo togliermi di dosso questo schifo, mi dissi, mentre mi alzavo come uno zombie, barcollando. Almeno con la brocca e il catino, devono esserci...mi sentii sollevato quando invece oltre a quei due semplici oggetti trovai a tentoni un'intera tinozza. L'acqua era gelida, e ne feci finire parecchia sul pavimento solo nel tentativo di riempire la brocca, ma non m'importava. Inghiottii e risputai parecchio sorsi nel catino per sciacquarmi la bocca, preferendo non indagare sull'emulsione color bile che per un po' continuò a finire nel contenitore di ceramica. Mi sfregai via il sangue freneticamente dai capelli e dal viso rovesciandomi l'acqua sul capo e sul corpo, prima d'immergermi nella tinozza. Cercai di rimuovere la crosta che si era formata sui miei palmi, e quando ci riuscii, mi prese un colpo. Chiusi gli occhi, mi diedi un colpetto, e guardai di nuovo, stavolta stuzzicando la fessura che si era aperta nelle carni con un dito. La reazione mi causò un altro brutto colpo. Serrai i pugni, e decisi che la cosa migliore era ignorare per il momento quello che era successo alle mie mani. Del resto, sembrava funzionassero ancora e quello era l'importante.
Altre sorprese giunsero dalla mia schiena, che da una fortuita occhiata allo specchio si rivelò non essere semplicemente macchiata di sangue. Ero stato tatuato, ed era anche un disegno piuttosto grande. Una figura femminile, esile e dai lunghi capelli neri, con indosso una tunica aderente e con nere ali piumate che, spiegate, arrivavano a lambire le mie scapole, sembrava stare in piedi sulla lama della falce che brandiva, come certe Madonne in piedi sulla mezzaluna. Lo stile ricordava un po' quello di certe icone, ma la figura non mi diceva niente, a parte una vaga correlazione con la Morte e una ancor più vaga ma innegabile somiglianza con la mia Sire...i capelli, le labbra, gli occhi sembravano i suoi. Stavo ancora cercando di dare un senso alla mia scoperta quando scorsi nello specchio il riflesso del Voivoda.
Iniziai a sospettare che anche lui sapesse muoversi sul Piano Astrale. Assieme a lui, sulla scrivania era comparsa una pila di vestiti puliti.
- Vi piace? - mi chiese, riferendosi al tatuaggio.
- L'avete fatto voi?- ribattei, lasciando filtrare la mia irritazione. Avevo già quell'orribile taglio ad Y, possibile che ogni volta qualcuno si sentisse in dovere di lasciarmi ricordi addosso?
- Prima ditemi se vi piace.-
- E' un po' troppo grande e non avevo intenzione di farmelo fare, ma non posso dire che non sia bello. Ma perché somiglia a Lucrezia?- il Voivoda sorrise, senza rispondermi. In quel momento non mi sembrò un vampiro millenario. Non aveva semplicemente stirato le labbra, come se fossero tagliate da un bisturi. Aveva sorriso come un bambino, con gli occhi, e finii per inghiottire la maggior parte del mio disappunto, disarmato, ma non abbastanza per non avere più voglia di chiedere spiegazioni. Gli mostrai le mani, sentendomi quasi un Nostro Signore Risorto che mostra la stigmate ad un indifferente San Tommaso. - e queste?-
- Quelle sono un sacco utili. Io me ne sono fatto parecchie.- disse, tranquillo. Lo guardai. Forse avevo capito perché non avesse un solo centimetro di pelle scoperta, a parte le dita e solo una parte del volto.- Se non vi piacciono copriteli. - Tirò fuori da una piega della veste un paio di guanti di pelle nera, e me li lanciò.
Li presi al volo, e senza dirmi altro, mi lasciò solo nella stanza.
Presi i miei vestiti, dopo essermi asciugato, e notai sulla scrivania un sacchetto di tela. Ci guardai dentro, e vidi delle ossa.
- Non mi dovevi seppellire?- mi ricordò Hatun, fluttuando sopra la mia testa.
- Ti prego, fammi una grazia...vorrei almeno vestirmi e mangiare, prima di uscire.-
- Ma no, per me stai benissimo così. - mi rispose. Anche se il tono era ironico, mi affrettai ad infilarmi i pantaloni.
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Vicissitudine
VampierTristan, ultimo dei Cappadociani, giunge presso il Voivoda Mitru in cerca della sua Sire, scomparsa ormai da molti anni. Troverà qualcosa di molto diverso da ciò che cercava... la possibilità di imparare una disciplina proibita, ma a caro prezzo.